Berzemino – Berzamino – Berzomino – Barzemino – Belzemino

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Rimandando

 SEI FIASCHE VOTE

 A chi gliele aveva mandate in dono

 PIENE DI BERZEMINO

Già di nettare vermiglio,

Ora esangui, ed ora bianche

A voi torno le Buttiglie.

Pur se il dono del parlare

Datto fusse loro in sorte,

Vi dovrebber ringraziare:

Non faran, perché son morte.

Poverette! ben venute,

Ben a tavola applaudite,

Se ne parton ben bevute,

E per sempre ora sbandite:

O sbandite, finché piene

Cangiar possano destino,

Ravvivando le lor vene

Di purpureo Berzemino

Perché il mondo da furfante

Ama quello sol che giova,

E nol cura al primo istante,

Che disutile lo trova.

Mondo indegno! Ma che farvi?

Ha nel male fitto il chiodo

Chi vorrebbe rimediarvi?

El vuol reggersi a suo modo.

Io che passo già i cinquanta,

E lo veggo incorreggibile,

lo compiango, come pianta

Vecchia, torta, ed inflessibile

Io trovato l’ho così

Quando il viver mio spuntò,

Al finir dè miei dì

Io così lo lascerò[1].

Comante Eginetico, nome fra gli Arcadi dell’abate Carlo Innocenzo Frugoni[2], rilevante poeta innovatore, librettista, compositore e revisore degli spettacoli teatrali, segretario prefettizio della Reale Accademia delle Belle Arti di S.A.R. il signor infante duca di Parma, Piacenza e Guastalla[3], è l’autore della composizione “Rimandando SEI FIASCHE VOTE A chi gliele aveva mandate in dono PIENE DI BERZEMINO“.

