
La mappa del percorso
Sala Baganza, borgo della pedemontana parmense, è terra ricca di cultura, di storia e di tradizione enogastronomica: situato sulla strada del Prosciutto di Parma, è zona di produzione del Parmigiano Reggiano e della Malvasia, racchiudendo, così, la triade enogastronomica del territorio.
Un percorso che parta dalla Rocca Sanvitale, salga verso i primi colli e rientri al centro abitato permette di assaporare arte, storia, gastronomia e territorio.
L’itinerario

Sala Baganza – La Rocca vista dal giardino (Foto Alessandro Bianchi).
Il percorso di visita inizia nel cuore di Sala Baganza, in Piazza Antonio Gramsci, pronta ad accogliere i visitatori con la sua atmosfera raccolta e autentica. Un tempo fulcro della vita del borgo ducale, la piazza si apre sulla parte superstite della maestosa Rocca Sanvitale affiancata dall’elegante facciata dell’Oratorio dell’Assunta.
Al centro della piazza vigila il Monumento ai Caduti, opera dell’architetto Mario Vacca (1887-1954), la cui accentuata verticalità sembra suggerire simbolicamente un’ascesa trionfale delle anime dei Caduti. È composto da due alte colonne in marmo, sormontate da aquile in bronzo, unite centralmente da una epigrafe dedicatoria (sul lato Ovest), e dall’elenco dei Caduti della Prima e della Seconda guerra mondiale. La statua bronzea originale, raffigurante il fante vittorioso, venne fusa durante la Seconda guerra mondiale, ma nel 2022, in occasione del restauro complessivo dell’opera, è stata posizionata una sagoma che riprende la forma della scultura, andando a ripristinare l’equilibrio originario tra semplicità e memoria storica, tra quotidianità e racconto.
Altra protagonista della piazza è la Rocca Sanvitale. Il Castello, inizialmente concepito come dimora dei Sanvitale, ricoprì ben presto un ruolo di primaria importanza nella difesa del borgo.
Nel XIII secolo, Tedisio Sanvitale (1220c.-1280c.) ottenne il feudo di Sala Baganza ed entrò in possesso del preesistente Torrione di San Lorenzo. Nel corso dei secoli, il castellum venne trasformato in una dimora signorile e subì ingenti modifiche dal XV secolo, grazie a Giberto III Sanvitale. Quest’ultimo, infatti, ottenne da Gian Galeazzo Sforza (1469-1494) la nomina di conte e l’autorizzazione ad ampliare il proprio castello: è all’epoca della famiglia Sanvitale che risalgono gli affreschi delle sale del primo piano: Sala delle Capriate, Gabinetto dei Busti, Sala dell’Eneide, Camerino del Baglione e Sala d’Ercole, decorate da esponenti della scuola emiliana del Cinquecento da Cesare Baglione (1550-1590) a Ercole Procaccini (1515-1595) a Orazio Samacchini (1532-1577).
La decadenza della Rocca di Sala Baganza iniziò quando i Farnese – insediatisi alla guida del Ducato di Parma nel 1545 ed entrati in possesso dei beni dei Sanvitale – stabilirono in modo definitivo la loro residenza a Colorno. Così Ranuccio II Farnese (1630-1694) destinò l’edificio salese a sede estiva per i cadetti del Collegio dei Nobili. Tra il 1724 e il 1727, il duca Antonio Farnese (1679-1731) promosse importanti lavori di ampliamento e restauro, noti come la “giunta di camere”, per adeguare gli ambienti della Rocca alle esigenze funzionali e ai nuovi gusti del Settecento.
Il Giardino Farnesiano, voluto da Antonio Farnese, si estende su tre ettari sul lato di levante. Nel corso dei secoli ha subito numerosi cambiamenti. Nasce come un giardino potager, un “orto/giardino” in cui le piante da frutto e gli ortaggi, disposti secondo un preciso disegno decorativo, venivano coltivati sia per abbellire lo spazio, sia per l’utilizzo in cucina. Abbandonato nell’Ottocento, il giardino è stato restaurato dall’architetto Carlo Bontempi (1954-) seguendo il progetto settecentesco e riaperto al pubblico nel 2009.
Con la morte prematura di Antonio e l’estinzione della linea maschile dei Farnese, nel 1733 il Ducato passò ai Borbone, che inaugurarono una nuova stagione di splendore per la dimora. Maria Amalia d’Asburgo (1746-1804), moglie di Ferdinando di Borbone (1751-1802), appassionata di caccia e desiderosa di allontanarsi dalla corte di Colorno dove risiedeva il marito, reclamò per sé l’uso esclusivo della Rocca.

