Frutta da bere. Il vino di prugne nei trattati del XIX secolo

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di Paolo Giorgini

Questa ricerca, in gran parte condotta su opere edite nel XIX secolo, prende spunto da un articolo comparso nel 1813 su “Il Giornale del Taro”[1], tratto dalla “Gazzetta di Genova”[2], che a sua volta lo aveva ripreso da “Magasin des Erfindungen”, [Rivista delle Invenzioni], fascicolo 58 (Foto 01).
Al crepuscolo dell’Impero Francese, una ricetta sulla fabbricazione casalinga del vino di prugne, si poteva leggere sull’ultima pagina del giornale cittadino, che aveva sostituito (per breve tempo) la “Gazzetta di Parma”.
“Vino di Prugne. Si prenda un barile e vi si mettano due pinte di acquavite e si riempia di prugne mature aggiungendovi una mezz’oncia di cannella intiera, e mezz’oncia di [chiodi di] garofani, si riempia in seguito tutto il barile di acqua: si chiuda bene e si conservi nella cantina. Dopo aver così lasciato per quattro o cinque mesi, si ottiene un buon vino di un colore rosso cupo”[3].
Non saprei dire se il vino ottenuto seguendo le indicazioni riportate dal “Giornale del Taro”, potrebbe essere simile al vino di prugne sorseggiato in una coppa da champagne dai protagonisti di American Psyco[4], romanzo dello scrittore Bret Easton Ellis.
Forse, potrebbe ricordare il vino di prugne giapponese, o quello cinese, oppure il prodotto ottenuto da diverse ricette del liquore di prugne, presenti oggi sul WEB, alcune, presumibilmente, tradotte letteralmente dall’inglese. Una differenza fra questi prodotti e la ricetta del 1813 è sicuramente rappresentata dalla diversa specie di susine utilizzate: i vini giapponesi e cinesi utilizzano susine del gruppo sino-giapponese, mentre non viene specificata alcuna varietà (e quindi specie) di susine da utilizzare per le ricette tradotte dall’inglese anche se sicuramente quelle usate nell’Ottocento erano susine del gruppo europeo-asiatico.

Cerchiamo allora di rispondere a quattro domande:
1) Quale era la definizione scientifica di vino nell’Ottocento?
2) Quale specie di prugne o susine erano diffuse nel XIX secolo in Europa?
3) Quali varietà di prugne o susine erano più diffuse a Parma, o meglio, quali erano le varietà maggiormente citate dagli autori che si occupavano dell’argomento?
4) Confronto fra le varie ricette del vino di prugne, reperite sui vari testi ottocenteschi o anteriori.

1) Il professor Vincenz Kletzinsky (1826 – 1882), nella sua Relazione dal laboratorio chimico (Vienna, 1873)[5] (Foto 02) sosteneva che: “Il vino è (…) quel liquore alcoolico, che è prodotto dal mosto non cotto mediante fermentazione spontanea. In questi due caratteri sta la differenza tra il vino e la birra, poiché la seconda è prodotta di mosto cotto colla fermentazione promossa mediante l’aggiunta di apposito fermento. Si potrebbe quindi fare anche il vino di orzo o di altri cereali, e se ciò non avviene dipende dal gusto, dalla serbevolezza e forse soltanto dalle abitudini. Ciò non toglie che i cosiddetti vini cotti siano veri vini, poiché quand’anche una parte del mosto venga ridotta mediante cottura a siroppo (sic), viene poi essa stemperata nell’altra parte del mosto non cotta, ed è il fermento naturale, contenuto in quest’ultima parte, che desta la fermentazione vinosa. Quando tutto il mosto d’uva avesse subito l’ebollizione, e che la fermentazione vi venisse destata mediante l’aggiunta di altro fermento, allora ne risulterebbe una vera birra d’uva*.

