Se il vino è un tesoro spesso inestimabile per valore o per il suo potere evocativo di ricordi e sensazioni, la bottiglia è il suo inespugnabile ma delicato forziere. Non si può usare la forza perché potrebbe andare in frantumi e disperdere per sempre il contenuto; non si può titubare con gesti leggeri perché non si schiuderà a noi per magia. Ci vuole ingegno (e genio, come quello di Da Vinci) e tecnica. E dalla loro unione è nato il cavatappi. Oggetto meraviglioso e affascinante di cui il Museo del Vino di Sala Baganza conserva una collezione unica e originale.
Stappare una bottiglia di vino è un rito che grazie alla successione di gesti misurati permette di pregustare la gioia del bicchiere. A questo rituale contribuisce in modo fondamentale il cavatappi. Con questo piccolo strumento, quando si stappa una bottiglia, secoli di storia passano tra le nostre mani.
La sua origine potrebbe essere databile alla metà del XV secolo, probabilmente derivata dall’attrezzo a spirale usato dai soldati per rimuovere le palle di piombo incastrate nelle canne dei fucili ad avancarica.
Secondo un’altra ipotesi il precursore dei cavatappi sarebbe stato il punteruolo per botti: in una pala d’altare databile alla metà del 1400, oggi alla Gemaldegalerie di Berlino, è raffigurata una suora che, con questo strumento, spilla vino da una botte.
La forma definitiva a noi oggi nota compare in alcuni schizzi di Leonardo da Vinci (1452-1519) presenti nel Codice Atlantico (Biblioteca Ambrosiana, CA f. 362 v-a), forse databili al periodo milanese tra il 1482 e il 1499, quando l’inventore, «alla corte di Ludovico il Moro con la carica di maestro di feste e banchetti, cominciò a studiare un sistema per introdurre tappi di sughero nelle bottiglie, allora poco utilizzate».
Tuttavia la diffusione ampia e capillare del cavatappi si registra solo dopo la metà del Seicento, con l’uso di invecchiare il vino in bottiglia promosso dagli inglesi e legato alla tecnologia di produzione delle bottiglie “nere” più robuste e regolari. Sino ad allora il commercio del vino si era servito di fusti e botti. La bottiglia e il boccale erano utilizzati solo per portare il vino dalle cantine alla tavola e le bottiglie erano tappate con pezzi di legno avvolti con canapa o stoppa, ma l’imbottigliamento era comunque destinato a durare poche ore o pochi giorni. Grazie alle bottiglie “nere” inglesi, l’imbottigliamento divenne un metodo di conservazione, spedizione e commercio su larga scala, favorendo anche la diffusione del cavatappi.
Molti dei primi esemplari, commissionati dai nobili, venivano realizzati da artigiani di fama che creavano piccoli capolavori in oro o argento, che le dame appendevano in vita alla chatelaine – una placca con numerosi morsetti ai quali agganciavano gli accessori “indispensabili” alla vita di società – mentre i gentiluomini li fissavano alla catena dell’orologio o li inserivano nel bastone da passeggio.
Nel 1795 il reverendo Samuel Henshall (1765-1807) registrò in Inghilterra il primo brevetto per un cavaturaccioli, favorendo il passaggio dalla produzione artigianale a quella in serie.
Da allora fu un susseguirsi di innovazioni e brevetti: agli inizi del XIX secolo nacque il cavatappi detto “a farfalla”; nel 1828, in Francia, quello “a rubinetto”, dieci anni dopo quello “a doppia vite”.
Per avere il primo brevetto italiano sarà necessario attendere il 1864. Nacquero poi i cavatappi “a cremagliera” o “a pignone” e quelli “a manovella”, che ricordavano dei mini macinini da caffè; il cavatappi che noi più conosciamo, “a leve laterali”, risale alla fine dell’Ottocento.
Nel 1877 è documentata a Milano l’esistenza di una “Società del Tirabusciòn” di appassionati che fece realizzare un modello personalizzato di cavatappi per i suoi soci.
La continua ricerca tecnica ed estetica ha fatto di questo oggetto uno fra i più rappresentativi testimoni di epoche, mode e gusti. Un mondo di cultura e di antiche tradizioni racchiuse in un piccolo, indispensabile utensile che oggi racconta la sua storia all’interno del Museo del Vino di Sala Baganza. Qui, in un allestimento elegante e suggestivo, si potrà vedere una parte dell’importante collezione dei Musei del Cibo che raccoglie esemplari dalle forme e dimensioni più diverse: alcune frutto dell’arte di noti designer, altre dissacranti oppure divertenti con citazioni del mondo POP dei fumetti o del cinema. Si rimarrà affascinati dal più piccolo esemplare di pochissimi centimetri, usato dalle signore nella loro toletta per aprire delicati flaconi di profumo che regala a questa collezione la capacità di stupire.