Sclavet’ ta

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L’uva sclavet’ta, non è stata reperita nei documenti riguardanti i Ducati di Parma Piacenza e Guastalla, fino al loro dissolvimento nel corso del 1859.

La prima testimonianza in ordine cronologico riguardante tale varietà di uva, risale al 1872, all’interno de I vitigni della provincia parmense – Lunario per l’anno bisestile 1872 [1]: “Sclavet’ta. Ha foglia grande quinqueloba, a lobi grandi e denti acuminati. La parte superiore è liscia di colore verde erbaceo, l’inferiore è verde bianchiccio pubescente e tomentosa con picciuolo lungo e verde. Il grappolo si presenta compatto lungo circa 15 cm. ed è composto di bacche nere pruinose, opache. I semi sono 2 ed il suo sapore è dolciastro. Abbonda nel Valtarese“[2]. Nonostante la sclavet’ta, non rientra nei termini cronologici della presente ricerca, si è ritenuto opportuno inserirla ugualmente, poiché la registrazione della sua presenza sui territori ducali risale soltanto a 13 anni dopo il 1859.

L’uva sclavet’ta corrisponde all’uva schiavetta, presente nei territori di Borgotaro nel 1880, come vedremo in seguito; oppure all’uva sgavetta presente da metà XVIII secolo nei territori estensi?

Come somiglianza fra i nomi, sembrerebbe più probabile trattarsi dell’uva schiavetta; cogliamo comunque l’occasione per dare qualche notizia di entrambe le varietà di uva; potrebbe anche trattarsi della medesima varietà, con tre nomi leggermente diversi.

La notizia più antica che possediamo che riguarda l’uva sgavetta, risale al 1752, al Baccanale di autore anonimo, attribuito al modenese Francesco Pincetti (precedentemente a Giovanni Battista Vicini)[3], mentre le diverse varietà di uva, citate nel baccanale, erano commentate da Nicolò Caula.

A proposito della sgavetta riprendo il commento di Caula riportato sul libro di Montanari e Malavasi Pignatti Morano[4]: “Sgavetta non è buona per vino: ha grappolo più tosto grande che picciolo; non ha bel colore nero, le grane sono lunghette, e chiare, e molti grappoli sono quasi senza grane, mentre ne hanno solamente alcune poche nella cima, e poche altre nel fondo del grappolino“[5].

Non ho reperito la suddetta descrizione ne L’Indicatore modenese e nemmeno nel Catalogo alfabetico di quasi tutte le uve o viti coltivate nelle provincie di Modena e Reggio[6], nei quali Luigi Maini, nel 1851 riportò tutte le annotazioni di Caula al baccanale di Pincetti (in precedenza attribuito a GianBattista Vicini).

Carlo Roncaglia[7], nel 1847, fra le uve colorate comuni dei territori Cispennini, menzionava l’uva sgavetta. Carlo Casali, nel 1926[8], nelle aggiunte al suo libro sui nomi delle piante edito nel 1915, riportava l’òva sgavètta, dagli acini neri, simile alla Lancellotta ad acini grossi e piuttosto radi.

Rovasenda[9], riguardo alla sgavetta così si esprimeva: “Sgavetta o Sganetta. Uva fina di Sassuolo Modena, Vite e Vino p. 98″[10].

Viala[11], confermava quanto scritto da Rovasenda, mutando però Sganetta con Sgnanetta[12].

Nel dialetto modenese sgavetta significa matassa[13].

Per quanto riguarda il termine schiavetta, nel 1880, Francesco Barbuti[14],relativamente alle varietà di uva preferibilmente coltivate nel circondario di Borgotaro, citava la schiavetta[15].

Rovasenda[16], riguardo alla schiavetta riportava quanto segue: “A.[cerbi] 303, la cita fra le uve di Trento, è citata pure fra le viti Valtaresi. Giorn V.V.”[17].

