Moscatello rosso

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Nel Trattato di Agricoltura[1] di autore anonimo risalente ad un periodo compreso fra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo era citato il moscatello rosso[2].

L’ingegner Giulio Cesare Cani[3] in una corrispondenza databile fra il 1808 e il 1809, nel delineare le varietà di uva presenti sul territorio guastallese, così descrisse l’uva moscatello rosso: “ritarda un poco a maturare in confronto del bianco; squisito da mangiare e per farne vino”[4]. Nel 1841, nel vivaio di Luigi Musiari a Ponte d’Enza in Taneto territorio di Parma, fra le uve da tavola, era presente il moscatello rosso[5].

Nel 1859, Malaspina[6], citava il Moscatell ross, tradotto in italiano come Moscadella rossa.

Bertozzi[7], nel suo elenco di viti di uva di colore coltivate negli orti e nelle vigne e raramente nei campi della provincia reggiana, menzionava il moscatell.

Roncaglia[8], nel 1847, fra le uve colorate fini dei territori Transpennini degli Stati Estensi, citava il moscatello[9], mentre nella stessa categoria di uve, ma riferita ai territori Cispennini, indicava la moscatella[10].

Il modenese, di Formigine, Agazzotti[11], nel suo catalogo risalente al 1867, così descriveva il moscatello nero (Moscato dai granini): Grappolo lungo, quasi cilindrico, con grappoletti distinti alla sommità. Grani ora sparsi, ora compatti, ma sempre accompagnati da piccoli grani abortiti che non maturano mai, e rimangono verdi-gialli, duri da sfuggire persino alla pigiatura. Peduncolo resistente, spesso ligneo, notevolmente rigonfio di sotto dall’internodo, e qualche volta compresso all’estremità inferiore: sempre verde chiaro, traslucido. I picciuoletti de’ grani qualche volta arrossano, giunti a perfetta maturità, alla loro inserzione sul grano. Acino di media grandezza e sferico, se è di quelli che raggiunsero la maturazione: mentre gli abortiti rimangono ben piccoli e sferici e gli altri non sono mai perfettamente uguali fra loro. Buccia rosso-nera, sottile, polverosa sempre, e molto. Sugo abbondante, vischioso, dolce melato zuccherino, coll’aroma di moscato, ma non in pari grado al Moscato giallo. Uva di distinto merito vinifero, ma anche mangereccia, stancando però presto pel suo aroma grasso, il quale si comunica facilmente al vino quando fosse confezionato con questa sola varietà d’uva, perloché sta bene mescolarla ad altre meglio provviste di tannino, come la Cotogna o il Lambrusco Oliva od anche il Trebbiano romano; in tal modo verrà corretta la deficienza del tannino, senza nuocere alla delicatezza dell’aroma particolare di quest’uva e di altre congeneri, quali gli Aleatici e i Cerasetti. La vite è di un rimarchevole vigore, mettendo tralci color nocella chiara, grossi il doppio di quelli delle lambrusche, con lunghi internodi e rilevate gemme. né saprei tra le fine chi la superi in questa rigogliosa vegetazione, tranne i Cerasini“[12]. Il reggiano Casali[13], nel 1915, sotto la voce dialettale òva muscatell ross, traduceva con moscatello rosso di Spagna e rimandava òva muscatell capòlegh, tradotto quest’ultimo con moscatellone o malvasia di Spagna[14]; ricordiamo che il termine dialettale reggiano capòlegh equivale al parmigiano capòlg: “Marchiano. Aggiunto a certi frutti che eccedono gli altri in grossezza come fàva capòlga, raviòtt [pisello] capòlg“[15] Acerbi[16] nel 1825. riportò una monografia di Gio. Sonsis, sulle uve presenti nel territorio cremonese, fra le quali: “16° Moscatello rosso. Fusto grosso, di mediocre cacciata. Sermenti discretamente lunghi, grossi, con molto midollo. Viticci molti, frequenti, fragili. Foglie grandi 5-lobe, seghettate irregolarmente, con peduncolo lungo. Frutto rotondo, o ovato, grosso, o di media grossezza, rosso, di polpa succosa, dolce, saporita con fiocine duro e tenace. Grappolo grande, ma raro di acini. Semi 3-4 verdi-brunicci. Vite primaticcia nel fiorire e nel maturare il frutto. Uso. Mangereccia, Dà vino debole, che cogli anni peggiora. Coltivasi negli orti. Viene guasta alle vespe. [17] Gio. Sonsis aggiungeva una considerazione, riguardante le varietà di uva del cremonese e la possibilità di lasciarle sui tralci, oltre la maturità: “Le uve di questa provincia, ad eccezione di alcune poche, come dell’Albana, del Balzemino, dell’Uva Passerina, e del Moscatello rosso. non possono lasciarsi sui tralci oltre la maturità, perché o gli acini si staccano, o acquistano un sapore acqueo, o ammuffiscono e perdono notabilmente le loro qualità. In tempo piovoso poi screpolano e marciscono con somma facilità”[18].