(*Anche questa definizione non presenta sempre precisione assoluta, quando il fermento aggiunto consiste in mosto crudo della stessa origine del mosto cotto, allora manca l’indicazione della proporzione tra i detti due mosti, che segni il limite tra vino e birra. La Redazione).
Tutti i mosti non cotti, quando contengono zucchero e sostanze albuminose, danno colla fermentazione spontanea veri vini nel stretto senso della parola, qualunque ne sia la provenienza, e da questi vini si ottengono mediante distillazione le acqueviti. Sono quindi vini (…), il vino della canna di zucchero, che colla distillazione dà il Rum; il vino di prugne, che distillato dà lo Sliboviz; il Kumis ricavato dal latte di cavalla, con o senza aggiunta di agarico, il cui distillato è l’Arsa; il Sidro delle mele e delle pere; il Gooseberryvine della grossularia; finalmente il vino propriamente detto ricavato dall’uva, dal quale si ottiene colla distillazione il Cognac.
I vini del Reno non perdono minimamente la qualifica di veri vini quantunque spesso vi vengono aggiunte vermene di betula (sic) al mosto in fermentazione, né certi vini di Francia per l’aggiunta di Cognac, né alcuni vini di Spagna e altri liquorosi per l’aggiunta di luppolo e di aromi diversi.
E nello stesso modo darà il mosto d’uva sempre un vero vino, quand’anche ne venga aumentata artificialmente la proporzione dello zucchero ovvero diminuita quella dell’acqua e degli acidi”[6]. Non pareva della stessa opinione, riguardo al vino di prugne, Gianfranco Pivati, il quale, nel suo Nuovo Dizionario Scientifico e curioso sacro-profano[7] del 1751 (Foto 03), affermava: “Quello che chiamasi vino di prugne, non è per vero dire un vino, ma una certa bevanda che si fanno i Paesani con picciole prugne che follano e lasciano fermentare”[8].

2) Il susino appartiene alla famiglia delle Rosaceae, genere Prunus. Semplificando, è possibile adottare la seguente suddivisione in tre gruppi, fra le varie specie di susini:
a) Susini europei – asiatici,
b) Susini sino-giapponesi (Prunus salicina, Prunus simonii),
c) Susini americani (Prunus americana, Prunus nigra).
Fra i susini europei – asiatici, che sono quelli che interessano la nostra ricerca, le più importanti specie sono: (fra parentesi alcune varietà appartenenti alla specie di Prunus considerata):
– Prunus domestica (Agostana, Regina Claudia, San Pietro, Verdacchia, ecc.), (Foto 04)
– Prunus insititia (Damaschine, Mirabelle), (Foto 05-06)
– Prunus cerasifera (Mirabolano),
– Prunus spinosa (Susino selvatico).
In realtà dai primi decenni del XX secolo si diffusero massicciamente le cultivar, molto produttive, appartenenti alle specie di susini sino-giapponesi (Angeleno, Burbank, Shiro, Sangue di drago, Santa Rosa, ecc.).

3) Una ricerca inedita, inerente le varietà di susine (o prugne) presenti nei territori parmensi nel XIX secolo[9], rileva 17 varietà, fra queste, quelle maggiormente citate dagli autori che, nell’Ottocento, si occuparono dell’argomento, sono: la Zucchèlla (6/6), la Colenghéina (5/6), l’Agostana (5/6), la Moscatéla (4/6), seguono con tre citazioni su sei: la Catalana e la Rangola ovvero Reine Claude, la Regina Claudia, susina prediletta da Ugo Foscolo[10].

