Crova

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Quali caratteristiche presentava l’uva crova coltivata nei territori del Ducati di Parma Piacenza e Guastalla all’inizio degli anni ’70 del XVIII secolo?

I pochi dati conosciuti sono desumibili da una inchiesta agraria voluta da Du Tillot [1] nel 1771.

Da tale opera è possibile ricavare oltre ai nomi delle località del Ducato nelle quali si coltivava l’uva crova, alcuni caratteri, purtroppo molto elementari, della medesima uva: il colore dell’acino (bianco o rosso, a volte definito rossiccio altre volte nero), la forma dello stesso (rotonda o allungata), le caratteristiche del grappolo (aperto o serrato) e, talvolta, l’epoca di maturazione.

“Zona non specificata tra l’Enza il Termina e la Parma (1)”[2]: rappresenta la prima zona nella quale si censì la presenza della crova, anzi delle crove, perché il rilevatore evidenziò: “Crove di due specie chiamatesi l’una durella e l’altra S. Maria“, nella loro descrizione aggiunse: “Le due specie di crove hanno similmente grano, nero lungo a grapo aperto”[3].

Nel secondo dipartimento “Fornovo, Ozzano Taro, Piantonia, Sivizzano, Bardone, Terenzo, Goiano, e Lesignano (2)”[4] si ha la contemporanea presenza di crove grosse e piccoledal grappo serrato e dal granello longo“[5].

Il terzo dipartimento nel quale troviamo la crova, uva rossa che matura a fine settembre “per San Michele “, è: “Cella Costamezzana e altre terre non specificate (6)“[6]; “crova che fa grappo serrato e granello bislongo”[7].

L’uva crova era inoltre presente tra le uve più comuni di una: “Zona non specificata (9)”[8], senza ulteriori spiegazioni. “Granello lungo e grappo aperto”[9] e maturazione a San Michele [San Michele arcangelo 29 settembre] erano le caratteristiche della crova rilevata a: “Borgo S. Donnino [attuale Fidenza] Costamezzana, Fontaneto e Siccomonte (10)”[10].

A “Sorbolo e Casalora (11)”[11], la crova, è uva rossa, con “grappo aperto e granello lungo“[12]. L’incaricato dell’inchiesta voluta da Du Tillot, che si occupò della zona: “Collecchio, Sala Baganza, Vicofertile, Vigolante, Madregolo, Gaione, Talignano (14)“[13], aggiunse qualche novità: egli divise le varietà di uva presente nel territorio di sua competenza secondo i colori degli acini: nere, bianche, rossicce e la crova fu collocata nel primo gruppo; inoltre aggiunse “L’uva crova o Santa Maria grano lungo e graspo assai e grappo alquanto serrato”[14].

Si nota, oltre al cambiamento del colore dell’acino, da rosso a nero, in realtà già visto nella zona 1, il grappolo serrato, non aperto come visto precedentemente nelle altre zone, escluso la zona 2, nonché la presenza di un termine alternativo designante la crova cioè Santa Maria (vedi zona 1). Infine nella zona: “Colorno Vedole (17)[15] fra le uve rosse è presente la Santa Maria, la quale non produce vino “di bona qualità”[16].

Dai dati sopra riportati è possibile trarre alcune considerazioni: in nessuno dei dipartimenti o zone è stata segnalata una crova con acino rotondo, ma, sempre allungato (5 territori su 8, nei rimanenti tre non sono state specificate le caratteristiche dell’acino, il cui colore è definito tre volte rosso, due nero, il restante non specificato).

Per quanto riguarda il grappolo: tre volte è aperto, due serrato, il restante non specificato.

La maturazione in due casi è collocata a fine settembre, negli altri sei non è indicato il periodo.

L’uva crova in una zona è presente come uva crova grossa e uva crova piccola, in un altra è presente come uva crova o durella e uva crova o Santa Maria, quest’ultima si trova in altre due zone, in una delle quali citata soltanto come Santa Maria.

In un dipartimento si afferma che dall’uva S. Maria non si ottiene un vino di buona qualità.

Nel 1788, Giulio Bramieri[17], patrizio piacentino, colonnello al servizio dell’infante duca di Parma, rispose ad una inchiesta della Società Patriotica (sic) di Milano, uno dei quesiti proposti riguardava la segnalazione dei vitigni maggiormente produttivi del piacentino con l’indicazione dei corrispettivi nomi lombardi.