Sala Baganza – La Rocca, interno – Sala di Ercole
Il duca Ferdinando e la duchessa Maria Amalia commissionarono anche un piccolo Oratorio: progettato dall’architetto francese Louis Feneuille (1733-1799) e costruito tra il 1793 e il 1795, l’edificio si distingue per l’elegante semplicità: un’unica navata con paraste, quattro tribune, un altare sobrio ma raffinato con urna-reliquiario e intarsi, e un’ancona lignea dorata e policroma realizzata dal falegname Giovanni Francesco Drugman (1745c.-1794 post) e dall’intagliatore Ignazio Marchetti (1715-1800), che originariamente accoglieva un dipinto seicentesco dell’Assunta.
Restaurato negli anni Novanta del Novecento, l’oratorio conserva l’aspetto originario ed è tuttora consacrato.
Il dominio borbonico fu di breve durata, spazzato via dagli sconvolgimenti politici seguiti all’ascesa di Napoleone Bonaparte e all’annessione del Ducato di Parma alla Francia. Nel 1804, la Rocca e i terreni circostanti furono inclusi tra i beni demaniali destinati a ricompensare i meriti militari e assegnati al tenente Michele Varron (1770-1849.). Tra il 1819 e il 1823, questi ne ordinò la demolizione parziale: furono abbattuti tre lati dell’edificio, mantenendo solo il lato nord affacciato sulla piazza, dove si trovano ancora oggi la cappella dell’Assunta e le antiche scuderie.

Sala Baganza – Il Monumento ai Caduti in una cartolina degli anni Venti del Novecento (Parma, Collezione privata).
Il percorso di visita della Rocca prevede le sale del Cinquecento e l’Oratorio dell’Assunta, in autonomia o con visita guidata (previa prenotazione, chiamando il 0521.331342 o contattando la struttura roccadisalabaganza@gmail.com), mentre l’Appartamento di Antonio Farnese è visitabile solo con visita accompagnata. Inoltre, vi è un’esposizione permanente della scultrice Jucci Ugolotti, “Sacro e profano”, mentre le cantine del castello ospitano il Museo del Vino, appartenente al Circuito dei Musei del Cibo della provincia di Parma.

Sala Baganza, i portici.
Uscendo dalla piazza, il visitatore può ammirare il borgo di Sala Baganza. La storia dell’abitato è legata a doppio filo con quella della Rocca, ma alcuni ritrovamenti archeologici testimoniano che la zona era già abitata durante il Neolitico. Dopo la caduta dell’Impero Romano, la zona venne occupata dai Bizantini e, successivamente, dai Longobardi, a cui si deve l’origine del toponimo: “sala” era, infatti, un termine utilizzato per indicare la piccola proprietà terriera, a cui era corrisposta la riscossione di un tributo (il termine Baganza venne aggiunto per regio decreto solamente nel 1862).
Dalla piazza, all’angolo sinistro con Via Garibaldi, si trova un edificio con portici, caratteristici dell’architettura medievale emiliana. Sulla facciata del medesimo palazzo, il visitatore può scorgere tre targhe marmoree: una dedicata ai caduti di tutte le guerre, una alle Guerre di Indipendenza (1848-1870) e una dedicata a Giuseppe Garibaldi (1807-1882), ospite a Maiatico nella villa della marchesa Teresa Araldi-Trecchi (1827-1894) nel 1861. Rimase colpito dalla qualità della Malvasia locale, che definì “nettare più allettante”. Raccolse alcune viti e le trapiantò a Caprera. Negli anni successivi scrisse alla marchesa per aggiornarla sulla crescita promettente delle piante, augurandosi che avrebbero portato beneficio agli abitanti dell’isola.

