Nel lontano 1977 i viticoltori delle colline parmensi si sono riuniti in Associazione, con lo scopo di tutelare e promuovere la produzione vinicola locale, difendendo ed esaltando le eccellenze del territorio. Sin dai tempi delle prime riunioni di Casatico, piccole realtà hanno collaborato con coraggio, affrontando sfide e difficoltà sempre nuove. Ad oggi il Consorzio volontario per la tutela dei vini dei Colli di Parma coinvolge ben 42 aziende produttrici di uve, 22 delle quali provvedono autonomamente ad imbottigliare il loro prodotto finito. Come spesso accade, sono le realtà locali ad avere a cuore, oltre che i propri interessi commerciali, le sorti stesse del territorio e la cura delle sue bellezze: un legame inscindibile basato sul rispetto della natura e dei suoi frutti.
Maurizio Dodi ricopre il ruolo di Presidente del Consorzio dal marzo 2011, ed è attivamente coinvolto nelle attività delle aziende ad esso legate. Nel difficile scenario proposto dalla pandemia, Dodi si dice ottimista per il futuro, deciso nell’avviare una collaborazione con altri Consorzi, in primis quello di Piacenza, per unire le risorse e ridare uno slancio alle aziende locali. Il territorio di Parma non è d’altronde nuovo a momenti di incertezza e crisi. La risposta, nelle parole di Dodi, è cercare di: “unirsi per crescere insieme”.
Le sfide del passato
L’epidemia di fillossera, un parassita giunto in Europa nella metà dell’Ottocento, rappresentò un primo momento di stop per l’intero ciclo produttivo del vino parmense. Il Presidente Dodi ci racconta di un vero e proprio cataclisma per il mondo vitivinicolo di Parma, costretto a reinventarsi dopo l’inaspettato arrivo della piaga attorno al 1907. «La fillossera attacca le radici delle barbatelle, le piante della vite – racconta Dodi – distruggendo completamente il cosiddetto “piede”». L’epidemia di fillossera non è stata debellata con l’impiego di pesticidi o altri agenti chimici, ma si è invece trovata una soluzione estremamente ingegnosa: la viticoltura “resistente”. «Il piede della barbatella – prosegue – viene sostituito con quello di una vite americana, luogo di origine della fillossera. Così facendo i vitigni riescono a sopravvivere agli attacchi dei parassiti».
Appena dopo lo scoppio del primo focolaio, i tecnici parmensi batterono tutto il territorio, mostrando ai contadini come dovevano essere fatti gli innesti e per convincerli a ricostituire i filari con viti non più autoctone, ma innestate su varietà americane più resistenti, dimostrando loro che l’innesto non avrebbe portato mutamento alla qualità ed al gusto del vino. Si diffuse anche la tradizione di piantare una “rosa sentinella” alla testa di ogni filare, in quanto più sensibile all’oidio, in grado di segnalare in tempo utile un eventuale focolaio. Gli innesti sono ancora la tecnica più diffusa per arrestare la fillossera e altri funghi come la peronospora, due piaghe che causarono un lungo periodo di crisi della viticoltura europea.
Le sfide del presente
Le recenti restrizioni hanno bloccato qualsiasi attività pubblica del Consorzio, dall’atteso “Festival della Malvasia” dello scorso maggio alle stesse riunioni dell’Associazione. «La compresenza è un elemento importantissimo per la nostra realtà – chiarisce il Presidente – specie con le nuove collaborazioni come quella con “Parma Quality Restaurant” e coi Consorzi degli altri prodotti di Parma». Alle realtà locali non resta che attendere i prossimi sviluppi, sperando in un progressivo miglioramento della situazione. La recente nomina di Parma come “Città creativa UNESCO per la gastronomia” rappresenta certamente una gratificazione per produttori e residenti, ma coincide con la responsabilità di rispettare standard elevati. Nell’attuale scenario non è certamente semplice impegnarsi in tal senso.
Un futuro sostenibile
I recenti sviluppi hanno reso evidente la centralità della questione ecologica, invitando aziende grandi e piccole a riflettere sulle conseguenze del proprio operato. Le aziende del Consorzio, nelle parole del Presidente, hanno sempre puntato sulla sostenibilità e su iniziative che rispettassero la stagionalità e la morfologia del territorio: «Se nei primi anni ci siamo occupati più intensamente del vino come prodotto finito, ora ci concentriamo moltissimo sulla tutela del terreno. Molte aziende hanno ridotto drasticamente l’uso di pesticidi, altre sono passate totalmente al biologico». Questi accorgimenti non sono solo frutto di una idea “green”, ma sono funzionali a rendere i vigneti dei luoghi sani, attorno ai quali sviluppare perfino dei percorsi per i visitatori, altro progetto in via di formazione per un prossimo futuro. Insomma, adattarsi alle esigenze dell’ambiente, equivale a godere pienamente dei suoi frutti, lavorando insieme perché anche le generazioni future possano beneficiarne.