La presenza in dieci distretti dell’uva rossa berzemino, rilevati nel corso della inchiesta sull’agricoltura del Ducato di Parma Piacenza e Guastalla, del 1771, voluta dal ministro Du Tillot[4], designa l’uva rossa berzemino come la terza varietà di uva più diffusa nel Ducato nel 1771, superata soltanto dall’uva trebbiano e dalla fortana, quest’ultima presente in quasi tutti i distretti. Nella inchiesta agraria voluta dal primo ministro Du Tillot, del 1771[5], il berzemino compare in 10 delle 24 localizzazioni nelle quali fu diviso il territorio del Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, ai fini della rilevazione delle varietà di uva su di esso coltivate. Le 24 zone rimangono in realtà 19, perché i dati forniti dai rilevatori su cinque localizzazioni sono generici o parziali, soltanto la fortana, tra i vini rossi o neri, e il trebbiano, fra i bianchi, hanno una maggiore diffusione del berzemino; ricordiamo che si tratta di presenza, e non di estensione della coltivazione sul territorio. In una “Zona non specificata tra l’Enza, il Termina e la Parma (1)”[6], era presente “qualche poco di berzomino (…) grano piccolo, rotondo e nero e grapo serrato“[7]. Nel distretto comprendente le località di: “Fornovo, Ozzano Taro, Piantonia, Sivizzano, Bardone, Terenzo, Goiano,e Lesignano (2)”[8], fu censita la vite di berzemino, senza altra specificazione. A “Busseto (5)”[9], fu rilevata: “in pochissima quantità del belzemino (…) granello rotondo (…) piccolo grapolo ben si ma serrato di grana”[10]. Nel dipartimento di: “Cella, Costamezzana e altre terre non specificate (6)”[11] fu rilevato l’uva berzominocon grappo aperto e grano rotondo“[12]. A “S. Secondo, Fontanelle (7)”[13] fu censita l’uva dal grano rotondo, berzemino[14]. Nel dipartimento di: “Borgo S. Donnino, Costamezzana, Fontaneto e Siccomonte (10)”[15] era presente il berzemino di grano rotondo, matura a settembre [16]. Nel distretto di “Sorbolo e Casalora (11)”[17] fu rilevato il berzemino. Nel distretto comprendente le località di: “Colorno, Torrile, Coltaro, Copermio, Sacca, Sanguigna, Mezzano Rondani (13)” era presente “in poca quantità (…) berzemino(…) con grappo serrato e grano lunghetto”[18] “Nel Distretto di mio figlio che contiene Giarola, Colechio, Vicofertile, Vigolante, Limignano, Vighefio con piccola parte di Antognano di Gaiano al di qua del Baganza (…) (14)[19] [ era presente ] il Barzemino, grano rotondo e grappo aperto ma è scarso[20]. Infine nel:” dipartimento del feudo di Soragna (23)[21] [fu rilevato] il Belzemino (…) di granello rotondo e grappo aperto.” [22] Nella rilevazione del 1771, il berzemino non compare nei territori piacentini. In realtà, Don Giulio Bramieri, patrizio piacentino, colonnello al servizio di S.A.R. l’Infante Duca di Parma, nel 1793, rispondendo ad una serie di quesiti sulla vite promossi dalla Società Patriotica (sic) di Milano, diretta all’avanzamento dell’agricoltura e delle arti, relativamente alla indicazione dei nomi dei magliuoli di migliore qualità e più fruttiferi del piacentino, tra le ”Uve violacee, dette comunemente il Lombardia nere, in Toscana rosse “[23], incluse il berzemino. “Berzemino. Ella è senza dubbio la Balsamina milanese [ nella risposta ai quesiti della Società patriotica occorreva anche indicare il corrispettivo nome lombardo del vitigno descritto]. Appetisce le terre forti, ed è rigogliosa, ficché torna assai bene all’ albero. Regge l’umido assai meglio d’ogni altra vite, e, per la durezza della scorza e leggerezza dello spargolo grappolo, non vien molto danneggiata dai venti. Quest’uva nei grassi piani deteriora meno di tutte le altre. Se ne ricava un vino generoso, pieno e carico di colore. “[24] Quindi il berzemino descritto nel piacentino alla fine del Settecento oltre ad essere di colore violaceo, ha una scorza dura ed un grappolo spargolo. Il manoscritto 138, conservato presso l’Archivio di Stato di Parma[25] risalente al 1811 circa, periodo nel quale i territori del Ducato erano sotto il dominio napoleonico, riporta il berzemino rossa nel foglio 691 e il berzino nel foglio 437[26], quest’ultimo presente nell’elenco delle viti coltivabili negli orti del “Trattato di agricoltura“; non è presente alcuna descrizione delle caratteristiche dei suddetti vitigni. L’ingegnere idraulico Giulio Cesare Cani (Guastalla 1754-ivi 1834), dopo aver conseguito la laurea presso l’università di Parma, ritornò a Guastalla, suo paese natale, si occupò di varie problematiche legate al territorio[27]. In una lettera inviata, dall’ing. Cani all’ avvocato scandianese, proprietario di vigneti, Giovanni Carandini, nell’elencare i nomi delle varietà di uva coltivate nel guastallese, Cani, così riportava le caratteristiche del: “Berzamino nero del grosso e del piccolo delicato da mangiare; offre un vino molto colorito e pieno e dal miglior gusto e forza: ma è pericoloso da conservarsi nel caldo, però si mischia con un’altra uva per non azzardarlo solo.”