All’interno della categoria: “Uve violacee, dette comunemente in Lombardia nere in Toscana rosse”[18], Bramieri inserì l’uva crova, Crova. Molto colorita e quasi nera, d’acino oblungo, grappolo mediocre, e nelle grasse terre molto serrato. Nelle terre fertili questo vitigno è molto fecondo, ma l’uva vi perde assai del suo pregio, ed è soggetta a marcire pria di essere perfettamente matura. Vi si confanno anche le terre mezzane, e nelle assai magre dà pochissimo, ma eccellente, frutto. Ivi tutto il graspo si tinge anch’esso in rosso e se ne cava un vino saporitissimo, ma alquanto crasso. È vite da filare, e riuscirebbe bene anche a vite bassa. Forse è la stessa Corbera prima del Milanese”[19]. Rispetto alla descrizione di Bramieri, la rilevazione del Du Tillot riporta alla luce nomi diversi tutti designanti l’uva crova: uva crova grossa, uva crova piccola, durella, Santa Maria e infine semplicemente uva crova.

A questo punto si potrebbero confrontare i nomi dialettali reggiani delle diverse uve crove presenti negli ex territori estensi, recuperati nel 1911 e nel 1915 da Carlo Casali [20] con quelli dell’inchiesta Du Tillot. Il primo è òva còvra o òva cròva corrispondente a uva corvina nera o crova nera, segue òva cròva cécca, tradotta in italiano allo stesso modo della precedente; da parte mia aggiungerei che cècca significa piccola; òva cròva durèlla o òva crovetta corrispondente a crovetto o croetto; òva cròva lònga o òva cròva Santa Maria o òva lònga è corvina nera o crova nera; òva cròva gentil o òva cruvacìn è corvina o covra o corva o crova gentile, infine òva covròun corrisponde a corvone.

È possibile riconoscere nei nomi dialettali reggiani delle uve sopra riportati, delle somiglianze con quelli dell’inchiesta Du Tillot di quasi centocinquanta anni prima e relative ai territori dei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla, e precisamente: uva crova, uva crova Santa Maria, uva crova durella, quest’ultima è detta anche in dialetto reggiano òva crovetta, tradotta in italiano da Casali nel corrispondente termine italiano di uva crovetto.

In realtà nella rilevazione del 1771, in due dipartimenti o zone è presente un uva chiamata crovetto.

In particolare nelle località di: ” Cella, Costamezzana e altre località non specificate (6)“[21], sono presenti contemporaneamente l’uva crova, come visto in precedenza, e l’uva crovetto, la prima “che fa grappo serrato e granello bislongo“[22], mentre il crovetto: “con grappo serrato e granello rotondo“[23].

Altra zona nella quale si coltivava il crovetto era la zona corrispondente a ” Tabiano (8)”[24], tale uva presentava “granello rotondo a grappo aperto“[25] e maturazione a settembre.

Il crovetto, evidenzia un acino rotondo, e quindi non allungato, a differenza di tutte le crove presenti nel Ducato; inoltre il crovetto di Tabiano presentava “grappo aperto“mentre nella non lontane Cella, Costamezzana era di “grappo serrato“. Nel caso del crovetto si registra una diversità di vedute da parte del Casali rispetto ai dati desumibili dalla rilevazione del 1771.

L’autore reggiano sostiene che il temine dialettale cròva durella corrisponde all’italiano crovetto, inoltre rimanda al termine dialettale crovètta traducendolo con croetto o crovetto e rimanda a cròva durèlla. Ma nella rilevazione del Du Tillot la durella aveva l’acino allungato,mentre nel crovetto, come abbiamo appena riportato, era rotondo.

Infine nella zona: “Colorno Vedole (17)”[26], oltre alla uva rossa Santa Maria, già evidenziata precedentemente, fu rilevata l’uva crovino, in particolare: “Le viti più coltivate del mio distretto sono (…) crovini, Santa Maria (…), queste sono tutte uve rosse producono tutte vino di buona qualità eccettuate l’uva Santa Maria (…) maturano tutte ad un tempo cioè settembre”[27].

 Ma i “crovini ” corrisponderanno a una crova dall’acino allungato o a un rotondeggiante crovetto?