Sala Baganza – Il campo da golf.
Giunti in fondo a Via Garibaldi, dopo una ripida discesa, il visitatore può girare a sinistra e percorrere Via Figlie della Croce, costeggiando i campi del Percorso La Rocca del Golf del Ducato. Istituito nel 1985, il circuito si compone di 18 buche ed è caratterizzato da una morfologia leggermente collinosa, arricchita da scenografici ostacoli d’acqua.
Il percorso è dotato di aree dedicate alla pratica, al pitching, al putting e al chipping; è possibile inoltre usufruire di golf carts e del servizio di noleggio carrelli, oltre che della presenza di uno shop dedicato.
Per vivere appieno la amenità del luogo, è possibile rilassarsi alla clubhouse: con terrazze affacciate sul verde, un ristorante che omaggia la cucina parmigiana e una carta dei vini che celebra i colli vicini.
Questo luogo ha ospitato, negli anni, competizioni importanti come il Campionato PGAI, dimostrando di essere un circuito di notevole importanza.

Castellaro – Il torricino di Villa Rivalta con il Belvedere con i cipressi e le stele marmoree in ricordo del letterato Pietro Giordani e del pittore Giovanni Battista De Gubernatis.
Proseguendo lungo Via Figlie della Croce, il visitatore giungerà nella località di Castellaro. Questo luogo, attraversato dai primi rilievi delle colline, era molto amato dai nobili locali, che ne fecero luogo di villeggiatura già dalla fine del Settecento.
A testimonianza della bellezza e amenità che suggeriva (e suggerisce ancora oggi) la zona, prima dell’incrocio con Via del Beneficio, sulla destra, si può scorgere Villa Rivalta, dimora storica che incarna l’eleganza dell’architettura parmense. Situata in una posizione collinare suggestiva, la villa è circondata da un paesaggio naturale che ne esalta la bellezza e la tranquillità. Appena al di sopra della strada si scorge un torricino, un tempo dipendenza della villa, e, poco discosto, un belvedere con due colonne di marmo circondate da sei cipressi secolari. In questo cenacolo si ritiravano spesso a conversare presso la villa di Salvatore Tarchioni, funzionario del Ducato, il letterato Pietro Giordani (1774-1848), il pittore Giovanni Battista De Gubernatis (1774-1837), l’imprenditore Amedeo Rosazza (1785-1830) costruttore del Teatro Regio e del ponte sul Taro e altri due amici, sei in tutto, uno per ogni cipresso. Le due colonne, tuttora esistenti, ricordano le figure di Tarchioni, De Gubernatis, Rosazza e Giordani poste a loro ricordo dagli ultimi amici rimasti.
Procedendo per la strada, il visitatore potrà scorgere, sempre sulla sinistra, a ridosso del Rio Ginestra, la struttura con muratura a vista dell’Oratorio delle Giare (così denominato nella mappa catastale comunale del 1823).
Il grande parco della Rocca a disposizione del Collegio, esteso a sud verso il torrente, era percorso da un lungo stradone, in fondo al quale, nel 1714, l’allora rettore Pagelli aveva fatto erigere un piccolo oratorio di pianta ottagonale, detto “la Madonnina” e riportato nelle mappe di primo Ottocento come “Oratorio dei Nobili”, oggi ridotto ad uso civile, che conserva l’aspetto originario.