[28] Alla fine di dicembre del 1851, Luigi Maini, su L’Indicatore Modenese, nell’ultima puntata del “Catalogo alfabetico di quasi tutte le uve o viti conosciute e coltivate nelle province di Modena e Reggio secondo i loro nomi volgari con altre osservazioni relative” [29]; in merito alla Marzemina l’autore, riporta un riferimento alla coltivazione della suddetta varietà a Modena, tratto da un opuscolo risalente alla fine del ‘600: “La Marzemina che coltivasi nelle nostre campagne è nominata con onore da Agostino Sacconi in un suo raro opuscolo stampato in Roma nel 1697 col titolo: Ristretto delle piante con i suoi nomi antichi e moderni ecc.: Nel quale leggesi: La Marzemina (è uva) che fa li grappi lunghi, e i vaghi (acini) grossi in Modena se ne fanno vini buoni.”[30] In realtà a scrivere questo libro di poco più di 120 pagine, dedicato alla Sacra Cesarea Real Maestà Leopoldo I, e a pubblicarlo a Vienna nel 1697, fu il giardiniere e fiorista romano Francesco Persio Sacconi[31], fratello del giardiniere Agostino Sacconi, dal quale raccolse e raccontò le esperienze e le conoscenze che Agostino accumulò in quarant’anni di lavoro come giardiniere al servizio di diversi principi romani. Nelle sette puntate presenti su L’Indicatore Modenese, Maini riporta opportunamente l’elenco delle uve coltivate nel modenese e nel reggiano, ricavandolo da un’opera scritta nel 1752 di Giovanni Battista Vicini (1709-1782): I vini modenesi baccanale di un accademico dissonante colle annotazioni di un Anonimo Modenese[32]. In realtà, tale composizione poetica è attualmente attribuita a Francesco Pincetti[33]. Ed è proprio dal commento dell’anonimo modenese, da parte di Nicolò Caula, dal quale possiamo trarre notizie importanti sulle varietà di uva coltivate nei territori di Reggio e Modena, alle quali si aggiungono le notizie tratte da un manoscritto inedito di D. Piergiovanni Paltrinieri, contemporaneo del Vicini, sulle uve carpigiane[34]. Ricordiamo che l’uva Marzemina coltivata a Modena a fine ‘600 aveva grappoli lunghi ed acini grossi. Mentre nel 1752 differenti ci appaiono le caratteristiche della: “Berzemina, uva (nera) buonissima, ha grane rotonde, chiare, e non molto grosse: guscia dura, dolce, e saporita al gusto. Il suo sapore, e la durezza della guscia la divaria bene dalla Negretta, che non è tanto saporita ed è di guscia tenera. Né devesi confondere colla Marzolina o Marzemina[35]”. Marzolina, o sia Marzemina, uva (nera) buonissima anche più della Berzemina, benché alcuni credono che sia la stessa, è parimenti di grana chiara, rotonde, di guscia più dura della Negretta, ma quasi più tenera della Berzemina; ordinariamente ha il grappolo più lungo, e grande che la Berzemina, il suo sapore è delicatissimo, pieno e dolcissimo. Questa non ha l’imperfezione della Berzemina, che è di fare un vino, il quale in Primavera prende il morbido, contuttoché ritorni buono; tuttavia per levargli questa imperfezione è meglio mescolarvi uva forte, come sarebbe Lambruscone, o Dalloro, o altra simile.Si distingue anche la Marzolina dalla Berzemina nel colore; poiché quantunque l’una e l’altra siano negrissime, tuttavia il colore della Marzolina ha un nero più bello, ed assomiglia alla tintura de’ panni neri tinti col guado, e la Berzemina somiglia al nero tinto senza guado”[36]. In un rapporto al ministro dell’interno, inviato nell’aprile del 1812, da Filippo Re, direttore dell’orto agrario di Bologna, indicava, nella collezione di viti rosse bolognesi presenti nell’orto agrario cittadino, la vite berzemino come Vitis longobardica[37]. Il primo approccio che ebbe Giorgio Gallesio con il Barzemino, probabilmente, fu intorno alla metà di settembre del 1815, quando, descrivendo nel suo diario le qualità di uva incontrate nel pontremolese[38] così si esprimeva: “Una delle migliori fra le uve nere è il Barzemino: è un’uva a grapolo molto sparso, a grani tondi, piccoli, nerissimi, a buccia dura e gusto vivo e dolce, non somiglia ad alcune delle nostre [intendeva le uve di Finale Ligure ] e pretendono che faccia un vino assai buono ma non ha gran forza. “[39] Il 1 ottobre del 1819, Gallesio, nel corso di un suo viaggio in Liguria, Lombardia, Stato Pontificio e Toscana (1819 – 1820)[40], attraversando i territori reggiani rilevava che: “È bene notare che a Reggio ho trovato la piazza piena di un’uva eccellente, a grani piuttosto radi, tondi, di un nero liscio e lucente e somigliante al Vermiglio di Voghera: essa è chiamata Barzemina, nome che si dà in Pontremoli ad un’uva stimatissima per far vino e che mi pare essere la stessa.”