Uva d’promission

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La Volpe avrebbe spelluzzicato volentieri qualche cosa anche lei: ma siccome il medico le aveva ordinato una grandissima dieta, così dové contentarsi di una semplice lepre dolce e forte con un leggerissimo contorno di pollastre ingrassate e di galletti di primo canto. Dopo la lepre si fece portare per tornagusto un cibreino di pernici, di starne, di conigli, di ranocchi, di lucertole e d’uva paradisa, e poi non volle altro“[1].

Se la volpe avesse cenato in una osteria di Parma, probabilmente avrebbe terminato la cena con l’uva d’promission, sinonimo dell’uva paradisa, che l’oste del Gambero Rosso servì alla volpe.

Malaspina[2] nel 1859 traduceva dal dialetto parmigiano l'”Uva d’promissiòn“[3] con Uva paradisa.

Fra le varietà di uva coltivate in Toscana, Acerbi[4], nel 1825, citava l’uva paradisa: “73° Uva Paradisa. È bianca, grossa e molto dura, perciò si serba per l’inverno e si vende per mangiarsi in tal tempo per frutta, essendo anche di squisito sapore“[5].

Rovasenda[6] nel 1877, riportava che l’uva Paradisa bianca di Bologna era una varietà bellissima di uva dorata, fra le migliori da mensa, e da consumo nell’inverno[7].

Viala, nel 1909, nella sua Ampélographie[8], citava l‘uva Paradisa quale sinonimo di Verdea, e l’uva Paradisa bianca di Bologna, Paradizia (Verdea)[9].

Si rimanda alla scheda sull’uva angila nella quale è riportata la descrizione di Filippo Re (1818), del semplice modo di conservare le uve di varietà paradisa (che Re riteneva essere la garganica di Crescenzi) ed angila.

Note

  1. Collodi Carlo,. Le avventure di Pinocchio. Storia di un Burattino, Firenze, Felice Poggi Editore Libraio, 1883, pp. 67-58.
  2. Malaspina Carlo, Vocabolario Parmigiano- Italiano, vol. IV, Parma, Tipografia Carmignani, 1859.
  3. Id. p. 356.
  4. Acerbi Giuseppe, Delle viti Italiane, Milano, Giovanni Silvestri, 1825.
  5. Id. p. 281.
  6. Rovasenda Giuseppe, Saggio di una ampelografia universale, Torino, Tipografia Subalpina di Stefano Marino, 1877.
  7. Id. p. 134.
  8. Viala P., Vermorel V., Ampélographie, tome VII, Paris, Masson et C., 1909.
  9. Id. p. 134