Lasciamo inevasa la questione e ritorniamo al patrizio piacentino Don Giulio Bramieri [28] ed alle sue risposte al questionario sulle migliori uve piacentine, tra le quali a questo punto dobbiamo aggiungere il crovarino:Vitigno sorprendentemente fertile nelle grasse terre, ma senza potervi maturare, il perché, non conviene in quelle. Nelle mediocri frutta assai, e vi si matura: contuttociò la debolezza del suo vino è bastante ragione a non porlo in esse. Il pregio di questa specie sta nell’adattarsi essa assai bene anche nelle pure crete, ove le altre viti non provano. Conviene attribuire questo fenomeno alla forza singolare delle sue radici ne’ contumacissimi suoli, ed a nudrire una robusta vite, come appunto riesce anche in quelle misere situazioni, ed è in esse tuttavia piucché mezzanamente feconda. Acquistavi anche maggior pregio, ed il vino riesce ivi sufficiente per usarsi a tutto pasto.

Il suo grappolo è molto grosso, spargolo anziché no, e l’acino piuttosto schiacciato e grosso, ben colorito nelle triste terre ed abbondantissimo di succo”[29].

E che dire del cravarino, anch’esso presente nelle risposte del colonnello Bramieri, ” Vitigno singolare al Piacentino nell’alto della Valle del Tidone. Il grappolo ne è spargolo, rossetto il graspo, minuto, oblungo, e negreggiante l’acino. La pianta serve ottimamente al filare, e ben si adatterebbe anche all’albero. Ama le terre miste, ed anche le più pietrose. Se ne ricava un vino eccellente pel suo gusto e per la durata. Inclinerei a tenerla per la Corberina Milanese se il nostro Cravarino non portasse gli acini eguali”[30].

Prima di proseguire evidenziamo tutti i termini finora elencati, con i quali l’uva crova era conosciuta alla fine del Settecento, prima dell’epoca napoleonica a) dalla inchiesta Du Tillot: crova, crova piccola, crova grande, crova durella, crova Santa Maria, uva crovetto, uva crovino.

Da parte sua Bramieri, oltre all’ uva crova presentava il crovarino ed il cravarino, aumentando in tal modo la confusione sull’uva crova, avendo però il pregio di indicare i nomi delle uve milanesi corrispondenti alle crove piacentine, e precisamente la corbera per la crova, e forse la corberina per il cravarino, mentre nulla aggiunge per il crovarino. A questo punto potrebbe essere interessante consultare le coeve descrizioni delle due uve milanesi suddette.

Dalla seconda edizione tradotta in italiano di Elementi di Agricoltura di Lodovico Mitterpacher[31] del 1791, estraiamo la seguente descrizione della corbera ed anche della corberina. “Corbere, ve n’ha di due sorta, l’una nomata Corberone di grano assai grosso, e quasi sferico, d’uva prematura, perché pronta a movere: ama di esser governata altamente, tendendo a cacciar uva alle cime. Esige cielo aperto, fa vino assai colorito, ma men saporoso: per esser primaticcia soggiace ai freddi primaverili: vuol esser vendemmiata prima delle altre per non marcire qualor matura l’incolgoan le piogge, o i venti umidi. L’altra Corbera cioè Corberina è più fruttifera della prima, rende vino più sapido, pieno e durevole, sebben non molto vivace, muta a vino pallido. ma generoso fa un eccellente liquore, e d’ottimo colorito. I suoi acini sono di varia grossezza in un grappolo istesso a differenza degli acini della prima, che sono di grossezza fra loro uguale. Ambe si veggono nelle tre coltivazioni dianzi mentovate [nel cremonese, lodigiano e carpianese]”[32].