[41] Nel 1828, Ilario Peschieri nel suo Dizionario Parmigiano – Italiano[42], alla voce: Uva, fra le uve rosse riporta il termine dialettale Berzmèin, traducendola in italiano con: “Marzemina, Marzimina, Marzomino, Marzemino. Ve n’ha una varietà detta dal Signor Acerbi Marzemina arrampicatrice perché il fusto monta assaissimo, e i sermenti s’arrampicano a qualunque altezza con viticci tenaci, legnosi e fortissimi”[43]. Nel 1841, nella successiva edizione del Dizionario[44], Peschieri, confermerà quanto pubblicato nel ’28, limitando la traduzione in italiano di Berzmèin a: Marzemina e Marzimina [45]. In precedenza, nel 1836, anno di pubblicazione del Vocabolario Piacentino – Italiano, da parte di Lorenzo Foresti [46], nella elencazione delle varietà di Uga (Uva), al nome dialettale Balzmein corrispondono i nomi italiani di Marzimina, Marzemina, Marzomina[47]. Dal Vocabolario Milanese – Italiano del Cherubini [48], del 1843, alla voce dialettale Uga balzaminna o balsaminna o barzaminna corrispondeva: “Marzimino. Marzemino. Marzomino. Specie di uva rossa, di buccia grossa, col grappolo spargolo, leggiero; da vino generoso, polputo e assai colorato.”[49] Nella descrizione dell’uva balzaminna del Cherubini, vediamo descritte le stesse caratteristiche dell’uva berzemino del piacentino,tradotta in lombardo dal Bramieri nel 1797, con il termine uva balsamina. Nella edizione del 1814 dello stesso Vocabolario[50], il principale nome dialettale è: “Barzamin (o Balzaminna o Balsaminna). Marzimino. Marzemino. Marzomino. Specie di uva nota.”[51] L’Ua barzmin con le stesse specifiche del vocabolario del 1814, compare, a cura dello stesso autore, nel Vocabolario Mantovano – Italiano del 1827[52]. Il medico Ignazio Lomeni, a causa di una saluta malferma, dovuta ad anni di pratico esercizio della medicina, si ritirò a Magenta ove possedeva dei fondi agricoli, la cui conduzione seguì personalmente. Dall’esperienza maturata, unita alle letture di manuali ed opere antiche sull’agricoltura, Lomeni, scrisse un trattato sul vino, che pubblicò nel 1829 e, nel 1834, una seconda edizione ampliata [53]. Dopo aver trattato dei vini di grande commercio e di vasto consumo fra i vari strati della popolazione, affrontò i vini di lusso: “(…) ora il discorso si rivolge ad un’altra specie di vini di cui il popolo ben poco e nulla fa uso, e che è destinata piuttosto a formare le delizie del gorgozzule de’ grandi e de’ ricchi, ed il tormento forse maggiore pel loro fegato e per le loro vie orinarie “[54]. Secondo Lomeni, erano prodotti, due specie di vini di lusso: “(…) la prima comprende quelli fabbricati colle uve appena raccolte od al più soleggiate per pochi giorni; la seconda quelli per la cui produzione è d’uopo di impiegare uve da lungo tempo raccolte e lasciate appassire “[55]. Fra i vini di lusso della seconda specie era compreso il Diavoletto, prodotto a Parma, utilizzando esclusivamente uva berzemino: “Il parmense Pietro Poldi pubblicò sul finire del 1825 un suo Metodo per fare il vino detto Diavoletto col Berzemino [56],(…). Trascrivo qui con piacere l’accennato di lui metodo pubblicato nel formato di un diploma d’università di Studi, perché contiene molti particolari sui quali converrà di entrare dappoi in qualche delucidazione“[57]. In breve il Diavoletto era prodotto, raccogliendo le uve mature in giornate serene ed asciutte, il trasporto delle stesse doveva essere molto accurato, ponendo attenzione affinché gli acini non si ammaccassero nei panieri. L’uva si era riposta, senza scosse, in una camera chiusa, addossata grappolo a grappolo sul nudo terreno, o su cannicci, o appesa alla soffitta, affinché appassisse. A fine anno, l’uva così appassita, veniva sgranata, gettandone il graspo e stringendo gli acini dolcemente (per evitare l’espulsione di olio da parte dei semi) attraverso un sacchetto di tela forte da cucina; il liquido era riposto, in capaci damigiane, lasciandone il collo del vaso libero, coprendo quest’ultimo con carta forata. Le damigiane rimanevano in luogo piuttosto caldo fino al decimo mese, dell’anno successivo alla vendemmia, vale a dire ad ottobre, quando si imbottigliava il Diavoletto. Poldi, a questo punto, aggiungeva, alcune frasi ad effetto, molto efficaci, sulle qualità del suo vino: “N’hai dapprima nello sturare le boccie un soavissimo odor di viola che ti bea le nari e spande quella grata fragranza che invita il gusto ad appetire. Per secondo, e qui sta il buono, nell’ingollarlo tu provi un gusto soave, delizioso e potente che t’inonda di forte scossa lo stomaco, riscaldandoti e facendoti titillare tutto l’interno in modo beato che ti dà l’estasi, né ti lascia più che desiderare; avverandosi così il detto di que’ nostri che scrissero essere il vino buono letizia vera de’ cuori “[58]. Tralasciamo le, probabilmente, esatte osservazioni di Lomeni sul metodo di produzione del Diavoletto, rammentando che, questo nettare, era prodotto soltanto con uve berzemino. Giorgio Gallesio, nel suo viaggio in Piemonte e Lombardia del 1831[59], il 17 settembre, trovandosi a Desio, osservò una raccolta di uve assai interessante, tra le quali: “Barsemina: uva dello Stato Veneto, grapolo longo, piramidale, con qualche racimolo distinto presso il peduncolo che è verde, acini regolari, rotondi, o un tantino ovoidali, neri e a pedicello verde. È questo il Barzemino del Vicentino.”