Uva bifera

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“Non è men prodigiosa quella delle Smirne, che secondo Marc. Var. dicesi bifera, perché produceva l’uva due volte l’anno”[1].

Ilario Peschieri[2], nel 1828, si rammaricava dell’assenza di una monografia sulle varietà delle uve dello Stato Parmense all’interno dell’importante opera del mantovano, di Castelgoffredo, Giuseppe Acerbi[3]: Delle viti italiane, pubblicata nel 1825, a due anni dall’altrettanto importante articolo, dello stesso Acerbi: Tentativo di una classificazione geoponica delle viti, comparso sulla rivista Biblioteca Italiana[4], diretta dallo stesso Acerbi e riproposto nel 1825 insieme a svariate monografie sulle varietà di uva, provenienti da corrispondenti di vari stati italiani. Nella stessa situazione di Parma, riguardo alla mancanza di monografie sulle varietà di uva, si trovavano il Ducato di Piacenza, di Guastalla ed anche i territori Estensi. “In un quaderno della Biblioteca Italiana (quello di Giugno 1823) il Sig. Giuseppe Acerbi ora il I. R. Console Generale in Egitto progettò una Classificazione geoponica delle viti, e nel 1825 per le stampe del Silvestri di Milano uscì un libro contenente, giusta il pensiero del Signor Acerbi, alquanti materiali per servire a detta classificazione nonché alla monografia e sinomia. Ivi è parlato di gran parte delle viti italiane, di nessuna di quelle dello Stato Parmense; segno evidentissimo che a nessuno de’ nostri vide il progetto del Signor Acerbi, e non si curò, e non credette facile impresa assecondare sì utile disegno“[5].

Questa lunga premessa per dire che, in realtà, Acerbi una particolare varietà d’uva piacentina la menzionò: si trattava dell’uva bifera segnalata nella città di Piacenza.

Più precisamente Acerbi, nell’illustrare il suo sistema di classificazione delle viti, basato sulla descrizione di tutte le parti della vite: “1° il fusto, 2° le foglie, 3° il frutto, 4 ° i semi, 5 ° l’indole, 6 ° finalmente comprendere le annotazioni di vario genere“[6].

Su quest’ultimo punto, Acerbi precisava alcuni particolari: “6° Annotazioni. Se indigena o forestiera, e portata da chi, se porta frutti più di una volta l’anno (3) (…)”[7]. La nota (3): “Plinio parla di una vite bifera come di una maraviglia di Tacape, città dell’Africa. A Mantova abbiamo una vite che porta fiori e frutti fino a Natale. Un’altra avvenne a Piacenza nel giardino appartenente alla Cittadella. I nostri lettori troveranno registrate ambedue nel catalogo della nostra raccolta“[8]. Nella stessa opera ampelografica di Acerbi, il dottor Ciro Pollini descriveva le varietà di uve veronesi[9], fra le uve bianche, era presente: “Che fa due volte veronese (Uva di due volte dei Toscani, Vitis vinifera bifera Mich.). Coltivasi in qualche orto della città per la rarità sua“[10].

Vite, che frutta due volte l’anno, Vitis bifera Plin. lib.18, cap. 22. In Africa, super omnia es, biferam vitem: bis anno vindemiare. Et nisi multiplici partu exinaniatur ubertas, pereunt luxuria, singuli fructus“[11].

Note

  1. Coronelli Vincenzo, Biblioteca Universale sacro-profana, tomo I, A-AE, Venezia, Antonio Tivani, 1701, p. 52.
  2. Peschieri Ilario, Dizionario Parmigiano-Italiano, vol. II, R-Z, Parma, Stamperia Blanchon, 1828.
  3. Acerbi Giuseppe, Delle viti Italiane, Milano, Giovanni Silvestri, 1825.
  4. “Biblioteca Italiana”, giugno, 1823.
  5. Peschieri cit. p. 647.
  6. Acerbi cit. p. 25.
  7. Id.
  8. Id.
  9. Id. pp.223-249.
  10. Id. p. 243.
  11. Felicius Felix, Onomasticum romanum, Venetii, Paulum Balleonium, 1681, p. 839.