Il corberone presenta l’acino assai grosso e quasi sferico con acini di grossezza fra loro uguali a differenza della corberina che presumibilmente avrà la stessa forma dell’acino, ma di dimensioni inferiori, mentre nel grappolo sono presenti contemporaneamente acini di diverse dimensioni, ma la crova presenta acini oblunghi, come anche il cravarino, oltre ad avere acini tutti della stessa dimensione nel grappolo. Un manoscritto dell’epoca, e precisamente dell’agosto 1800, riguardante la montagna reggiana, scritto dal celebre agronomo Filippo Re[33], riportava nel breve elenco di uve coltivate nelle località montane reggiane, fra le uve nere la covra, indicata come una delle due migliori varietà di uva, per la coltivazione a vigna in questi luoghi, (l’altro tipo di coltivazione è quella “per gli alberi”, nella quale è preferita la tosca). A proposito del Cav. Filippo Re, professore d’agraria nella R. Università d’agraria di Bologna, nel 1813 dirigeva gli Annali dell’agricoltura del Regno d’Italia[34], in un articolo di questa rivista, scritto da Giuseppe Comolli, professore di agraria e botanica del R. Liceo di Como, erano descritte le uve presenti nei territori comaschi, fra queste la corbera: “La corbera, di cui cononsconsi tre varietà, è una vite di buona qualità la quale produce uva, che difficilmente si corrompe, e che dà un vino eccellente pieno e colorito. Le foglie della corbera propriamente detta sono ampie quinquelobate, dentate, lanuginose nella pagina inferiore, bollose e verdi-scure nella superiore, ed appoggiano ad un peziolo lungo, pubescente, grosso, rotondo e striato di rosso. I sarmenti hanno i nodi rari. I grappoli lunghi e grossi sono formati di acini ovali, grossi, rosso-neri e dolci. La varietà detta corberone differisce dalla prima pei grappoli molto lunghi a granelli assai grossi e quasi sferici, e quella nominata corberina, o corberetta si distingue dalle altre due per gli acini che sono di varia grossezza in un grappolo medesimo. Il corberone matura più presto della corbera e della corberina, e si corrompe molto facilmente se l’autunno sia piovoso”[35]. Nell’anno precedente, il 10 aprile 1812, Filippo Re, in un rapporto al Ministro dell’Interno[36], illustrò lo stato dell’Orto Agrario di Bologna, indicando tra le varietà di uva in esso coltivate l’uva nera covra traducendola con Vitis covra?(seguita da un punto interrogativo); si può anche notare la presenza dell’uva nera negrone, Vitis nigerrima?, (seguita dal solito punto interrogativo)[37], a proposito di quest’ultima uva, negrone, fu indicata dal Caula[38], nel 1752, come sinonimo di covra: “Covra è la migliore di tutte le Uve tenere, e se dal picciuol rosso,è migliore. Da alcuni è detta Negrone, per esser molto negra, e grossa. V’è un’altra specie di Covra detta Covra gentile, ch’è ancor migliore, ed ha il picciuol rosso, e le grane più piccole, e più rare“[39].

A proposito delle traduzioni latine dei nomi delle varietà delle viti, nel 1809, il professor onorario dell’Università di Pisa, il dottor Ottaviano Targioni Tozzetti, nel suo Dizionario Botanico Italiano[40], raccolse i nomi volgari delle piante “da diversi autori e dalla gente di campagna, col corrispondente latino linneano“, fra le Vitis viniferae varietates incertae, erano presenti la Corba, la Corbina, la Corbina bianca e la Corbina nera[41]. Francesco Cherubini[42] nel suo Vocabolario Milanese – Italiano del 1814, fra le uve “milanesi” delle quali egli non riuscì a trovare i corrispondenti nomi toscani, annoverava la corbera, el corberon, la corberinna[43].

Il manoscritto 138 [44] dell’Archivio di Stato di Parma, redatto probabilmente da due persone non particolarmente istruite, ma con conoscenze nel campo dell’agricoltura, presumibilmente derivate da lunga pratica, databile fra la fine del Settecento e primi dell’Ottocento[45], riportava nell’elenco delle uve rosse: la crova rosso scura e il croveto rosso scuro, senza alcuna specificazione ulteriore, nonché la varietà negrone rosso scuro, talora utilizzato come sinonimo di covra, ma nel Trattato sembra trattarsi di due distinte varietà[46], inoltre, era menzionata l’uva crova[47], quale varietà che si adattava alla coltivazione negli orti. Nel 1828, Ilario Peschieri [48] nel suo Dizionario Parmigiano – Italiano, in corrispondenza dell’uva rossa Cròva o Sànta Marìa riportava come corrispondente l’uva Corbìna? (seguita da un punto interrogativo)[49]. Interessanti sono le indicazioni che il botanico, Claudio Dalla Fossa[50] di Reggio Emilia, scrisse nel 1810 relativamente alla convenienza, o meno, del coltivare l’uva covra.