[60] Il 20 settembre dello stesso anno, Gallesio, giunse a Bosnasco, ove vide e descrisse la: “Barsemina di Vicenza: foglia grande, quasi intera, leggermente seghetata nei lembi, pagina superiore verde – carica, pagina inferiore verde – chiara: grapolo piramidale, mediocre, spargolo, colle ali formate da quattro a cinque racimoli distinti e finito da una punta a racimoli eguali, acini piccioli, tondi, colore d’indaco di un lucido nerissimo quando sono spogliati dal poline che li cuopre, a buccia dura, polpa sugosa, dolce, con molti vinacciòli”[61]. Gallesio nel corso del suo viaggio ritrovò la Bersamina nei territori della Brianza [62]; e ad Oleggio: “La Barzebin è un’uva a grappoli piccioli, sottili, ad acini piccioli, tondi, di colore cenerino, a polpa dolce. fa vino eccellente e gareggia colla Spagna“[63]. Giorgio Gallesio morì a Firenze il 30 novembre 1839[64], il 20 settembre dello stesso anno, presso Nonantola di Modena, Gallesio scrisse alcune considerazioni sul suo diario di viaggi in relazione alla maggiore maturità e generosità dei vini parmigiani e modenesi rispetto a quelli di alcune zone della Romagna, confrontando i vini neri, egli constatava che: “I vini di Canina del Ravennate e del Faentino, i vini del San Gioveto sono neri e pieni ma aspri e senza grande generosità, mentre i vini di Lambrusca del Modenese e specialmente quelli di Sassuolo sono pieni e generosi e quelli di Barzemina del Modenese sono generosi ed amabili. “[65] Il giorno successivo, Gallesio, nell’elencare le uve bianche del modenese, citava la: “Barzemina bianca: non ha alcuno dei caratteri della Barzemina nera; fa grappoli curti, piccioli, pignati ed estremamente serrati, con acini tondi e verdognoli”[66]. Nello stesso giorno, giunto da Nonantola a Sassuolo, Gallesio annotava che “I vini di Sassuolo sono neri e vigorosi e si consumano nel Modenese. A Sassuolo domina il Barzemino“[67]. Il 23 settembre a Reggio Emilia, Gallesio scriveva sul suo diario alcune considerazioni sui vini del territorio modenese-reggiano: “Le uve variano un poco da un paese all’altro ma le nere sono quasi dappertutto le stesse: il Barzemino e le due Lambrusche le ho riconosciute a Nonantola. a Sassuolo, a Casalgrande e a Reggio e mi dicono che sono specialmente le dominanti a Correggio, dove si fanno buoni vini. (…) A Sassuolo ho bevuto dei vini di Lambrusca e di Barzemino che avevano del corpo ed erano generosissimi, ma tutti avevano un poco di aspro o del mieloso e sempre il pizzico del gas carbonico e tutti sono di un color denso che paiono grassi“[68]. Molto significativa, ai fini della presente ricerca, è la considerazione che Gallesio riporta nella sua visita a Parma il 24 settembre: “Nel Parmiggiano non si alleva quasi altra uva che il Barzemino e così è con questo che si fanno i vini comuni da pasto che hanno molto corpo e conservano sempre un poco di amabile ma non hanno la generosità dei vini neri di Sassuolo che si fanno di Barzemino misto con Lambrusca, Fosca, Guscia amara e Covra”[69]. Il 27 settembre da Modena, nel descrivere i vini della città, Gallesio citava il: “Barzemino: ha grappoli poco spargoli, acini grossetti, neri.”[70] Nella statistica generale degli Stati Estensi compilata dal dott. Carlo Roncaglia[71], pubblicata nel 1850, ma i dati in essa contenuti erano a tutto l’anno 1847, fra le uve fini colorate, (non comuni od ordinarie), presenti nei territori Cispennini, figuravano sia la Berzemina che la Marzemina. Carlo Casali[72] ritenne che verso il 1840, “(…) il dottor Vincenzo Bertozzi[73], membro della Società Agraria del Dipartimento del Crostolo e appassionato e valente frutticultore”[74], compilò un elenco delle varietà di uve presenti nella provincia di Reggio Emilia; fra le “Viti di uva di colore coltivate nei campi, uve scelte per i migliori vini di commercio”[75] erano presenti quattro diversi berzemini: 73) Berzmein gross, Berzimino o Marzimino, 74) Berzmein zentil, 75) Berzmein gruppel, 76) Berzmein pass; fra le “Altre viti di colore coltivate comunemente nei campi “[76]era segnalato: 101) Berzmein selvadegh. Infine, fra le uve bianche coltivate nei campi: 46) Berzmein, Marzimino, Berzemino. Pur esulando dal periodo storico considerato dalla presente ricerca, può essere utile, riportare i risultati di uno studio compiuto da Carlo Casali nel 1915 sui nomi delle piante nel dialetto reggiano[77]; specificamente per quanto riguarda il berzemino: òva berzmèin (nera) Berzamino, Balsamino, Berzemino o Marzemino