Nel 1829, Andrea Alverà[19], riportava i termini dialettali delle varietà di uve della provincia di Vicenza, fra quelle di colore citava l’uva: “Moscata negra, (Moscatello rosso di Cremona, e del Trinci)[20].

Note

  1.  Archivio di Stato di Parma, Raccolta Manoscritti, ms.138; Il manoscritto è riportato anche in: Spaggiari Pier Luigi, Insegnamenti di agricoltura parmigiana del XVIII secolo, Parma, Artegrafica Silva, 1964; Medioli Masotti Paola, Lessico di un trattato parmigiano di agricoltura (fine XVIII inizio XIX sec.) in: “Archivio Storico per le province parmensi”, quarta serie, volume XXXI, 1979, Deputazione di Storia Patria per le province parmensi, Parma, 1980; Giorgini Paolo, Le varietà di uva presenti bei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, 2021, p. n. i.
  2.  f. 691.
  3.  Biblioteca Maldotti di Guastalla, G.C. Cani, Lettere agrarie alla Colonia d’agricoltura del Crostolo, fondo Cani, busta 96, lettera XII, “Della coltivazione delle viti”, destinatario avv. Giovanni Carandini, data presunta 1808-1809. Si ringrazia, per la competenza e cortesia la dott.ssa Alice Setti della Biblioteca Maldotti di Guastalla. Si veda: Sulla condizione agraria del reggiano nell’Ottocento. Società Agraria di Reggio Emilia, prefazione di Rolando Valli, Reggio Emilia, Antiche Porte Editrice, 2013, pp. 13-27.
  4.  Id.
  5.  “Il Facchino”, 27/2/1841, a. III, n. 9.
  6.  Malaspina Carlo, Vocabolario Parmigiano – Italiano, vol. IV, Parma, Tipografia Carmignani, 1859, p. 356.
  7.  Biblioteca Municipale “Panizzi” di Reggio Emilia, Manoscritto di Vincenzo Bertozzi, Viti della provincia di Reggio, MSS. REGG. D 88/23. La riproduzione dell’elenco di Bertozzi è presente in: Bellocchi Ugo, Reggio Emilia la provincia “lambrusca”, Reggio Emilia, Tecnostampa, 1982, pp. 58- 59. Bellocchi ha corretto gli accenti presenti sui nomi delle varietà riportate da Bertozzi e successivamente da: Casali Carlo, I nomi delle piante nel dialetto reggiano addenda et emendanda, Reggio Emilia, Officine Grafiche Reggiane, 1926, pp. 15-16. Casali aggiunse alcune interessanti notizie sull’elenco del Bertozzi e sullo stesso Bertozzi: “L’elenco è inedito ed è di mano del dottor Vincenzo Bertozzi, membro della Società Agraria del Dipartimento del Crostolo e appassionato e valente frutticoltore. Della sua rinomata collezione di varietà e di alberi fruttiferi non rimangono più che pochissime tracce nella villa di sua proprietà alla Baragalla. L’elenco venne trasmesso dal Bertozzi al prof. Galliani, che lo aveva richiesto: non porta alcuna data ma è stato certamente compilato verso il 1840“. Casali trasmise l’inedito elenco alla Biblioteca reggiana.
  8.  Roncaglia Carlo, Statistica generale degli Stati Estensi, volume II, Modena, Tipografia di Carlo Vincenzi, 1850.
  9.  Id. p. 421.
  10.  Id. p. 420.
  11. Agazzotti Francesco, Catalogo descrittivo delle principali varietà di uve coltivate presso il Cav. Avv. Francesco Agazzotti del Colombaro, Tipografia di Carlo Vincenzi, Modena, 1866. cfr. Montanari Gian Carlo, Malavasi Pignati Morano Luigi, Uve modenesi tra XVIII e XIX secolo, Modena, Edizioni Il Fiorino, 2018.
  12.  Id. pp. 184-185.
  13.  Casali Carlo, I nomi delle piante nel dialetto reggiano, Reggio Emilia, Tipografia Bondavalli, 1915.
  14.  Id. p. 56.
  15.  Malaspina Carlo, Vocabolario Parmigiano – Italiano, volume II, Parma, Tipografia Carmignani, 1857, p. 327.
  16.  Acerbi Giuseppe, Delle viti italiane, Milano, Giovanni Silvestri, 1825.
  17.  Id. p. 49.
  18.  Id. p. 51.
  19.  Alverà Andrea, “Annali Universali di Agricoltura”, fasc. luglio 1829, Milano, Paolo Lampato. in: Lanzani Estore, Saggio di una pantografia vicentina, Venezia, per Giuseppe Giuliani, 1834, pp. 61-62.
  20.  Id. p. 62.