La diversità del vino non dipende solo dalle varietà dei vitigni ma comprende, in gran parte, i trattamenti che vengono fatti all’uva; in base al metodo di produzione e alle varie fasi di lavorazione, il vino cambierà radicalmente le sue qualità e i suoi attributi. Oggi analizzeremo una fase in particolare, che può prender parte o meno al processo di vinificazione: la fermentazione malolattica.
Come tutti sappiamo la fermentazione è il processo alla base della produzione del vino: grazie appunto a questo fenomeno, si trasforma il mosto d’uva in vino. Quello che però molti non sanno è che, soprattutto nei vini rossi, può avvenire una seconda fermentazione, detta malolattica.
La fermentazione malolattica è quindi un’ulteriore fermentazione, successiva alla fermentazione alcolica, che può essere fatta o meno, in base alle qualità organolettiche che vogliamo ritrovare nel vino. A livello chimico, sostanzialmente, quello che succede durante questo processo è la conversione dell’acido malico in acido lattico: questo mutamento provoca diversi cambiamenti nel vino; la prima funzione è proprio quella di disacidificazione, ovvero giungere ad un aumento del pH. Il secondo aspetto che si provoca partendo da questa fermentazione è di tipo organolettico, infatti grazie alla malolattica il vino assumerà note aromatiche e odorose più complesse e uniche. Una ulteriore caratteristica è la riduzione dei tannini. I tannini sono composti che nel vino causano astringenza e che possono essere ricercati oppure no, perciò se favoriamo la fermentazione malolattica sarà anche perché vogliamo ridurre il senso di astringenza di un vino.
A livello chimico-biologico la fermentazione è ben più complessa di quanto fin qui descritto; questo testo, infatti, vuole solamente accennare, a grandi linee, agli scopi della malolattica e alle conseguenze che ritroviamo nel prodotto imbottigliato.