Pietro Bonardi
Il vino ha ricevuto onori di cronaca fin dai tempi di Noè ma l’odor di vino si sprigiona anche dalle carte dell’archivio comunale di Sala Baganza. E tra queste carte – ma sono quelle dell’archivio parrocchiale che registrano i morti – la più antica osteria in cui mi sono imbattuto risale al 1679: è l’“hosteria di Sala” (l’hosteria, quasi che fosse l’unica in paese o almeno in parrocchia di Sala di cui è arciprete don Pietro Gavarini) e sembra avere i positivi connotati di quella a cui ricorre l’evangelico buon samaritano, perché dà ospitalità nel suo fienile al pontremolese Domenico della Fiora “d’anni sessanta in circa, huomo bruno, di statura alta, facia tonda, barba folta”, che “essendo stato infermo da un mese in circa”, “morse” (!) il 28 settembre 1679 “munito di tutti li Santi.mi Sac.ti della Chiesa”, e viene sepolto nella chiesa di Sala. Per incontrare invece osti e osterie tra le carte dell’Archivio comunale faccio un balzo al 13 novembre 1808: siamo nel pieno della dominazione francese-napoleonica annunciata anche a Sala il 21 agosto, domenica, di quel 1808 con la lettura del decreto del 30 maggio dello stesso anno relativo alla “Riunione degli Stati di Parma al Territorio dell’Impero”: l’annuncio lo dà il maire Biagio Pedretti (che ha rimpiazzato da poco – dal 5 agosto – Michele Varron) “con tutta la possibile pompa” leggendo il decreto “ad alta ed intelligibil voce prima in lingua francese, e poi in lingua italiana” sul piazzale della chiesa del capoluogo “all’ora sesta pomeridiana [mezzogiorno]” “nel momento in cui il Popolo è uscito di Chiesa”. Non si sa quali commenti abbiano coniato i salesi e se si siano immediatamente adeguati al nuovo stato di cose, sta di fatto che dei decreti francesi, trasmessi anche a Sala dal sotto o vice prefetto di Parma mentre a reggere il comune è il sanvitalese Biagio Pedretti, sembrano non curarsi due osti: Francesco Maestri che “conduce l’Osteria grande” e Giuseppe Cortesi: quale sia il decreto di cui si fanno beffe non l’ho appurato, però sembra che fosse un decreto di sanità, perché, il 13 novembre 1808 denunciando entrambi al giudice di Pace di Fornovo e riferendosi alla violazione compiuta dal Cortesi, il sindaco Pedretti aggiunge la sommessa preghiera di “trattarlo con qualche riguardo”, sia perché è la prima volta che delinque sia perché e soprattutto perché è certo che “le due persone ritrovate in casa” vi erano andate per “affari domestici, non per bagordo”… Ma il trambusto più sorprendente lo scatena poco dopo una donna dal carattere deciso e dalla lingua tagliente. E’ lo stesso Pedretti a mandare il 20 novembre la cronaca dai patetici risvolti semicomici di quanto quella donna, tale Rosa Mattei, gli ha fatto subire: il tutto parte dal “reclamo” che la Mattei ha presentato al viceprefetto “contro il nostro Decreto di Pulizia”: “Per evitare tanti bagordi [ma prima aveva scritto “disordini”] che continuamente nascono ne’ giorni di festa, e principalmente nel tempo delle funzioni Parrocchiali [Decreto imp.le dei 26 Febbrajo 1806, relativo alla festa di S. Napoleone che quella è pure del ristabilimento della Cattolica Religione in Francia”]; sì nelle Osterie, che nelle Botteghe, le quali non si dovrebbero addimandar con questo nome, ma bensì con quello di Bescaccie [forse per “biscacce”: dispregiativo di bisca], credessimo opportuno di evitarli con il Decreto che vi fu affisso e che vi è noto.