Castellaro – La struttura seicentesca dell’antico Oratorio delle Giare.
Quasi di fronte allo stradello che conduce alla torre di Villa Rivalta, sulla sinistra, in mezzo ai campi che digradano verso il torrente Baganza e ormai nascosti dall’edera e dalla vegetazione, si trovano i resti della “Fontana del Duca”, o “Fontanone”, bagno campestre circondato da mura in mattoni e sassi, di forma cilindrica, con un piccolo ambiente accessibile in cui amava recarsi – dicono le cronache – la duchessa Maria Amalia (1746-1804) in villeggiatura nella Rocca, per immergersi e rinfrescarsi nei caldi giorni d’agosto. Nel 1911 l’acqua che la alimentava venne captata per alimentare il primo acquedotto di Sala Baganza.

La Fontana del Duca come si presenta ai nostri giorni (Foto P. Bonardi).

Castellaro – L’acquedotto farnesiano “La Nave”.
Dall’Oratorio delle Giare, il visitatore può girare a destra, prendendo Via Pozzo, e procedere verso le verdeggianti colline salesi. Durante la salita, sulla destra, immersa nel verde, potrà scorgere il maestoso Acquedotto Farnesiano, noto da tutti come “La Nave”. Questo nome curioso, quasi poetico, rimanda alla sua forma allungata, e al termine dialettale “navètta” utilizzato per indicare grondaie e condotti d’acqua sospesi. La sua costruzione viene attribuita ai Sanvitale nel XIII secolo, e, in seguito, fu modificato intorno al 1612 per volontà di Ranuccio I Farnese.
Oggi La Nave è un monumento silenzioso, un testimone del genio ingegneristico del Seicento e del rapporto profondo tra natura, architettura e paesaggio. Non è più attiva, ma continua a “navigare” nella memoria collettiva e nell’immaginario locale. Attualmente La Nave non è visitabile dai turisti in quanto tutta l’area di accesso è privata.

Castellaro – La Madonnina del Castellaro.
Proseguendo per Via del Pozzo, il visitatore troverà, dopo circa 200 metri, sulla destra, un’altra gemma preziosa all’interno dei boschi: la Madonnina del Castellaro.
Le prime testimonianze dell’oratorio risalgono al 1230, nel Capitulum seu Rotulus Decimarum della diocesi di Parma, inserita tra le dipendenze della pieve di San Vitale Baganza. Nel corso dei secoli, la struttura subì diversi danni e ricostruzioni, fino a che, nel 1715, fu edificato un nuovo luogo di culto in stile barocco, sotto l’egida della famiglia Banzola, dedicato alla Beata Vergine Maria. L’oratorio, oggi, presenta elementi architettonici barocchi, con una facciata semplice ma armoniosa, arricchita da lesene che conferiscono eleganza all’edificio. All’interno, si conserva un affresco raffigurante la Madonna col Bambino, attribuito al pittore parmense Giuseppe Peroni (1710-1776), noto per le sue opere religiose. La posizione panoramica permette di godere della bellezza del paesaggio collinare circostante, ideale per passeggiate nella natura e nel silenzio.
Tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, i giovani allievi del Collegio dei Nobili di Parma trascorrevano i mesi estivi nella Rocca di Sala Baganza e, tra agosto e ottobre, erano soliti recarsi nelle vigne ducali, dove trovavano ristoro all’ombra e partecipavano, al momento opportuno, alla vendemmia, gustando l’uva appena raccolta.
Il vino era una presenza costante sulla tavola del Collegio, servito non solo a docenti e servitù, ma anche agli studenti, giovani aristocratici provenienti da tutta Italia ed Europa. Si trattava per lo più di vino bianco, ma durante le festività si offriva anche vino rosso, talvolta novello.
A testimonianza della centralità della vite nella cultura locale, ogni sera gli studenti si recavano a pregare alla cappella del Castellaro, dedicata alla Beata Vergine della Vite, la cui ancona era intagliata di grappoli dorati, proseguendo un rituale che univa spiritualità e tradizione agricola.