4) Nel Nuovo corso completo di Agricoltura teorica e pratica[11], edito a Napoli nel 1832, a proposito della trasformazione delle susine in vino, l’autore era piuttosto critico verso il prodotto ottenuto, ed osservava: “Nel vedere certe susine ripiene di un’acqua sommamente zuccherosa, sembrerebbe che fosse più vantaggioso l’adoperarle per fare del vino, che non lo è l’uva stessa. Di fatto esse fermentano con somma facilità, ma la soprabbondanza della loro parte mucosa fa sì che il vino che da esse viene prodotto perde ogni vigore e non può conservarsi in estate più di quindici giorni, e tutti i saggi fatti in Francia per prolungare la sua durata non ebbero verun risultato vantaggioso. Per approfittare sotto questo punto di vista, conviene mescolarlo con delle pere, mele, sorbe, corniole, prugnole selvatiche, ecc. per dar loro quel principio astringente, che determina la sua conservazione, ed ottenere così un cattivo sidro. Questo liquore, da me più volte bevuto è tutt’altro che gustoso e passa per essere malsano, i poveri però se ne contentano.
In Inghilterra, ove i coltivatori sono ordinariamente più ricercati nei loro cibi e bevande, si mettono le susine sole in fermentazione e quando il vino è fatto, vi si aggiunge un poco di birra, molto carica di luppolo e si dà questa bevanda per molto buona e gustosa anche durevole.
In molti luoghi della Germania e della Svizzera, anche in quella parte della Francia che bordeggia il Reno, si estrae dal vino di susine un liquore alcolico, di cui si fa per già consumo per bere e nelle arti. Questo liquore è meno gustoso senza dubbio dell’acquavite, ma quando è vecchio, vi sono di quelli che lo amano quanto il Kirshenwasser. Se ne potrebbe dunque promuovere l’estrazione nei paesi di vigne”[12].
Nel 1835, la II edizione del Piccolo Archivio di scoperte riguardanti le arti, i mestieri, l’economia domestica e rurale, curiosità chimiche, vernici, tintorie, ecc. ecc., con notabili giunte[13], mutava leggermente la ricetta del vino di prugne, riportata nel luglio del 1813, sul “Giornale del Taro”.
“Vino di prugne. Si prende un grosso barile, vi si versano cinque libbre di spirito di vino, e mezz’oncia di cannella contusa ed altrettanto in [chiodi di] garofani, indi si riempiono di prugne ben mature e finalmente si mette tant’acqua per quanta ne può contenere il recipiente. Si chiude, si mette in cantina e si lascia in questo stato cinque o sei mesi. Dopo questo tempo si otterrà un buon vino di colore rosso oscuro”[14]. Nel capitolo intitolato: Vini diversi fatti senz’uva, nella terza edizione del libro: Modo di conoscere i vini adulterati secondo le norme indicate dall’illustre medico e chimico spagnolo Mathieu Orfila (1787-1853)[15] era indicata la modalità per ottenere il vino di Ciriege [ciliege], ottenibile seguendo la ricetta per il vino di ribes, utilizzabile allo stesso modo per produrre vino di prugne, di pesche, di albicocche. “Vino di Ribes [nel nostro caso Prugne] In un tinello della capacità di boccali 150 ponete 100 boccali d’acqua riscaldata a circa gradi 25, libbre 20 di zucchero, libbre 25 di sugo di Ribes [nel nostro caso Prugne] ed una libbra di sugo di Lamponi. Mescolate il tutto, e ad una temperatura di 20 gradi circa lasciate fermentare il miscuglio, sin tanto che non si manifestano più le bollicine di gaz. Dopo si estrae e si conserva secondo l’uso comune. Volendogli dare maggior colore vi si può aggiungere una certa porzione di Vino d’uva molto colorito, ed anche certi usano unirvi un poco di spirito di vino per dar maggior forza p.e. nella suddetta dose un boccale e mezzo, od al più due.
Vino di Ciriege. Si pratica come per il Vino di Ribes e nello stesso modo si fa pure il Vino di Prugne, di Pesche, Albicocche. Per economia si può sostituire allo zucchero il melasso di zucchero, ed anche volendo se ne può aggiungere in minor quantità, ma allora il vino che ne risulta è più debole. L’aggiunta di Lamponi poi non è di necessità, solo si uniscono perché i Vini riescono di maggior fragranza”[16].