Dalle carte compare anche il problema del controllo del territorio: siamo al 21 marzo 1826, sotto il governo di Maria Luigia: da Gaiano, che allora era parte integrante del comune di Sala (e lo sarà fino al 1° maggio 1869 quando per decreto di Vittorio Emanuele II passa a Collecchio), il sindaco Giovanni Folli (sindaco in questo periodo è il rappresentante delle frazioni: a capo del Comune è il podestà che in questo periodo è Vincenzo Gombi) supplica il podestà di mobilitare il Commissario di Langhirano (da cui Sala dipende per l’ordine pubblico) “perché conceda una guardia più efficiente e non nei soli giorni festivi per sedare i disordini nelle osterie”. Una panoramica dei punti in cui i salesi possono rendere onore a Bacco la offre lo “Specchio delle Osterie, Bettole, Caffè e Vendite liquori del 15 dicembre 1844”: al n. 57 nella borgata di Sala, Ferdinando Bergamaschi gestisce l’osteria denominata “La Posta”; in piazza al n. 43 sotto l’insegna “Ginepro” c’è Cipriano Romani; scendendo al n. 37 “in bassa borgata” (più o meno all’attuale Cantone) si beve da Pietro Alessandrini anche qui sotto l’insegna “Ginepro”; lungo quella che adesso è la provinciale “Ferdinando Maestri” si trova al n. 36 il “Mulino” di Antonio Ronchini ed un’altra insegna “Mulino” compare sulla strada del Casino dei Boschi con Giovanni Avvanzini (!) al banco; dal Casino dei Boschi, si valicano i boschi e si entra in terra di Gaiano, sulla “strada postale di Fornovo”: qui al n. 31 Paolo Folli lavora sotto l’insegna “Il Pavone”, poi sotto il “Ginepro” al n. 9 c’è Girolamo Folli e al n. 4 Lorenzo Calestani; rivalicando il boschi e scorrendo il Baganza verso sud, ma stando sul crinale delle colline, ci si può rinfrescare la gola a San Vitale Baganza sotto un altro “Ginepro”, quello di Luigi Facini. Ci sono poi i caffè: in piazza a Sala al n. 55 lo offre Luigi Ronchini e al n.77 Pietro Alfieri; ce n’è uno anche a Gaiano, in borgata al n. 12 e lo gestisce Gabriele Togni. Ci sono anche vendite di soli liquori: nella borgata di Sala al n. 43 a gestire la rivendita è il “pastaro” Giuseppe Conti, in piazza al n. 47 il farmacista Andrea Navaroli; e al n. 20, nelle cosiddette “Case dell’orologiaro”, Domenico Montali; sulla “strada dello Stato” al n. 36 Antonio Ronchini; due rivendite anche a San Vitale, al n. 8 della borgata c’è quella di Luigi Ziliotti e al n. 15 quella di Monica Pietro. Ci sono poi quelle che vengono qualificate come “bettole” ma senza il significato spregiativo che di solito accompagna questo termine: ce n’è una in bassa borgata vicino al mulino Varron che sotto la solita insegna del “Ginepro” è gestita dal “bettoliere” Quintino Panicieri, poi al n. 65 della borgata apre i suoi battenti la “Bottega da Pizzicagnolo” di Ferdinando Cortesi con rivendita di liquori; rivendita di liquori è anche a San Vitale al n. 8 nella “pasteria” di Marianina Cavazzini; a Talignano, ma sulla strada di Fornovo al n. 1, opera il bettoliere Giuseppe Canali anche lui sotto l’insegna del “Ginepro”; a San Vitale è Pietro Adorni a vendere liquori. Tutti questi esercizi godono di “riputazione buona”, tranne quello di Pietro Monica di San Vitale, perché il suo esercente è “sospetto di tener mano ai figli di famiglia a furti campestri e domestici”. Compilando questo prospetto il podestà di Sala (è il conte Ferdinando Carpintero) per il “direttore di Polizia”, lo integra con queste informazioni e raccomandazioni: “Si è di parere di non concedere permesso di giuoco tranne quello delle pallottole o bocchie, per essere la bassa popolazione di Sala smoderatamente trasportata pel vizio del giuoco, per cui perdendo quanto guadagnano lasciano languire le mogli e i figli nella massima miseria”. Il gioco delle bocce viene concesso, ma a patto che “nei dì festivi non si giuochi nelle ore dei divini Uffizii, e che non si giuochi mai danaro”.
