Coda di volpe

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Nella rilevazione del Du Tillot del 1771[1], soltanto in una delle 24 zone nelle quali era stato diviso il territorio ducale, si segnalava la presenza della cova di volpe: “Zona non specificata (9)”[2]; in tale zona sono presenti oltre ad uve rosse, le bianche: terbiano, greco, cova di volpe, moscatello e malvagia; prosegue il rilevatore annotando che: “queste sono poche, maturano tutte insieme, [da esse si ricava] vino bianco robusto o forte“[3]; infine la cova di volpe dovrebbe avere grappo aperto. La coda di volpe è riportata da Bramieri nel 1788[4]: “Coda di volpe. Tutta propria delle montagne della valle di Trebbia: Produce de’ grappoli di singolare lunghezza, serrati anzi che spargoli, acino quasi rotondo, e grossetto, di un giallo assai dilavato. È vitigno rigoglioso e fertilissimo, ed ama le terre profonde, perché mette moltissime radici. Conviene al filare, e converrebbe alle pergole: non a vite bassa pel troppo rigoglio, e nemmeno all’albero pel soverchio peso, e per la dilicatezza del grappolo. Rende moltissimo vino, ma poco pregevole, o ciò sia per la situazion sua fra i monti, ove niun vino riesce perfetto o per le qualità stesse dell’uva, e forse meglio, per l’una, e per l’altra cagione.”[5]. Nessun cenno alla coda di volpe, da parte dei vocabolari del Peschieri[6], Foresti[7] e del Malaspina[8].

Nei vicini territori estensi si ha più o meno la stessa situazione. Nonostante questa presenza molto limitata, la coda di volpe, in altri territori italiani aveva una certa diffusione.

Rovasenda[9] indica la presenza della coda di volpe bianca nella zona del Vesuvio e la campagna romana, egli la definisce: buona uva da torchio[10]. Rovasenda sostiene che il falerno è sinonimo di coda di volpe bianca[11]. Viala nel VI volume della sua opera Ampèlographie, pubblicò un approfondimento sulla coda di volpe bianca a cura di M. Carlucci[12], impreziosito da una tavola a colori riportante il caratteristico grappolo dell’uva coda di volpe bianca.

Si tratta di un vitigno coltivato nel meridione d’Italia con una storia molto antica, pare che il vitigno in questione fosse citato da Plinio: inoltre, secondo l’autore, la coda di volpe era di origine greca e fu importata in Italia dai romani, essa ha un caratteristico grappolo allungato con una leggera incurvatura apicale che ricorda la coda della volpe.

Si rimanda per ulteriori notizie, all’interessante monografia di Carlucci[13]. Possiamo tuttavia riportare la traduzione in italiano di fine del XVII secolo, del breve riferimento di Plinio alla coda di volpe: “All’incontrario dispiacciono molto a vederle, la cinerea, la robuscola e l’asinisca, ma meno assai l’alopece, così chiamata perché è simile alla coda delle volpi“[14].

Note

  1.  Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro Du Tillot a 41-50 b. a 42.
  2.  Bargelli Claudio, La Città dei Lumi, Parma, MUP, 2020, p.174 e 178; Bargelli Claudio, “Teatro d’Agricoltura” Le campagne parmensi nelle inchieste agrarie del secolo dei Lumi, in: “Rivista di Storia dell’Agricoltura” a. LJ, n.2, dicembre 2011 pp. 101-130.
  3.  Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.: Giorgini Paolo, Le varietà di uva presenti nei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, 2021, p. n. i.
  4.  Atti della Società Patriotica di Milano, volume III, Milano, 1793.
  5.  Id. p. 140.
  6.  Peschieri Ilario, Dizionario Parmigiano – Italiano, vol. II, R-Z, Parma, Stamperia Blanchon, 1828, id. Stamperia Carmignani, 1841.
  7.  Foresti Lorenzo, Vocabolario Piacentino – Italiano, Piacenza, Fratelli Del Majno Tipografi, 1836.
  8.  Malaspina Carlo, Vocabolario Parmigiano – Italiano, vol IV, Parma, Tipografia Carmignani, 1859.
  9.  Rovasenda Giuseppe, Saggio di una ampelografia universale, Torino, Tipografia Subalpina di Stefano Marino, 1877.
  10.  Id. p. 54.
  11.  Id. p. 67.
  12.  Carlucci M., Coda di volpe, in: Viala P., Vermorel V., Ampelographie, tome VI, Paris, Masson e C.,1905, pp. 345 – 351.
  13.  Id.
  14.  G. Plinio Secondo, Historia Naturale, traduzione di M. Lodovico Domenichi, Venetia, Alessandro Griffio, 1580. Libro XIV, Cap. III, p. 432.