Pietro Valsecchi, nel 1857, nel suo Nuovo ed unico manuale completo del distillatore-liquorista[17] (Foto 07) riportava due ricette del vino di ciriege, affermando che potevano essere ugualmente utilizzate, anche per ottenere vino, da un altro tipo di frutta, prugne comprese. Riportiamo di seguito le formulazioni, sostituendo al termine ciriege, quello di prugne.
“Vino di Prugne. Acqua tiepida a 25°, parti 100 Zucchero o melassa, 10 Succo di prugne, 10 Succo di lampone, 1 Alcole.
1 Preparazione. Si pongano le prime quattro sostanze in recipiente di legno della tenuta di parti 180, indi vi si lascino a una temperatura di 20° circa e si facciano fermentare, allorché cessano le bollicine di gaz si estraggano, e si aggiunge lo spirito di vino e vino ben rosso, per comunicare un bel colore, indi si filtra e si conserva. Altro Alcole puro a 36° parti 1 Zucchero fernambucco* 2. Si prendono prugne di buona qualità, perfettamente mature, una quantità sufficiente, si ammaccano e si spreme il succo portandolo a 35 parti, si mette in fermentazione in luogo temperato a +/- 20°, si effettua in 8 giorni ed anche meno. Si conosce che la fermentazione è giunta al suo fine quando il liquido sia divenuto limpido, ossia perfettamente chiaro. Allora si aggiunge l’alcole e lo zucchero. Si mette la mescolanza in un barile, si colloca in cantina, dove si lascia per un anno, dopo s’imbottiglia”[18]. L’autore nell’illustrare la ricetta del vino di ribes, utilizzando lo stesso procedimento seguito per le ciriege, aggiunge un’altra ricetta riguardante il vino di ribes, affermando che la medesima, potrebbe essere utilizzata anche per altri frutti, fra i quali le prugne. *Fernambucco è una variante antica del nome Pernambuco, città e stato brasiliani, produttori di zucchero.
“Altro prugne parti 24, lamponi 12 Preparazione. Si ottengono con detti frutti 34 parti di sugo che si fa fermentare colle nozioni indicate pel vino di ciriege [prugne]. Quando la fermentazione si è compiuta, si aggiunge al liquido parti 1 di alcole a 36° e di zucchero fernabucco parti 2. Si opera per il resto come per il vino di ciriege [prugne]”[19].
Nello stesso anno del manuale del distillatore sopracitato, era l’articolo pubblicato da: “L’Arpetta. Giornale di amenità letterarie”[20], (Foto 08) stampato a Sambuca in provincia di Agrigento:
“Vino di prugne, albicocche, pesche. Tutti questi vini si preparano a questo modo: schiacciate i frutti in una tinozza ed aggiungete una egual quantità di acqua: lasciate riposare 24 ore, passate il liquido in una paniera di paglia, aggiungete per ogni litro 120 gr di zucchero, fate fermentare e quando il vino sarà chiaro mettetelo in bottiglie. Per il vino di prugne in Inghilterra si preferisce le prugne di Damasco. In alcuni paesi di Alemagna si fa una specie di vino con prugne sostituendo allo zucchero la farina d’orzo. Questo vino ha qualche rapporto con quello del Reno, Per tutti i vini di frutti, si possono diminuire le proporzioni della materia zuccherosa, facendo bollire il liquido per 10 minuti prima della fermentazione. Aggiungendo poche uve secche ai vini di frutti si da generalmente un profumo piacevolissimo”[21].
Il professor Achille Bruni della R. Università di Napoli, era il curatore della Enciclopedia Agraria[22] (Foto 09). Sul terzo volume, edito nel 1859, nel capitolo sull’“Arte di conservare ed adoperare la frutta”[23] riportava la ricetta per ottenere il vino d’albicocca. Con le stesse modalità, affermava l’autore, si poteva ottenere il vino di pesche e il vino di prugne. Per quest’ultimo, l’autore indicava due varietà di prugne utilizzabili con profitto: la Reine Claude e soprattutto la Mirabelle. Sono entrambe susine del gruppo europeo-asiatico, rispettivamente appartenenti alla specie Prunus domestica e Prunus insititia.