Egli consigliava per la pianura reggiana di coltivare, tra le altre uve nere, la coura gentile e contemporaneamente scartare, le altre varietà di coure, le quali, come altre, ” (…) hanno il solo vantaggio di essere precoci, sebbene la loro maturità non è giammai completa“[51].

Nella edizione dello stesso Dizionario[52], “rifuso, corretto, accresciuto” del 1841, Peschieri eliminerà il punto interrogativo e l’accento sulla i alla Corbina, traduzione toscana di Cròva o Santa Margherita, aggiungendo quest’ultimo termine, alternativo alla crova, ed eliminando stranamente quello di Santa Maria[53].

Malaspina[54] nel 1859 nel suo Vocabolario Parmigiano – Italiano, riportava il termine crova tradotto con corbina e crovén con corbina piccola.

Citiamo la descrizione della cròva, tratta da I vitigni della provincia parmense – Lunario per l’anno bisestile 1872[55], anche se di data posteriore al 1859, termine cronologico finale della presente ricerca: “Cròva. La sua foglia è mediocre e distintamente quinqueloba con quello mediano subromboidale. Il bordo è dentato in modo ineguale, quasi seghettato e fatto di piccoli denti. La parte superiore è di un verde chiaro ed al tatto è liscia, l’inferiore è di un verde ancor più chiaro, pubescente con picciolo mediocre. Il grappolo è grosso a forma subconoidale, commpatto e lungo circa 17 cm. fatto di bacche rosso cupe grosse, subovoidali, traslucide, pruinose. I semi sono 2 e la sua polpa è succosa, dolce acquidosa ed insipida. Dà spesso uva in abbondanza, ma il vino che se ne trae è debole e di poco sapore. Ve n’è di molte qualità, peraltro poco dissimili l’una dall’altra, tra queste anche la Crova bianca che si distingue per le bacche bianche“[56].

In una lettera databile fra il 1808 e 1809, scritta dall’ingegner Giulio Cesare Cani di Guastalla[57], all’avvocato reggiano e viticoltore, Giovanni Carandini sulla coltivazione della vite nei territori guastallesi, a proposito delle varietà di uva in loco coltivate, citò l’uva: “S. Maria uva assai grossa, diviene nera con guscio forte, si mescola coll’altre uve per farne vino”[58]; a inizio Ottocento, nei territori di Guastalla, l’uva S. Maria, è l’unica presenza, riconducibile all’uva crova. Il catalogo del vivaio di Luigi Musiari, “(…) posto al Ponte d’Enza in Taneto territorio di Parma“[59], presentava fra le: “Viti di qualità scelte per far vini squisiti“[60] sia la crova che il crovino.

Nel 1847 nella Statistica Generale degli Stati Estensi compilata dal dott. Carlo Roncaglia[61], all’interno dell’elenco delle principali uve colorate di qualità fine coltivate nei territori Cispennini degli Stati Estensi comparivano: Covra o Negrone e Covra gentile[62]. Covra, citata per gli stessi territori, nel 1845 da Attilio Zuccagni – Orlandini[63] nella sua Corografia fisica, storica e statistica dell’Italia e delle sue Isole.