L’osteria è anche punto di riferimento per incontri organizzativi come è avvenuto l’8 febbraio 1810 quando il geografo del governo deve abboccarsi con il salese commissario stradale Giovanni Maestri per fissare i confini delle Mairie limitrofe di Collecchio e San Martino (anche questo come Gaiano sarà assorbito da Collecchio, il 6 gennaio 1866): l’appuntamento è per le 9 all’Osteria della Stradella e ad emettere l’invito-ingiunzione è il sindaco di Sala Michele Varron. Facendo un arbitrario salto di diversi decenni, il 20 giugno 1861 il comandante della stazione dei carabinieri di Sala, Carlogno (così pare di poter decifrare la sua firma), esterna al sindaco le sue perplessità sul mantenimento dell’osteria gestita a Talignano da Antonio Chiapponi, fu Paolo: “Pregiomi di rendere V.S. Ill.ma edotto come sarebbe di utilità la chiusura dell’esercizio o vendita di Licuori [con la L maiuscola e la “c” al posto della “q”] di Chiappone (!) esistente in Talignano. 1. Siccome distante dalla sorveglianza speciale della polizia. 2. Luogo di ricovero, e ristoro dej malviventi. 3. e uno sfogo aj figli di famiglia di giocare g[ior]no e notte: a tutte ore. Il luogo ove esiste detto Caffè trovasi fuori del luogo probabile perciò non vi è bisogno di negozio, onde rinfrescare i passiggeri. Porto quanto sopra a cognizione della saviezza di V.S. Ill.ma per tutte quelle osservazioni che fossero da fare sul riguardo. Se non la chiusura almeno tolto il giuoco delle carte ed il permesso di tenere aperto di notte”. Per stornare da sé ogni sospetto di malacondotta, Chiapponi ingaggia due suoi clienti gaianesi non del tutto analfabeti, ma anche con un certo ruolo autorevole perché uno, Franceschi Stefano, è luogotenente della Guardia nazionale, e l’altro, Angelo Folli, è consigliere comunale, perché diano garanzia scritta della sua buona condotta e della buona fama del locale da lui gestito: ed ottiene i successivi 13 e 14 agosto le loro dichiarazioni che hanno anche il pregio di una simpatica tessitura sgrammaticata: Franceschi si rivolge allo “Stimattisimo Signor Sindaco” e gli dice: “Si e presentato da me Chiaponi Antonio a nome del Signor Sindaco, se posso farci due righe di sua buona condotta. Da molti anni, che conosco il detto Chiaponi, lo sempre conosuto uomo di buona condotta”; analoga testimonianza mette per iscritto il Folli: “E venuto da me il Chiaponi Caffettiere di Taligniano che si facia un ciartificatto di Bona Condota e rispetto a questo ciartifico che non ho avutto maj Raportti e per quando che posio sapere e una persona da bene. Sono ai suoi Comandi e servo”. Ma queste buone parole di autorevoli frequentatori dell’osteria pare che non siano state sufficienti a cancellare il Chiapponi dalla lista dei sospettati di illegalità, perché a ridargli ufficiale patente di onestà deve intervenire la Corte d’appello di Parma e la Giudicatura mandamentale di Fornovo quando lui ha 54 anni; è ancora attivo almeno nel 1866 quando vende un ettolitro e mezzo di liquori e paga al dazio di consumo 12,24 lire. Uno specchio del 1865 denuncia che a Sala dalle 21 rivendite di vino sono usciti 379,42 ettolitri di vino e 24,39 di liquori.