Castellaro – I Vigneti di Malvasia.
Dal piccolo oratorio, e proseguendo lungo la salita, si può vedere una distesa di filari di vite, curatissimi e profumatissimi: i vigneti di Malvasia rappresentano una tradizione vitivinicola secolare che continua a prosperare grazie alla dedizione dei produttori locali. Le colline di Sala Baganza, comprese tra i 220 e i 300 metri sul livello del mare, offrono un microclima ideale per la coltivazione della Malvasia di Candia Aromatica, un vitigno a bacca bianca di probabile origine greca. Questo vitigno è noto per il suo profilo aromatico ricco e complesso, con note di agrumi, frutta a polpa gialla e fiori bianchi.
La viticoltura in questa zona ha radici profonde, risalenti all’epoca romana, e ha conosciuto un particolare sviluppo tra il Settecento e l’Ottocento, grazie all’impegno della nobiltà locale.

Castellaro – Vista dei calanchi.
Proseguendo la passeggiata, il visitatore vedrà il territorio trasformarsi e i verdeggianti filari lasceranno il posto a maestosi calanchi: un affascinante paesaggio modellato dall’erosione delle argille nel corso di milioni di anni. Queste formazioni geologiche, simili a canyon, offrono uno spettacolo naturale di grande suggestione, con profondi solchi che incidono il ventre delle colline, creando un ambiente unico e caratteristico di questa parte dell’Appennino. Circa 6 milioni di anni fa questo territorio era un ampio golfo del Mare Adriatico. L’antica presenza del mare è ancora testimoniata dal ritrovamento di fossili di molluschi.

Girando intorno alla collina per scendere verso il torrente Baganza.
Procedendo per circa quattro chilometri, accompagnati dal paesaggio dei calanchi e delle iconiche balle di fieno, si rimane su Via Pozzo fino a raggiungere la località “Il Monte”.
Si gira a sinistra fino a imboccare la Strada Vicinale del Montale da cui si inizia la discesa verso la Val Baganza.

La Val Baganza dall’alto.
La valle del torrente Baganza, che si estende dal Monte Borgognone fino alla confluenza con il torrente Parma, è un territorio ricco di bellezze naturali e storia millenaria. La sua parte collinare e montana, che comprende anche Sala Baganza, offre scenari di grande fascino, con boschi rigogliosi, dolci pendii e pianure coltivate che raccontano l’equilibrio tra natura e attività umana.
Questo territorio è abitato fin dal Neolitico, già dal 5.000 a.C., come testimoniano gli antichi insediamenti su terrazzi fluviali a Maiatico, Sala Baganza, Felino e Marzolara. Durante l’età del Bronzo, intorno al 1500 a.C., la valle era popolata dal popolo delle Terramare, con insediamenti importanti come il Castellaro di Fragno. La presenza continua di popolazioni è confermata dalle sepolture di guerrieri di cultura ligure e dalla successiva epoca romana.
A partire dal II secolo a.C., la valle si sviluppò anche grazie alla colonizzazione romana, che sfruttò le risorse naturali del territorio: argilla per la produzione di mattoni e ceramiche, legname e soprattutto la coltivazione della vite, come testimonia la villa rustica di Felino, centro di produzione vinicola destinata all’esportazione.
Nel Medioevo, la valle assunse un ruolo strategico per i collegamenti verso il valico della Cisa e il Tirreno. Per difendere questo importante passaggio, furono costruiti castelli come quelli di Felino, Calestano, Marzolara, Alpicella, Vigolone e Ravarano. Il paesaggio medievale vedeva anche numerosi mulini ad acqua e la presenza di strutture religiose e ospedali legati alle vie di comunicazione, come la pieve di Sant’Ilario.
Nonostante la sua storia ricca e articolata, la valle del Baganza è rimasta un’area poco antropizzata, preservando intatti i suoi boschi, prati e suggestivi paesaggi naturali, ideali per chi ama scoprire la natura e la cultura in un ambiente autentico e poco conosciuto.
Percorsa tutta la Strada Vicinale del Montale si arriva su Via San Vitale.
Per proseguire il tragitto consigliato si deve attraversare la strada e imboccare il percorso ciclopedonale che costeggia il torrente Baganza girando a sinistra in direzione nord.