Nella Strenna pel nuovo anno[64], pubblicata a Modena nel 1851, all’interno di articoli di carattere filologico, in merito alla uva covra, si riportava quanto segue: “(…) la Covra, se tramutasi in Corva, mostrerà giusta relazione col suo colore, onde è anche detta Negrone“[65]. Nel 1867, sul catalogo del modenese Agazzotti[66], comparvero le descrizioni della Covra e della Covra gentile: “Covra nera (Corvina). Grappolo grande, piramidale, ben allargato alla base: graspoletti ben forniti e spiccati: peduncolo ordinario, non molto resistente, un po’ rossiccio: piccioletti degli acini ricurvi, piuttosto lunghi ed a larga base, sempre rossa alla inserzione nel grano, non pochi dei quali rimangono acerbi, verdi e marmorei. Acino sferico, da porsi nel novero de’ grandi, non però tanto quanto il Corvone, ma qualche cosa più della Corvina gentile; opaco e qualche poco polveroso. Buccia nero bleu, di poca resistenza, ben staccata dalla polpa, con mediocre materia colorante. Sugo abbondante, poco colorato, acquoso, inaromatico, dolciastro. Uva da vino e, mangereccia, ma poco: di gusto dolciastro e poco delicato, perloché non figura nelle tavole de’ grandi ma solo a frugale pasto dell’operaio: nella confezione del vino, quanta minor copia ve ne sarà stata messa tanto più sapido riescirà, perchè sola dà vino svoto, insipido, di nessun tono, e di poca durata; del resto possiede le stesse proprietà di cui feci cenno parlando della Corvina gentile, cui è sicuramente una varietà più ricca in sugo e di grani più grossi“[67]. Riportiamo anche la descrizione che Agazzotti scrisse sul suo catalogo della covra gentile: “Covra gentile: grappolo molto grande piramidale, graspi verdognoli di media resistenza. Acino sferico piuttosto grande. Buccia di mediocre spessore, alquanto polverosa, nero violacea, sfumata fino al verde-rosa, dall’esterno al picciuolo. Sugo abbondante, dolcetto, zuccherino, melato di poca tinta. Uva vinifera, ed anche mangereccia, molto diffusa in questa provincia, tanto al piano che al colle, non trovandosi quasi fondo che non ne abbia qualche soggetto. Dà molto vino in proporzione della massa dell’uva: fino a 0,80. Ma il vino della Covra riesce assai fiacco, insipido (svoto) ed anche tendente al grosso; perciò la Covra stessa viene sempre commista alle lambrusche delle quali corregge l’asprezza e la scarsezza del sugo. La Corvina è da preferirsi alle altre due varietà della stessa uva, dette una Covra e l’altra Covrone. La vite si adatta a tutta sorta di terreni vitiferi, naturalmente colle note predilezioni di questa pianta. Suol andare assai soggetta alla colatura, così che puossi avere un’enorme differenza di prodotto da un anno all’altro. Getta tralci molto vigorosi, a lunghi internodi, con scorza di colore nocella carico“[68].

Agazzotti riporta anche la descrizione del Covrone (Corvone)[69] che tralasciamo.

Nell’anno 1800, sul Calendario Georgico[70] della Società Agraria di Torino, fra le uve nere di prima qualità menzionava l’uva: “9 Crove, o Crova, uva di grappolo grosso; assai unito, acini rotondi, molto neri, il suo vino è assai nero, sottile, di sapore dolce, ma di poca forza (…) ama terreno pingue, ed esposizione di mezzogiorno, o levante (…). Nel basso Monferrato si coltiva una varietà di questo vitigno chiamata Crovino, così detto perché gli acini cadono facilmente, ha il gambo rossiccio, grappoli mediocri, piuttosto serrati, produce assai, e matura delle prime, soggetta perciò a ladroneccio. Il vino riesce molto nero, e si può utilmente mescolare con altre uve, che danno il vino chiaro: quest’uva credesi sia la stessa, che in altri paesi: è chiamata Slarina, di cui corre il proverbio, che poca o nulla va nella tina. Nelle colline di Casale, e dell’Astigiana si coltiva una specie di vite, la cui uva è chiamate Crovet, con gambo legnoso, acini piccoli, e rari, il vino assai chiaro, e di bontà mediocre, talché quest’uva è nella categoria delle ordinarie”[71].