Il 28 aprile 1864 viene depennato dalla lista elettorale amministrativa Ferdinando Adorni, perché, “avendo cessato il suo esercizio di oste ora non raggiunge più il censo stabilito”, ma per un oste che scompare, ne subentrano altri: il 6 aprile 1868 “alla Tebaldi Teresa si concede l’esercizio dell’osteria, in Bassa Sala, che era condotta dal fu Ricchetti Giovanni”; una concessione a tempo sembra quella data a Cesare Bizzi il 27 agosto 1868: “da oggi fino alla fine del corrente anno”; strada aperta per rivendite di vino nelle frazioni: il 26 gennaio 1869 la Giunta avalla l’apertura di una osteria a Gaiano condotta da Giuseppe Bonarini, si conferma la vendita di liquori a Talignano, condotta da Angelo Chiapponi e l’osteria e caffè a San Vitale condotta da Angelo Faccini; muore Onorata Mezzadri Bernini che gestiva a Sala una vendita di vino e “l’esercizio di caffè”, ma l’attività non muore perché viene passata al figlio Pietro Bernini; “data la condotta regolare che ha tenuta e tiene”, il facente funzioni di sindaco Faelli Mederico il 7 luglio 1870 permette a Giovanni Adorni di aprire un esercizio di vendita di vino al minuto; nel 1872 la Giunta comunale concede a Cipriano Brozzi, “vista la sua buona condotta” l’apertura di un “pubblico esercizio di vendita di vino con alloggio e stallo, nella borgata di Sala Baganza, sotto l’insegna del cavallo pel 1° gennaio 1872”; concessione analoga viene fatta a Lodovico Montali che ha chiesto la “licenza di vendita di liquori al minuto con giuoco di carte, in una casa posta in bassa Sala sotto l’insegna dei due bicchieri”, ma l’impresa non ha successo tanto che il 23 settembre 1872 si prende atto che chiude la sua vendita di vino e liquori “per il pochissimo lavoro” e gli si condona la quota di dazio dell’ultimo trimestre. Stessa concessione per un esercizio di “minuta vendita di vino” a Calisto Bergamaschi di 26 anni, figlio di Vittorio, ed anche a Luigi Longhi fu Ferdinando, che venderà vino al minuto “in una casa posta sulla strada detta la Stradella”. Tutti esercizi che si aggiungono a quelli a cui ha concesso il rinnovo della licenza la prima amministrazione postunitaria, guidata dal focoso Augusto Rosazza: Romani Agostino, Vettori Giovanni, Alessandrini Giuseppe, Adorni Ferdinando (a Sala Bassa), Zibana Pietro (Sala Bassa), Merusi Luigi a San Vitale; poi ci sono i “caffettieri rivenditori di liquori e rinfreschi”: a Sala Catterina Maia, Alfieri Pietro, Ghirardi Antonio e Alessandrini Pietro; a Sala Bassa: Alessandrini Maria e Montali Luigi; a San Vitale Ziliotti Maria.
Anche in questo periodo, come già ai tempi della furiosa Rosa Mattei, si definiscono gli orari di apertura e di chiusura calibrandoli sulle – scrive il verbalista della Giunta l’11 ottobre 1871 – “condizioni in cui trovasi il paese nostro” per il quale è necessario che “i pubblici esercizii siano aperti prima dell’alzata [si specifica poi “due ore prima”] – del sole” e questo “in forza dei pubblici mercati di carne suina che si tengono in questa borgata nel giovedì d’ogni settimana dal Novembre al Marzo di ciascun anno”; addirittura è necessario che gli esercizi pubblici stiano aperti l’intera notte “per la grande affluenza de’ negozianti, mediatori e macellai”. In precedenza, nel 1860 osterie e caffè non dovevano aprire prima delle due nei giorni di mercato e delle quattro negli altri giorni da novembre a marzo, e chiudere sempre alle 10 di sera.