Il greto del torrente Baganza.
Scendendo verso valle, si potrà ammirare il torrente Baganza, che trova, proprio nella zona di Sala Baganza, la parte più suggestiva del suo percorso.
Il torrente nasce dal Monte Borgognone e attraversa un territorio che si estende per circa 225 km², fino a incontrare il torrente Parma in città. La parte più suggestiva del suo percorso si sviluppa tra le colline e le montagne fino a Sala Baganza, coprendo circa 172 km² di paesaggi naturali unici.
La valle del Baganza, incastonata tra le valli di Parma e Taro, si presenta come un corridoio stretto e allungato che scende con dolci e ripide pendici, offrendo scenari spettacolari. Qui la natura racconta la sua storia attraverso le rocce calcaree e argillose che formano rilievi boscosi e colline coltivate.
I boschi rigogliosi crescono soprattutto sui terreni calcarei, mentre le dolci pianure di fondovalle sono perfette per coltivazioni e vigneti, a testimonianza di una tradizione agricola che ancora oggi caratterizza il territorio.
Questa valle, oltre a incantare per la sua bellezza naturale, offre ai visitatori la possibilità di scoprire un paesaggio modellato dal tempo, dove natura e cultura si incontrano in un equilibrio perfetto.

Sala Baganza – La facciata della chiesa parrocchiale dei Santi Stefano e Lorenzo.
Proseguendo lungo la strada che costeggia il torrente si incontrano numerosi campi sportivi e si raggiunge il ponte della provinciale per Felino. Volgendo a sinistra si scorge la piccola stazione del Tram elettrico, inaugurato nel 1910, che collegava Sala con la città e con Felino e Marzolara. Proseguendo lungo la provinciale, sulla sinistra si scorge la chiesa parrocchiale intitolata ai Santi Stefano e Lorenzo.
La primitiva cappella di San Lorenzo fu citata per la prima volta nel 1141 in una bolla papale di Innocenzo II, che ne confermava la donazione al Capitolo della Cattedrale di Parma, cui rimase legata fino al 1520. Il luogo di culto fu poi elevato a parrocchia nel 1564.
Pochi anni dopo, nel 1582, Giberto IV Sanvitale ordinò la costruzione, a poche centinaia di metri di distanza, di un altro luogo di culto, un oratorio del limitrofo convento degli Agostiniani, dedicato a San Lorenzo.
L’antica cappella fu chiusa al culto nel 1694, quando l’oratorio conventuale assunse il ruolo di nuova parrocchiale di Sala Baganza, con il nome di “Chiesa di Santo Stefano in San Lorenzo”.
Nel 1801 il duca Ferdinando di Borbone fece ampliare l’edificio, apportando modifiche sostanziali anche dal punto di vista stilistico, uniformando al gusto neoclassico l’intera costruzione.
All’interno, l’unica navata è affiancata da sei cappelle, tre per ogni lato, e vi sono conservate alcune lapidi sepolcrali, tra cui spicca quella dello scultore francese Jean-Baptiste Boudard (1710-1768), creatore delle statue marmoree del Parco Ducale di Parma.
Da vedere il dipinto a olio raffigurante la Cena in Emmaus, eseguito dal parmigiano Enrico Bandini (1807-1888) intorno alla metà dell’Ottocento su commissione della duchessa Maria Luigia. La calotta absidale è decorata con dipinti a tempera, tra cui spiccano quattro angeli in volo, realizzati intorno al 1940 dal pittore parmigiano Latino Barilli (1883-1961).
Voltando, invece, a sinistra dalla ex stazione del tram, si costeggia il muraglione del Potager e si riconquista, dopo breve salita, la piazza della Rocca.