Note

  1.  Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro Du Tillot a 41-50 b. a 42.
  2.  Archivio di Stato di Parma, Archivio… Bargelli Claudio, La Città dei Lumi…cit., Parma, 2020, MUP, p.173 e p.177;
  3.  Archivio di Stato di Parma, Archivio,,, cit.; Giorgini Paolo, Le varietà di uva presenti nei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, p.n.i.
  4.  Archivio di Stato di Parma, Archivio… Bargelli Claudio, La Città dei Lumi…cit., Parma, 2020, MUP, p.173 e p.177;
  5.  Archivio di Stato di Parma, Archivio,,, cit.; Giorgini Paolo, Le varietà di uva presenti nei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, p.n.i.
  6.  Archivio di Stato di Parma, Archivio… cit. Bargelli Claudio, La Città dei Lumi… cit., Parma, 2020, MUP, p.173 e p.177.
  7.  Archivio di Stato di Parma, Archivio,,, cit.; Giorgini Paolo, Le varietà di uva presenti nei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, p.n.i.
  8.  Archivio di Stato di Parma, Archivio… cit., Bargelli Claudio, La Città dei Lumi… cit., Parma, 2020, MUP, p.174 e p.178.
  9.  Archivio di Stato di Parma, Archivio,,, cit.; Giorgini Paolo, Le varietà di uva presenti nei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, p.n.i.
  10.  Archivio di Stato di Parma, Archivio.. cit., Bargelli Claudio, La Città dei Lumi… cit., Parma, 2020, MUP, p.174 e p.178.
  11.  Id.
  12.  Archivio di Stato di Parma, Archivio,,, cit.; Giorgini Paolo, Le varietà di uva presenti nei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, p.n.i.
  13.  Archivio di Stato di Parma, Archivio… cit., Bargelli Claudio, La Città dei Lumi, Parma, 2020, MUP, p.175 e p.179;
  14.  Archivio di Stato di Parma, Archivio,,, cit.; Giorgini Paolo, Le varietà di uva presenti nei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, p.n.i.
  15. Archivio di Stato di Parma, Archivio… cit., Bargelli Claudio, La Città dei Lumi, Parma, MUP, 2020, p.175 e p.179;
  16.  Archivio di Stato di Parma, Archivio… cit.; Giorgini Paolo, Le varietà di uva presenti nei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, p.n.i.
  17.  Atti della Società Patriotica (sic) di Milano, volume III, Milano, 1793.
  18.  Id. p. 134.
  19.  id. p. 135.
  20.  Carlo Casali, 2° appendice all’elenco dei nomi volgari reggiani delle principali piante nostrali e di quelle esotiche più comunemente coltivate e note, Reggio Emilia, Stabilimento cromo-litografico negli Artigianelli, 1911. Carlo Casali, I nomi delle piante nel dialetto reggiano, Reggio Emilia, Tipografia Bondavalli, 1915.
  21.  Archivio di Stato di Parma, Archivio… cit., Bargelli Claudio, La Città dei Lumi… cit., Parma, MUP, 2020, p.173 e p.177.
  22.  Archivio di Stato di Parma, Archivio… cit.; Giorgini Paolo, Le varietà di uva presenti nei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, p.n.i.
  23.  Id.
  24.  Archivio di Stato di Parma, Archivio… cit., Bargelli Claudio, La Città dei Lumi… cit., Parma, MUP, 2020, p.174 e p. 178.
  25.  Archivio di Stato di Parma, Archivio,,, cit.; Giorgini Paolo, Le varietà di uva presenti nei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, p.n.i.
  26.  Archivio di Stato di Parma, Archivio… cit., Bargelli Claudio, La Città dei Lumi… cit., Parma, MUP, 2020, p.175 e p. 179.
  27.  Archivio di Stato di Parma, Archivio,,, cit.; Giorgini Paolo, Le varietà di uva presenti nei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, p.n.i.
  28.  Atti della Società Patriotica (sic) di Milano, volume III, Milano, 1793.
  29.  Id. p. 137.
  30.  Id. p. 135.
  31.  Mitterpacher Lodovico, Elementi d’agricoltura, tomo secondo, Milano, Giuseppe Galeazzi R. Stampatore, 1791.
  32.  Id. p. 14.
  33.  Re Filippo, Viaggio agronomico per la montagna reggiana (manoscritto) in: Casali Carlo, I nomi delle piante nel dialetto reggiano addenda et emendanda, Reggio Emilia, Officine Grafiche Reggiane, 1926, p.14.