Chissà se sono usciti ancora lucidi o simpaticamente brilli quanti hanno partecipato al pranzo offerto dall’amministrazione comunale per la festa dello Statuto albertino celebrata la prima domenica di giugno che nel 1862 cadeva proprio il primo del mese: sindaco è il già ricordato Augusto Rosazza, ma ad agire è Ferdinando Gombi facente funzione di sindaco: ecco lo strano menu che fa ammontare la spesa totale a lire 274,45: Pasta libbre 35; formaggio libbre 3.2.1; distrutto 3, Burro 3, lardo 3, droghe, sale, conserva e verdure lire 1.90; coscetto once otto; al beccaio Romani L. 22.40; Pane libbre 100 L.12; mancia al bifolco del vino L. 0,92; Ova n° 40 L.1,84; Mancia al cuoco e garzone L. 6; Cigari n. 100 L. 7,15; Piselli n. 25 L. 1,86; Olio libbre 2 e candele N. 2 L. 1,86; Bicchieri n. 48 L. 4.40; Vino litri 122: L. 43; vino bianco bottiglie n. 16 a c.mi 92: L. 14,75; Biscotti L. 4.80; Olio per l’illuminazione L. 4,15; Candele ai carabinieri L. 2; Ai signori Conti per pane k. 200 L. 72; Al Sig. Banzola Luigi per pane k 150 L. 54; Per fuochi artificiali L. 3,30; Per carta L. 1,20.
Altro pranzo sontuoso (sindaco è Ferdinando Gombi) il 18 settembre 1864 in onore del prefetto Carlo Verga in visita a Sala (ora già Baganza dal 5 ottobre 1862): a somministrare il pranzo è il “Caffè Ristorante in Sala Baganza condotto dalla Maya Catterina” che manda in tavola: antipasto: salumi: “spala, Salame Culatello e Presiuto” per 15 lire; burro siringato; Sardine Dantes; Diversi legumi in aceto; pranzo: Minestra con erbe; Fritto misto di fegato e Cervelle; alesso Manzo, Pollo e Vitello; Granadine; Polli soli con gelatine; Polli trifolati; Vitello alla Genovese; Arosto Due tachini e Vitello; Filé alla brace; Pesce in salsa; Sorbet alla Prussiana; Due Gelatine una Rum e l’altra Maraschi; Due creme in ghiaccio; legumi in salsa; Pasticeria diverse; frumagi: grovera, sbrenzo e Gongorsola; Fruta Uve persici e peri; Venti caffè; sorbetti, Pane, Trenta bottiglie Vino Nostrano; sei bottiglie Malvagia; Due bottiglie Vino dolce; due bottiglie lambrusca; per la Guardia Nazionale e Banda quattro bottiglie Campagne, quattro delle Bordò Lafite: in tutto ventidue persone: Per salume e Vitello in salsa e pane e vino e caffè lire 44.20; Candele esteariche 5 lire; Cigari lire 5.50; Per trasporto di oggetti dalla reale caserma a qui e di qui alla caserma: L. 3.50; pagato per conto del Municipio a Tanzi Medardo ed a Luigi Longhi L. 5: speso in tutto 614.00 lire.
Insomma di vino a Sala ne è sempre corso e non per caso Sala si regala la Cosèta d’or e vari trofei che riscaldano la Festa della Malvasia e custodisce e propone al mondo il Museo del Vino, anche perché i salesi credono che: Qui bene bibit, bene dormit; qui bene dormit non peccat; qui non peccat, in paradisum vadit; ergo bibamus ut in paradisum vadamus, memori pure che l’acqua è fatta pei perversi e il diluvio il dimostrò, e che cuj ch’i disen che ’l vén al fa mèl, l’é tùta ginta da ospedèl, per cui vale in eterno l’imperativo che pare fosse molto caro anche a Giosuè Carducci: Riempi il bicchier ch’è vuoto, vuota il bicchier ch’è pieno, non lo lasciar mai vuoto, non lo lasciar mai pieno!
Tratto, sintetizzato e adattato dall’intervento di Pietro Bonardi al XII convegno Che ne è della cultura in Val Baganza? sul tema Gli archivi comunali della Valle: miniere di storia inesplorate? – Calestano, Domenica 7 novembre 2021, ore 10,30.