Ormione

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Bramieri nel 1788[1] a proposito della varietà di uva piacentina Ormione scriveva: “Uva similissima al pignuolo grappolato, e soltanto d’acino e di grappolo maggiore. È fertilissimo vitigno, e atto sovra gli altri d’uve violacee, alla bassa vigna per la naturale sua umiltà. Ama le terre mediocri e le magre. Nelle fertili e nelle umide non riesce, perché i grappoli facilmente vi putrefanno in sul maturarsi: Il copioso suo vino è soggetto a voltare e nelle terre magre però acquista durabilità e pregio, e può in tale situazione porsi fra i migliori. Forse è lo stesso colla pignuola nera di San Colombano”[2].

In un’anonima relazione sull’agricoltura del circondario del piacentino, pubblicata da Filippo Re[3], nel 1813, si leggeva: “Le uve di questo circondario per la più parte sono nere. Tra le molte varietà io qui annovererò quelle, che sono le più pregiate per far vino coi nomi del paese. Son queste l’uva fruttana, l’ormiona (…)“[4].

Nel 1836, Foresti[5], considera l’ormion, una qualità indigena, come l’artrug e la diola[6].

Nel 1592 nell’opera Breve compendium totìus medicinae, del pavese Pietro Paolo Simoneta[7] era citata una varietà d’uva dal nome vermioni[8], termine somigliante ad ormione.

Note

  1.  Atti della Società Patriotica di Milano, volume III, Milano, 1793.
  2.  Id. p. 136.
  3.  Anonimo, Dell’Agricoltura del circondario i Piacenza, dipartimento del taro, Impero francese, pp. 3-34, in: Re Filippo, “Annali dell’agricoltura” tomo XVIII, Aprile-Maggio-Giugno 1813, Milano, Giovanni Silvestri, 1813
  4.  Id. p. 22.
  5. Foresti, Lorenzo, Vocabolario Piacentino – Italiano, Piacenza, Fratelli Del Majno Tipografi, 1836.
  6.  Id. p. 401.
  7.  Simoneta Poetro Paolo, Breve compendium totìus medicinae, Ticini, Ex Officina Heredim Hieronymi Bartoli, 1592.
  8.  Id. p. 392.