  34.  Comolli Giuseppe, Memoria quarta sull’Agricoltura del dipartimento del Lario, in: “Annali dell’Agricoltura del Regno d’Italia”, compilati da Filippo Re, tomo XVIII, Aprile, Maggio, Giugno, Milano, 1813, Giovanni, Silvestri, 1813, pp. 177-191.
  35.  Id. pp. 184-185.
  36.  Re Filippo, Rapporto a sua Eccellenza il Sig. Ministro dell’Interno sullo stato dell’Orto Agrario di Bologna, Milano, Giovanni Silvestri, 1812.
  37.  Id. p. 48.
  38.  L’Indicatore Modenese, 6/9/1851, a. I, n. 10.
  39.  Id.
  40.  Targioni Tozzetti Ottaviano, Dizionario Botanico Italiano, parte prima, Firenze, Guglielmo Piatti, 1809.
  41.  Id. p. 179.
  42.  Cherubini Francesco, Vocabolario Milanese – Italiano, tomo II, Milano, Stamperia Reale, 1814.
  43.  Id. p. 261.
  44. Archivio di Stato di Parma, Raccolta Manoscritti, ms.138; Il manoscritto è riportato anche in: Spaggiari Pier Luigi, Insegnamenti di agricoltura parmigiana del XVIII secolo, Parma, Artegrafica Silva, 1964; Medioli Masotti Paola, Lessico di un trattato parmigiano di agricoltura (fine XVIII inizio XIX sec.) in: “Archivio Storico per le province parmensi”, quarta serie, volume XXXI, 1979, Deputazione di Storia Patria per le province parmensi, Parma, 1980; Giorgini Paolo, Le varietà di uva presenti bei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, 2021, p.n.i.; Giorgini Paolo, Le varietà di uva presenti bei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, 2021, p. n. i.
  45.  Medioli Masotti Paola, Lessico,,, cit.
  46.  Archivio di Stato di Parma, Raccolta Manoscritti, ms. 138 … cit., f. 692.
  47.  Id. f. 437.
  48.  Peschieri Ilario, Dizionario Parmigiano – Italiano, Parma, Stamperia Blanchon, 1828.
  49.  Id. p. 647.
  50.  Dalla Fossa Claudio, Opuscoli Agrarii, Reggio [Emilia], Coi Tipi della Società, 1810.
  51.  Id. p.25-26.
  52.  Peschieri Ilario, Dizionario Parmigiano – Italiano, vol. II, Parma, Stamperia Carmignani, 1841.
  53.  Id. p. 1109.
  54.  Malaspina Carlo, Vocabolario Parmigiano – Italiano, vol. quarto., Parma, Tipografia Carmignani, 1859, p. 357.
  55.  Tintinnar di bicchieri: vini e vignaiuoli a Parma / a cura di Accademia italiana della Cucina. delegazione della provincia di Parma, Parma, Gazzetta di Parma [2006], a p. 114 riproduzione del Lunario per l’anno 1872 ed elenco dei vitigni della provincia parmense, Parma, Tipografia G. Ferrari e figli; da p.115-128: I vitigni della provincia parmense nell’anno 1872.
  56.  Id. p. 119.
  57.  Biblioteca Maldotti di Guastalla, G.C. Cani, Lettere agrarie alla Colonia d’agricoltura del Crostolo, fondo Cani, busta 96, lettera XII, “Della coltivazione delle viti”, destinatario avv. Giovanni Carandini, data presunta 1808-1809. Si ringrazia, per la competenza e cortesia la dott.ssa Alice Setti della Biblioteca Maldotti di Guastalla. Si veda: Sulla condizione agraria del reggiano nell’Ottocento. Società Agraria di Reggio Emilia, prefazione di Rolando Valli, Reggio Emilia, Antiche Porte Editrice, 2013; pp. 13-27.
  58.  Id.
  59.  Il Facchino, redatto da Carlo Malaspina, 27 febbraio 1841, a. III, n.9, Parma, Tipografia Rossetti.
  60.  Id.
  61.  Roncaglia Carlo, Statistica Generale degli Stati Estensi, volume secondo, Modena, Carlo Vincenzi, 1850.
  62.  Id. p. 420.
  63.  Zuccagni Orlandini Attilio, Corografia fisica, storica e statistica dell’Italia e delle sue isole, volume ottavo, Firenze, 1845, p. 587.
  64.  Strenna pel nuovo anno, Modena, 1851, R.D. Camera.
  65.  Id. p. 19.
  66.  Agazzotti Francesco, Catalogo descrittivo delle principali varietà di uve coltivate presso il Cav. Avv. Francesco Agazzotti del Colombaro, Tipografia di Carlo Vincenzi, Modena, 1866. cfr. Montanari Gian Carlo, Malavasi Pignati Morano Luigi, Uve modenesi tra XVIII e XIX secolo, Modena, Edizioni Il Fiorino, 2018.
  67.  Id. pp. 156-157.
  68.  Id. p. 154.
  69.  Id. pp. 158-159.
  70.  Calendario Georgico, Torino, Società Agraria di Torino, coi tipi di Pane e Barberis, 1800.
  71.  Id. p. 102.