Boverizza

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L’unico cenno all’uva Boverizza è presente nella lettera del guastallese ing. Cani all’avvocato reggiano Carandini[1], databile fra il 1808-09: “Boverizza nera, non è bona da mangiare, ma però fornisce molto vino e spiritoso“[2].

Note

  1.  Biblioteca Maldotti di Guastalla, G.C. Cani, Lettere agrarie alla Colonia d’agricoltura del Crostolo, fondo Cani, busta 96, lettera XII, “Della coltivazione delle viti “, destinatario avv. Giovanni Carandini, data presunta 1808-1809. Si ringrazia, per la competenza e cortesia la dott.ssa Alice Setti della Biblioteca Maldotti di Guastalla. Si veda: Sulla condizione agraria del reggiano nell’Ottocento. Società Agraria di Reggio Emilia, prefazione di Rolando Valli, Reggio Emilia, Antiche Porte Editrice, 2013, pp. 13-27.
  2.  Id.