nera; òva berzmèin dal fiòur (nera) Balsamino del fiore; òva berzmèin capòlegh (nera) Berzamino grosso, òva berzmèin gràss (nera) Berzamino grosso; òva berzmèin pàss (nera) Berzemina o Balsamino passo; òva berzmèin salvadegh (nera) Balsamino selvatico v. òva gherpèll Gherpella; òva berzmèin smèstegh (nera) Berzamino grosso v. berzmein capòlegh; besmèin Balsamina, Balsamino, Berzemino, Marzemino. E’ presente anche l’òva marzuléina (nera) Marzolina o Marzemino nero. Nel 1856, Carlo Malaspina, nel Vocabolario Parmigiano – Italiano[78], alla voce Berzmén, riportava: “Berzemino (Gales.), Marzimino (Soder.). Vitigno classico del nostro Ducato, dell’Estense e della Terra ferma Veneta perciò detto da Galesio Vitis Veneta – Longobardica ecc.”[79] Nel volume quarto del Vocabolario del Malaspina[80] sotto la voce Uva, varietà: Berzmèn, Marzimina[81]. Precedentemente alla comparsa dell’oidio, che colpì pesantemente la viticoltura dalla metà del XIX secolo, si manifestò, un mutamento delle scelte varietali, causato da cambiamenti climatici. Tale mutamento riguardò anche il berzemino, sostituito da varietà con fioritura tardiva, per evitare le nebbie tardive che “bruciavano i fiori”: “Anticamente, nella provincia Cremonese coltivavansi le così dette uve gentili, come sono il negrone, il nigrisolo, il belzemino, la rossèra e simili, che fiorivano a buon’ora, e rendevano un copioso prodotto in uva, con cui formavasi un vino gustoso, spiritoso ed abbondante; ma essendosi da 70 anni incirca introdotta in copia la coltivazione del riso, ed essendosi moltissimo estese le irrigazioni, e con l’introduzione di nuove rogge o canali, e coll’aumento dell’acqua nelle già esistenti, il clima di questo territorio si è reso umido a seguo da produrre nebbie tardive, che abbruciavano i fiori delle viti primaticce, e rendevano nulle le speranze dell’agricoltore. Si è pertanto pensato a riparare ad un tanto danno, sostituendo alle dette uve gentili la fortana ed il pignolo che, per essere tardive nella fioritura, non temono l’insulto delle nebbie“[82]. Le precedenti osservazioni sulla coltivazione dell’uva nel cremonese, risalgono al 1825, sono opera del professor Gio. Sonsis, cremonese, presumibilmente discendente dell’omonimo pittore fiammingo che operò a Parma a fine XVI secolo. Il professor Sonsis contribuì alla fondamentale opera di ampelografia, Delle viti italiane, curata da Giuseppe Acerbi di Castelgoffredo. Nel mantovano. si verificò una analoga sostituzione di varietà di uva, simile a quella osservata nel cremonese. Luigi Preti, segretario della Camera di Commercio di Mantova, nel 1842, pubblicò: Notizie statistiche della città e provincia mantovana[83], nella sezione riservata alla viticoltura, si osservava che: “Oltre le Uve, che in passato erano le più coltivate, cioè corbine, chiodole, colombe, trebbiane, bianche, uva d’oro, nigrara, uva rabbiosa, groppello, barzamino, la cremonese, la basgana, e il moscato nei luoghi recinti, buon numero di proprietari reputò di sommo giovamento la introduzione della pignola, negrisola, frambos, refosco, piccolit, barbera, nibiola e lambruscone. Mediante l’aggiunta di siffatte varietà di uve i nostri vini crebbero in pregio, ed oltre ottenerne una maggiore quantità, la bontà de’ medesimi e il colore procurarono maggiore spaccio, in guisa che questo prodotto è uno de’ fiorenti della nostra Provincia.[84] La sostituzione, fra le altre varietà, del berzemino, fu causata, oltre che, da ragioni climatiche avverse, come avvenne nel cremonese, anche per ragioni commerciali, come accadde nel mantovano. Per una descrizione discretamente dettagliata, dell’uva Berzmèn coltivata nel parmense, occorre riferirsi ad un Lunario edito a Parma negli anni ’70 del XIX secolo e riprodotto, a cura dell’Accademia Italiana della Cucina, Delegazione di Parma, nel testo: Tintinnar di bicchieri: vini e vignaiuoli a Parma[85]: “Berzmèn. La sua foglia mediocre, oblunga, quinqueloba con i lobi inferiori meno distinti dei superiori i bordi sono inegualmente dentati e sub sinuosi, la pagina superiore è di un verde cupo spesso macchiata di rosso nei mesi autunnali, mentre la foglia inferiore è di un verde pallido, alquanto tomentosa per i peli bianchicci. Il picciolo risulta mediocre, di colore verde tendente al rossiccio. Il bel grappolo ha forma piramidale a ramificazione lassa e normalmente lungo 20 cm. È composto di bacche nere, turchiniceè, opache, rotonde. I semi risultano in numero variabile da 2 a 4. Il sapore risulta gradevolmente dolce e dà un vino pieno del colore intenso e del sapore moderatamente dolce. In Toscana e nel Veneto questo vitigno è conosciuto col nome di Marzemina nella Lombardia e nelle campagne veronesi è chiamata Balsamina”[86]. Nonostante la suddetta descrizione del Berzmèn sia posteriore al dissolvimento del Ducato di Parma e Piacenza, ho