L’imbottigliamento

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Nel calendario contadino gli ultimi giorni di Quaresima erano di solito destinati all’imbottigliamento del vino dell’anno prima, avendo presenti però le fasi lunari: con luna crescente (settimana di Pasqua) è imbottigliato il vino che si vuole più frizzante; con luna calante (subito dopo la Pasqua) il vino già di per sé brioso e dunque da tenere più calmo (se imbottigliato a luna crescente, farebbe saltare i tappi prima del tempo).

L’imbottigliamento era un rito che iniziava nei giorni precedenti con il lavaggio delle bottiglie, operazione prevalentemente lasciata alle donne, aiutate dai ragazzi. Per rimuovere a fondo la patina del vecchio vino sulla parete interna delle bottiglie si usava acqua mista a sabbia agitando con energia. Le bottiglie, sciacquate per bene, venivano collocate a collo in giù in cortile, possibilmente al sole, ad asciugare. I tappi di sughero venivano unti con olio d’oliva alcuni giorni prima dell’operazione, per ammorbidirli.

La tradizionale attività di imbottigliamento presso le famiglie contadine del Parmense si avvaleva di tre fondamentali strumenti: la damigiana col sifone, la riempitrice o imbottigliatrice e la tappatrice.

La damigiana (al boción) esposta al museo, di ambito parmense, è un recipiente sferico in vetro soffiato con lungo collo cilindrico protetto da un cesto (cavagnón) in questo caso di metallo imbottito di paglia (più frequentemente da salice intrecciato) e riparato da un cono di paglia intrecciata a cerchi concentrici. La damigiana serviva per conservare o trasportare il vino.

Per trasferire il vino dalla damigiana all’imbottigliatrice era necessario un tubo in gomma (la canèta da ven) che fungesse da sifone, da “vinare” aspirando con la bocca fino a far giungere il vino nel serbatoio di carica. Perché la canna non pescasse nel torbido, si legava all’estremità da introdurre nella damigiana un ramo di salice o una canna di bambù (al spròc) che la teneva sollevata dal fondo.

Collegata alla damigiana con questa canna di gomma, il cui flusso era regolato dal galleggiante interno, la riempitrice o imbottigliatrice (la màchina da limpìr il botigli) permetteva di riempire tre bottiglie senza spargimento di vino. Quella esposta al Museo del Vino è in metallo e legno con vasca smaltata di produzione industriale della Ditta Fratelli Ottavi, Casale Monferrato (AL) specializzata nella produzione di attrezzi e nella pubblicazione di testi sull’enologia.

Quando le bottiglie erano piene, passavano alla tappatrice (la turadóra) che consentiva, attraverso un meccanismo a leva azionato manualmente di stringere il tappo di sughero forzandolo entro una campana in ottone e di conficcarlo con un pistone nel collo della bottiglia, che risultava così perfettamente sigillata. L’esemplare del museo, di costruzione artigianale d’area parmense, è databile al XIX secolo.

Provenienza: San Vitale Baganza.