“Vino d’albicocche [prugne]. Togliete gli ossi ad una quantità d’albicocche [prugne] ben mature, otto libbre, per esempio, che spargerete in una libbra e mezzo di zucchero in polvere: lasciatele quindi macerare sino alla domane. Fatele bollire in una caldaiuola fino a che l’albicocche [prugne] cominciano a fondere, ritraetele dal fuoco, e poco dopo versatele in un vaso di creta. Quando si saranno raffreddate, gettatevi sopra otto bottiglie di ottimo vino bianco e tre bottiglie di acquavite. Turate ermeticamente il vaso, e lasciate il tutto in riposo per un mese. Ne estrarrete allora con precauzione tutto il liquore che si troverà limpido, passerete il rimanente al feltro e riunirete le due quantità separate. Così avrete ottenuto un vino altrettanto gustoso che quello di Lunel. Si possono porre nel vaso alcuni fra nocciuoli rotti, estraendone però le mandorle. Questo vino può anche prepararsi, non facendo cuocere le albicocche [prugne]. In questo caso si pone una bottiglia di acquavite in più, per impedire la fermentazione che la cottura aveva prevenuta.
Vino di pesche ed altra frutta. Il vino di pesche preparate nel modo anzidetto è ancora più gustoso. Non occorre cercare altre preparazioni della frutta ed altri ingredienti. Il vino di prugne di Reine Claude e soprattutto di mirabelle è pure saporitissimo. In tutti questi vini si può lasciare infondere il legno di alcuni nocciuoli, ma non mai le mandorle. Eglino miglioreranno di molto invecchiando.”[24] Nella seconda edizione del Libro dei segreti[25] , pubblicata nel 1862, (Foto 10) si riportava una ricetta per la fabbricazione del vino di pesche e di altra frutta, prugne comprese, che ricalcava quella della Enciclopedia Agraria, precedentemente citata: “Vino di pesche ed altra frutta [comprese le prugne] Prendi una quantità di pesche [prugne] ben mature, 4 chilogr. per esempio, spolverizzale con ettogr. 7½ di zucchero fino, e lasciale macerare per 24 ore. Indi falle cuocere in una calderuola, fino a che comincino a spappolarsi; ritirale allora dal fuoco, e poco dopo versale in un vaso di creta. Quando si saranno raffreddate, gettavi sopra otto litri di ottimo vino bianco e tre litri di acquavite. Tura ermeticamente il vaso e lascia in riposo per un mese. Spirato questo tempo decanterai con precauzione tutto il liquore che si troverà limpido, passerai il rimanente al feltro, e riunirai le due quantità separate. Così avrai ottenuto un vino altrettanto gustoso che quello di Lunel. Il vino di prugne e soprattutto di Mirabelle, è pure saporitissimo. In tutti questi vini si può lasciare infondere il legno di alcuni noccioli, ma non mai le mandorle. Colle stesse regole si possono preparare vini di ciriege, di ribes, di lamponi e di altra frutta. Si può anche fare un miscuglio di tutte insieme, e di alcune secondo il gusto. In generale questi vini saranno migliori invecchiando. (…) Ora, tutte le frutte zuccherine contenendo più o meno fermento, debbono poter produrre del vino, quando siano poste in favorevoli circostanze. Ma alcune contengono maggior fermento e zucchero e queste debbono essere preferite: tali sono principalmente il ribes e le ciriege. Le prugne, le pesche, le albicocche, ne contengono meno, ma se ne può pure fare vino quando facciasi uso di un po’ di zucchero, e vi si aggiunga del fermento”[26] .
A proposito del vino di albicocca, che nelle due ricette precedenti era paragonato al vino di Lunel, la rivista: “L’Italia Agricola” del 15 gennaio 1876[27], forniva la seguente notizia:
“Vino d’Oporto. Molto del vino che in Inghilterra si beve sotto questo nome è fabbricato colla seguente ricetta: Vino di prugne di Damasco 15 galloni, Acquavite 5 galloni, Sidro 36 galloni, Vino di sambuco 11 galloni. Ci serva di norma![28]” Le prugne di Damasco, dovrebbero essere le damascene o damaschine, susine appartenenti al gruppo europeo-asiatico, alla specie Prunus insititia, originarie della Siria, in particolare di Damasco, note in Inghilterra come Damask plum, damson, in Francia Prunier de Damas, a Parma: mischina[29].

