Uva d’oro

Home/Uva d’oro

L’unico distretto che presentava l’uva d’oro, nel corso del censimento del 1771, voluto da Du Tillot[1], fu quello di “Castelvetro Piacentino (20)”[2], per il quale il rilevatore scriveva: “La vite più comune è denominata uva d’oro ed è una specie di fortana”. Sono quasi tutte uve nere, quelle tenere e dolci riescono male. Maturano nel mese di ottobre“[3] Nella Statistica Generale degli Stati Estensi, compilata da Carlo Roncaglia[4], fra le uve colorate di qualità comune dei territori cispennini, era presente l’uva Dall’oro o d’oro[5].

Casali[6] riportava quali sinonimi: l’òva da l’or, rimandando a òva d’or, òva d’òra e fortana[7].

Nei territori lombardi, in particolare nei territori milanesi, nel 1791, Mitterpacher[8] citava brevemente l’uva d’oro: “Vite dell’uva d’oro nativa di S. Colombano, fa uva nera, di sapor dolce e preziosissima non meno per mangiare, che per far vino, e si stagiona durante l’inverno“[9]. Nel 1814 Cherubini[10] menzionava l’uga d’ora o s’ciava carnosa[11], senza però esser riuscito a trovarne il corrispondente nome toscano o nome scientifico.

Nell’edizione del 1843, Cherubini[12] scriveva di un’uga d’or o s’ciava carnosa riferendosi per la traduzione all’uva d’oro di Soderini[13] (in realtà Soderini scriveva: “L’uve che si chiaman d’oro se ne trovano assai nel Bolognese somigliano nell’ingiallare le sancolombane mature smaccate son buone in cibo e fanno gustevole vino“[14].

Interessante la descrizione dell’uva d’oro che nel 1813, inviò alla rivista Annali dell’Agricoltura del Regno d’Italia, diretta da Filippo Re, Giuseppe Comolli[15], professore di Agraria e Botanica nel R. Liceo di Como: “La vite che produce l’uva d’oro, nota a qualche coltivatore sotto il nome di schiava carnosa si trova sufficientemente propagata nei nostri vigneti. Le sue foglie sono assai larghe, quinquelobate, e di colore verde-carico, i tralci lunghi con nodi grossi e fitti, e i grappoli grandi e grossi con acini oblunghi, grossi, rari coperti di una buccia dura ed assai nera. Le uve che si mantengono acidette ancorché mature marciscono difficilmente quantunque siano colte di frequente dalla pioggia, e danno un vino molto colorito, e pieno, il di cui sapore è aspro“[16].

Nel 1819, Fabroni[17], fra le varietà di uva, coltivate nei territori della Lombardia austriaca inseriva: “Uva d’oro. Uva nerissima, di sapor brusco, ottima da fare il vino“[18].

Nel 1825, Acerbi[19] pubblicò una monografia sulle uve dell’Oltrepò pavese a cura del professor Giuseppe Moretti[20],fra le uve colorate era presente la varietà: “Uva d’oro.

Foglie leggermente 3-4-5 lobate: lembi dentellati, con denti acuti, picciuolo di 4 a 5 centimetri di lunghezza: superficie superiore liscia, lucida, e di un bel verde chiaro; inferiore assai cotonosa bianca. Grappolo ed acino quasi simile alla precedente n.° 9 [è la varietà Ciau, con acino tondo e molto grosso ndr.]. Dà però un vino più saporito, e matura più tardo“[21].

Nel 1827, nel mantovano, Cherubini[22] citava un ua d’or[23] traducendola con sancolombana, traendolo dal Targioni Tozzetti e definendola un’uva nera buona da vino.

Nel 1842 Luigi Preti[24] indicava fra le uve in passato più coltivate nel mantovano, l’uva d’oro[25].

Le viti di uva nere coltivate nel bolognese nel 1812, elencate da Filippo Re[26] comprendevano l'”uva d’oro Tan.[ara] vitis uva aurea?“[27]. Nel 1845 su Il Felsineo[28] era riportata la traduzione nel dialetto bolognese dell’uva d’oro: u d’or.

Sacconi[29] nel 1697 citava la vite detta uva d’oro[30].

Nel 1569, il nobile bresciano Agostino Gallo[31] inserì, fra le uve non buone da mangiare, ma produttive: l’uva d’oro: “Non meno [rispetto a coevere e corvarole] per uve non buone da mangiare si piantano in gran quantità quelle che sono dette uve d’oro, le quali producono sempre vino in copia, ma debole e di poco colore, e per quello molti le accompagnano con le groppelle o marzamine“.

Note

  1. Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro Du Tillot a 41-50 b. a 42.
  2. Archivio di Stato di Parma, Archivio…cit.: Bargelli Claudio, La Città dei Lumi, Parma, MUP, 2020, p.175 e p. 180.
  3. Id.
  4. Roncaglia Carlo, Statistica Generale degli Stati Estensi, volume secondo, Modena, Tipografia di Carlo Vincenzi, 1850.
  5. Id. p. 420.
  6. Casali Carlo, I nomi delle piante nel dialetto reggiano, Reggio Emilia, Tipografia Bondavalli, 1915.
  7. Id. p. 52.
  8. Mitterpacher Lodovico, Elementi d’Agricoltura, tomo II, Milano, Giuseppe Galeazzi R. Stampatore, 1791.
  9. Id. p. 13.
  10. Cherubini Francesco, Vocabolario Milanese – Italiano, tomo II, P-Z, Milano, Stamperia Reale, 1814.
  11. Id. p. 261.
  12. Cherubini Francesco, Vocabolario Milanese – Italiano, vol. IV, R-Z, Milano, Regia Stamperia, 1843.
  13. Id. p. 458.
  14. Soderini Giovanvettorio, Coltivazione toscana delle viti e di alcuni alberi, Firenze, Giunti, 1622, p. 100.
  15. “Annali dell’Agricoltura del regno d’Italia compilata dal cav. Filippo Re”, tomo XVIII, aprile, maggio e giugno, 1813, Milano, Stamperia di Giovanni Silvestri.
  16. Id. p, 184.
  17. Fabroni Adamo, Dell’arte di fare il vino per la Lombardia e metodi pratici per fare i migliori vini toscani, Milano, Giovanni Silvestri, 1819.
  18. Id. p. 21.
  19. Acerbi Giuseppe, Delle viti italiane, Milano, Giovanni Silvestri, 1825
  20. Id. p. 53-62.
  21. Id. p. 59.
  22. Cherubini, Francesco, Vocabolario Mantovano – Italiano, Milano, Gio. Battista Bianchi e C., 1827.
  23. Id. p. 177.
  24. Preti Luigi, Notizie statistiche della città e provincia mantovana, Mantova, Tipografia di F. Elmucci, 1842.
  25. Id. p. 39.
  26. Rapporto a sua eccellenza il sig. ministro dell’Interno sullo stato dell’Orto agrario della R. Università di Bologna, Milano, Giovanni Silvestri, 1812.
  27. Id. p. 47.
  28. “Il Felsineo”, 4/3/1845, a.5, n.40.
  29. Sacconi Francesco Persio, Ristretto delle piante, Vienna d’Austria, Andrea Heyinger, 1697.
  30. Id. p. 121.
  31. Gallo Agostino, Le venti giornate dell’agricoltura e de’ piaceri della villa, Brescia, Stamperia di Giambattista Bossini, 1775, p. XIII.