ritenuto opportuno riportarla ugualmente per definire un punto di riferimento, poiché le descrizioni del berzemino, risalenti ai periodi precedenti al XIX secolo, sono molto scarne. In realtà, potremmo confrontare la descrizione del Berzmèn “parmigiano”, risalente al 1872, con quella del Balzemino” cremonese”, ad opera del professor Gio. Sonsis, pubblicata, come scritto precedentemente, da Giuseppe Acerbi nel 1825: “6° Balzemino. Fusto di molta cacciata, robusto, tenace. Sermenti con poco midollo, lunghi. duri, tenaci. Viticci corti, frequenti, tenaci, trifidi. Foglie 5-lobe, col margine dentellato inegualmente, colla superficie superiore piana. e l’inferiore alquanto villosa, verdi in estate, e rosse in autunno, con peziolo lungo, grosso e rossiccio. Frutto rotondo, nero, pruinoso, piccolo, raro; con peduncoli grossi, lunghi e rossi. Fiocine liscio, duro, tenace. Acini succosi, dolci, con succo sanguigno. Grappolo solitario, col peduncolo comune rosso e tenace, Semi per lo più 3, piccoli, bruni. Vite feconda, tardiva, mangereccia, e dà vino che riesce di un rosso carico, di sapor forte e spiritoso. Ama salire sugli alberi, e di essere coltivata a pergolato. Viene danneggiata dagli uccelli“[87]. Per quanto riguarda le immagini del Berzemino risalenti al periodo storico considerato, si può utilmente consultare la Pomona Italiana di Giorgio Gallesio, riportante la riproduzione di una tempera dipinta da un anonimo autore padovano, raffigurante l’uva Barzemina[88], e pubblicata nella Dispensa n. 41 della Pomona Italiana, (dispensa) edita nel 1839[89], anno della morte di Gallesio. Rispetto al Berzemino attuale, quello della Pomona appare forse più allungato e coi gli acini meno serrati. Un’altra tavola della Pomona, la quale rimase inedita, raffigurante: “Uva vulgo Marzemina e Pergola bianca (tempera 43×30)[90], viene segnalata e raffigurata nel testo di E. Baldini – A. Tosi citato in nota. Anche se risalente al 1866, anno non rientrante nel periodo temporale considerato dalla presente ricerca, aggiungiamo la descrizione dell’ uva berzemina ricavata dal catalogo di Agazzotti di Formigine di Modena[91]: “Berzemina (Marzemina. Marzolina. Uva tedesca). Grappolo allungato coi graspetti ben pronunziati: picciuolo assai resistente e spesso fin ligneo: verde affatto a grani sempre radi. Acino piccolo, sferico, con seme piuttosto grosso. Buccia nero – morato – lucente: di ordinaria consistenza. Sugo non abbondante, ma di un marcatissimo dolce melato: attaccaticcio, vischioso e quasi inaromatico. Uva più mangereccia che vinifera: pure molto comune in questa provincia di Modena. Sonvene parecchie varietà: cioè la comune, quella a grani piccoli, a grani grossi, ed a grani passi, detta berzmen pass; tutte però hanno un loro aspetto particolare nel frutto, e un sapore dolce melato, così distinto che difficilmente si confondono con altre uve. Possono servire a correggere mosti aspri ed acerbi, fornendo loro glucosa in abbondanza e materia colorante. Eccedendo, per altro potrebbero facilmente contrarre quel gusto spiacevole, che dicesi grasso: come accade sempre quando sono adoperate schiette. Se poi vogliasi correggerli collo stiptico de’ lambruschi, avremmo ma di quei vini che si tagliano (così dicesi con frase volgare), ch’è quanto dire coloratissimi con ligo al palato e pesanti allo stomaco: ma spesso ricercati dagli imitatori del miracolo delle nozze di Canaan. La vite asattasi a tutte sorta di terreni vitiferi: mette tralci viforosi, e perciò male adattasi alla ristretta coltivazzione in vigna, a meno che non sia terreno magro, arido e ghiajoso: ove attecchisce facilmente. In terreno pingue fruttifica ad esuberanza”[92]. Nel 1850, Gambini[93], riportava il termine dialettale pavese: (uga) barzamena[94] per (uva) marzemino; tale termine dialettale indicava il berzamino; mentre barzegana era il temine che a Ferrara nel 1473, contrassegnava la stessa varietà d’uva, come riportavano le Croniche di Ugo Caleffini[95]: “le vide assaissime, como sono uve d’oro et barzegane et albane“[96]. Pierre Viala, nel 1909, in due diversi volumi della sua Ampelographie[97], riportava i seguenti sinonimi: “Barsamino  (Barzamino); Barzami (Berzamino); Barzamino (Berzamino); Barzamino (Berzamino)”[98]. Berzami – Cèpage italien de Brescia, d’après Acerbi. Berzemin (Berzamino); Berzamina (Balsamina); Berzamina moscata (…); Barzamina nera (Berzemina); Berzemina nera di Breganze (Berzamino); Berzamino blanc; Berzamino gentile; Berzaminone; Berzamina nera; Berzamina passa (Balsamina); Berzamina semplice (Berzamino); Berzamino di pianura (Berzamino); Berzamino rosso di collina (Berzamino)“[99]. All’interno del tome III, dell’ Ampelographie di Pierre Viala, è presente un contributo di D. Tamaro sul Berzamino[100], preceduto da una bella tavola, riportante una riproduzione dell’uva berzamino.

