Il timore dell’esplosione dei vasi vinari

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Dall’ invenzione dell’apparecchio condensatore di Mademoiselle Elisabeth Gervais da Montpellier alla macchina enopea del parmigiano Camillo Pariset

di Paolo Giorgini

Chiuderò questo articolo coll’avvertire chi leggesse il mio scritto, che far agire la fermentazione vinosa in una botte di grande tenuta, senza qualche mezzo di precauzione all’esplosione della stessa, sarebbe un azzardo troppo spinto. Io non consiglio quindi alcuno a cimentarsi, mentre potrebbe risentirne i funesti effetti della propria imprudenza, e molto più se le botti fossero, come le mie, spalmate tutte di resinoso cemento, colle quali si ottiene una quasi perfetta ermeticità; a fronte che altri sostenga, e che io stesso sperimentai con una botte però di minore tenuta riuscire senza pericolo la fermentazione in vasi chiusi, benché non premuniti di valvola idraulica, od altro apposito strumento di sicurezza”[1].
“[…] Quando […] le botti sono ermeticamente chiuse, può accadere che la tensione interna del gaz e del vapore aumenti al punto di produrre lo scoppio delle botti colla rottura dei cerchi di ferro e la perdita totale del contenuto. Molte volte non ci si accorge di questo accidente che allorquando una o molte botti hanno fatto una specie di esplosione e perduta gran parte del vino”[2].

Il presente breve scritto prende le mosse dall’intervento di Pierstefano Berta al Convegno di Canelli del 18 novembre 2011: Enologia Italiana del 1800[3], riguardante: Le prime macchinette in cantina: il mito di M.lle Gervais[4].

[1] Pietro Stancovich, Nuovo metodo economico-pratico di fare e conservare il vino. Milano, Silvestri, 1825, pp 75-76.

[2] “L’Economista”. Milano, Società tipografica de’ classici italiani, 1846. Anno IV, vol. II, p. 101.

[3] Enologia Italiana del 1800, a cura di Giusi Mainardi e Pierstefano Berta. Atti del Convegno di Storia del vino e della vite in Italia, Canelli, 18 novembre 2011, Canelli (AT), Edizioni OICCE.

[4] Id. pp. 27-46.