Viala[18] riportava: “Schiavetta. Nom de cèpage italien citè par Acerbi pour la région de Trente“[19].

Note

  1.  Tintinnar di bicchieri: vini e vignaiuoli a Parma, a cura di Accademia italiana della Cucina. delegazione della provincia di Parma, Parma, Gazzetta di Parma, 2006, a p. 114 riproduzione del Lunario per l’anno 1872 ed elenco dei vitigni della provincia parmense, Parma, Tipografia G. Ferrari e figli; da p.115-128: I vitigni della provincia parmense nell’anno 1872.
  2.  Id. p. 126.
  3.  L’ attribuzione del baccanale a Francesco Pincetti in: Trenti Giuseppe, Al paisan da Modna, Modena, 1975, Aedes Muratoriana, 1975 (tratto da nota 36 p. 25 di: Montanari Gian Carlo, Malavasi Pignatti Morano Luigi, Uve modenesi tra XVIII e XIX secolo, Modena, Edizioni Il Fiorino, 2018).
  4.  Gian Carlo Montanari, Luigi Malavasi Pignatti Morano, Uve modenesi tra XVIII e XIX secolo, Modena, Edizioni Il Fiorino, 2018.
  5.  Id. p. 198.
  6.  (Maini Luigi), Catalogo alfabetico di quasi tutte le uve o viti conosciute e coltivate nelle provincie di Modena e Reggio, Modena, Moneti e Pelloni, 1851.
  7.  Roncaglia Carlo, Statistica Generale degli Stati Estensi, Modena, Carlo Vincenzi, 1850, p. 421.
  8.  Casali Carlo, I nomi delle piante nel dialetto reggiano addenda et emendanda, Reggio Emilia, Officine Grafiche Reggiane, 1915, p. 50.
  9.  Rovasenda Giuseppe, Saggio di una ampelografia universale, Torino, Tipografia Subalpina di Stefano Marino, 1877.
  10.  id. p.172.
  11.  Viala P., Vermorel V., Ampelographie, tome VII, Paris, Masson e C., 1909.
  12.  Id. p. 303.
  13.  Opuscoli religiosi, letterarj e morali, serie seconda, tomo III, Modena, Tipografia degli eredi Soliani, 1864, p. 45: “Sgavetta. Così dicono i modenesi le quantità di filo che formasi per molti giri a guisa di cerchio in sul naspo. L’acuto ingegno del nostro dotto Gianbattista Maverti nobilitava questo vocabolo traendolo dal latino secum vecta, checcèé ne sia lo dicono toscanamente matassa (…)” Sull’Archivio per l’Antropologia e la Etnologia, ventesimo volume, Firenze, Tipografia di Salvatore Landi, 1890, p. 91 si riporta un modo di dire modenese: A pasquètta bisàgna filer la sgavètta (a Pasquetta bisogna filare la matassa onde arrivino i regali della Befana); la precedente è una forma più gentile rispetto a: Se-n s’fila la sgavtàza. A – n vin la barbàsa (termine dispregiativo di Befana). In dialetto parmigiano, il termine matàssa si traduce con filsa: es. catär al co ‘dla filsa cioè trovare il bandolo della matassa (Capacchi Guglielmo, Dizionario Italiano-Parmigiano, tomo II, Parma, Artegrafica Silva, 1992, p.471. Anche nel dialetto reggiano matassa si traduce con filza (Giovanni Battista, Ferrari, Vocabolario reggiano. italiano, volume1, Reggio [Emilia], Tip. Torreggiani e Compagni, 1632, p. 309).
  14.  Barbuti Francesco, Monografia dell’Agricoltura Parmense, Parma, Giacomo Ferrari e Figli, 1880.
  15.  id. p. 26.
  16.  Rovasenda Giuseppe, Saggio di una ampelografia…cit.
  17.  Id. p, 169.
  18.  Viala P., Vermorel V., Ampelographie…cit.
  19.  Id. p. 299.