Concludiamo la nostra rassegna sulle ricette per la fabbricazione del vino di prugne, con i suggerimenti, tratti da un giornale tedesco, citato nel 1884 dal “Giornale di Agricoltura Industria e Commercio del Regno d’Italia”[30] (Foto 11): “Vino di Prugne. Chiameremo anche noi così una bevanda che viene suggerita da un giornale tedesco. Il modo di fabbricare questa bevanda è il seguente: Preso un quintale di Prugne ordinarie si schiacciano senza rompere i noccioli, che si devono levare e vi si aggiungono: un ettolitro di acqua e 20 litri di mosto d’uva in fermentazione. Mescolato bene il tutto si mette in un tino, il quale si copre per limitare l’azione dell’aria. In capo a otto giorni si cava il vino, si torchiano i residui e si conserva con le stesse cure del vino, del sidro e simili. Al mosto di vino si può sostituire quello d’uva secca in fermentazione. Aumentando la dose dello zucchero si assicura sempre più la conservazione di questo vino, che fornisce una bevanda eccellente e sanissima”[31].

Note

  1. “Giornale del Taro”, 17 luglio 1813, n. 57.
  2. “Gazzetta di Genova”, 14 luglio 1813, n. 56.
  3. “Giornale del Taro”, cit., p. 252.
  4. Bret Easton Ellis, American Psycho, (1991), Torino, Einaudi, 2001, p.14.
  5. “Atti e Memorie dell’i. r. Società di Gorizia”, anno XIV, n. 19, 20 ottobre 1875.
  6. Id. pp. 364-365.
  7. Gianfranco Pivati, Nuovo Dizionario scientifico e curioso sacro- profano, tomo decimo ed ultimo. Venezia, Milocco, 1751.
  8. Id. p. 364.
  9. Paolo Giorgini, Le varietà di susine (o prugne) presenti nei territori parmensi nel XIX secolo. Ricerca inedita, 2023.
  10. Filippo Orlando, Carteggi italiani inediti o rari antichi e moderni raccolti, vol. I. Firenze, Fratelli Bocca, 1894, pp. 8-9, nota 4.
  11. Nuovo corso completo di agricoltura teorica e pratica, ossia Dizionario Ragionato ed Universale di Agricoltura. Prima edizione napoletana, volume XXIX. Napoli, Minerva, 1832.
  12. Id. pp. 293-294.
  13. Piccolo archivio di scoperte riguardanti le arti, i mestieri, l’economia domestica e rurale, curiosità chimiche, vernici, tintorie, ecc. ecc., seconda edizione, vol. II. Napoli, Dalla Stamperia e Cartiera di Fibreno, 1835.
  14. Id. pp. 152-153.
  15. Modo di conoscere i vini adulterati secondo le norme indicate dall’illustre chimico Orflla coll’indicazione delle sostanze adoperate dai mercanti di vino che commettono tal frode ed una maniera facile ed economica di fare diverse qualità di vino senz’uva di ottimo gusto senza pregiudizio alla salute, terza edizione. Trieste, Tipografia del Lloyd Austriaco, editore Messaggi di Milano, 1854.
  16. Id. pp. 13-14
  17. Pietro Valsecchi, Nuovo ed unico manuale completo del distillatore-liquorista. Milano, Francesco Sanvito, 1857.
  18. Id. p. 440.
  19. Id. p. 446.
  20. “L’Arpetta”, Anno I, n. 28, 10 gennaio 1857.
  21. Id. p. 219.
  22. Achille Bruni, Enciclopedia agraria, volume terzo. Napoli, Marghieri – Pallerano, 1859.
  23. Id. p. 356.
  24. Id.
  25. Il Libro dei segreti, Seconda edizione. Milano, Emanuele Rossi, 1862.
  26. Id. pp. 476-477.
  27. “L’Italia Agricola”, a. VIII, n. 1, 15 gennaio 1876.
  28. Id. p. 20.
  29. Paolo Giorgini, Mischina. Ricerca inedita, 2022.
  30. “Giornale di Agricoltura Industria e Commercio del Regno d’Italia”. Anno XXI, Numero 21 e 22, Bologna, 15 novembre 1884.
  31. Id. p. 505.