Note

  1.  Frugoni Carlo Innocenzo, Opere poetiche, tomo IX, Parma, MDCCLXXIX, Stamperia Reale, p.94-95
  2.  Carlo Innocenzo Frugoni (Genova 21/11/1692 – Parma 20/12/1768)
  3.  Frugoni Carlo Innocenzo, Opere… cit. prima pagina di copertina.
  4.  Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro Du Tillot a 41-50 b. a 42; Bargelli Claudio, La Città dei Lumi, Parma, 2020, MUP, Bargelli Claudio, “Teatro d’Agricoltura” Le campagne parmensi nelle inchieste agrarie del secolo dei Lumi, in: “Rivista di Storia dell’Agricoltura” a. LJ, n.2, dicembre 2011, pp. 101-130.
  5.  Bargelli, Claudio, “Teatro d’agricoltura“, le campagne parmensi nelle inchieste agrarie del secolo dei Lumi …..
  6.  Id. p 173 e p. 177.
  7.  Archivio di Stato di Parma, Archivio…. cit; Giorgini, Paolo, Le varietà di uva presenti bei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, 2021, p. n. i.
  8.  Bargelli Claudio, La città… cit. p. 173 e p.177.
  9.  Id.
  10. Archivio di Stato di Parma, Archivio…. cit; Giorgini Paolo, Le varietà… cit. p.n.i.
  11.  Bargelli Claudio, La Città… cit. p. 173 e p. 177.
  12.  Archivio di Stato di Parma, Archivio…. cit; Giorgini Paolo, Le varietà… cit. p.n.i.
  13.  Bargelli cit.
  14. Archivio di Stato di Parma, Archivio…. cit; Giorgini Paolo, Le varietà… cit. p.n.i.
  15. Bargelli Claudio, La città… cit. p. 174 e p.178.
  16.  Archivio di Stato di Parma, Archivio…. cit; Giorgini Paolo, Le varietà… cit. p. n.i.
  17.  Bargelli, Claudio, La città… cit. p. 174 e p.178.
  18.  Archivio di Stato di Parma, Archivio…. cit; Giorgini Paolo, Le varietà… cit. p. n.i.
  19.  Bargelli, Claudio, La città… cit. p. 175 e p.179.
  20.  Archivio di Stato di Parma, Archivio…. cit; Giorgini Paolo, Le varietà… cit. p. n.i.
  21.  Bargelli, Claudio, La città… cit. p. 175 e p.179.
  22.  Archivio di Stato di Parma, Archivio…. cit; Giorgini Paolo, Le varietà… cit. p. n.i.
  23.  Atti della Società Patriotica di Milano, volume III, Milano, MDCCXCIII, p.135-136.
  24.  Id.
  25.  Archivio di Stato di Parma, Raccolta Manoscritti, ms.138; Il manoscritto è riportato anche in: Spaggiari. Pier Luigi, Insegnamenti di agricoltura parmigiana del XVIII secolo, Parma, 1964, Artegrafica Silva; Medioli Masotti Paola, Lessico di un trattato parmigiano di agricoltura (fine XVIII inizio XIX sec.) in: “Archivio Storico per le province parmensi”, quarta serie, volume XXXI, 1979, Deputazione di Storia Patria per le province parmensi, Parma, 1980; Giorgini Paolo, Le varietà di uva presenti bei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, 2021, p. n. i.
  26.  Id. p. 350.
  27.  Biblioteca Maldotti di Guastalla, G.C. Cani, Lettere agrarie alla Colonia d’agricoltura del Crostolo, fondo Cani, busta 96, lettera XII, “Della coltivazione delle viti”, destinatario avv. Giovanni Carandini, data presunta 1808-1809. Si ringrazia, per la competenza e cortesia la dott.ssa Alice Setti della Biblioteca Maldotti di Guastalla. Si veda: Sulla condizione agraria del reggiano nell’Ottocento. Società Agraria di Reggio Emilia, prefazione di Rolando Valli, Reggio Emilia, 2013, Antiche Porte Editrice; pp. 13-27.
  28.  Id. p. 24.
  29. “L’Indicatore Modenese”, 27 dicembre 1851, a. 1, n. 26, p. 208-209.
  30.  Id. p. 208.
  31.  Sacconi Francesco Persio, Ristretto delle Piante coi suoi Nomi Antichi e Moderni, della Terra, Aria e Sito, ch’amano consacrato alla S.C.R.M. Leopoldo I Imperatore, Vienna, MDCXCVII, Andrea Heyinger. “(…) la Marzemina, che fa li graspi lunghi, e i vaghi grossi, ed’ in Modena si fanno i Vini buoni“ (p.121).
  32.  Vicini Giovanni, Battista, I vini modenesi baccanale di un accad. Dissonante colle annotazioni [Caula Nicolò], Modena, 1752, Francesco Torri.
  33.  L’ attribuzione del baccanale a Francesco Pincetti in: Trenti Giuseppe, Al paisan da Modna, Modena, 1975, Aedes Muratoriana (tratto da nota 36 p.25 di: Montanari Gian Carlo, Malavasi Pignatti Morano Luigi, Uve modenesi tra XVIII e XIX secolo, Modena, 2018, Edizioni Il Fiorino).
  34.  “L’Indicatore Modenese”, 6 settembre 1851, a. 1, n. 10, p. 79.
  35.  Id. p. 80.
  36.  “L’Indicatore Modenese”, 20 settembre 1851, a. 1, n. 12, p. 95.
  37.  [Re Filippo], Rapporto a sua eccellenza il sig. ministro dell’interno sullo stato dell’orto agrario della R. Università di Bologna, Milano, 1812, Giovanni, Silvestri, p.48.
  38.  Gallesio Giorgio, I giornali dei viaggi, Firenze, 1995, Accademia dei Georgofili e istituto Internazionale di Studi Liguri.
  39.  Id. p 51.
  40.  Id. p. 157-224.
  41.  Id. p. 167.
  42.  Peschieri Ilario, Dizionario Parmigiano – Italiano vol. II, R-Z, Parma, Stamperia Blanchon,1828.
  43.  Id. p. 647.
  44.  Peschieri Ilario, Dizionario Parmigiano – Italiano, rifuso, corretto, accresciuto, vol. II, Parma, 1841, Stamperia Carmignani.
  45.  Id. p. 1109.
  46.  Foresti Lorenzo, Vocabolario Piacentino – Italiano, Piacenza, 1836, Fratelli Del Majno Tipografi.
  47.  Id. p. 401.
  48.  Cherubini Francesco, Vocabolario Milanese – Italiano, volume quarto, R-Z, Milano, 1843, Regia Stamperia.
  49.  Id. p. 458.
  50.  Cherubini Francesco, Vocabolario Milanese – Italiano, tomo II, P-Z, Milano, 1814, Stamperia Reale.
  51.  Id. p. 261.
  52.  Cherubini, Francesco, Vocabolario Mantovano – Italiano, Milano, 1827, Gio. Battista Bianchi e C. p. 177.
  53.  Lomeni Ignazio, Del Vino, Milano, 1834, Antonio Fortunato Stella e figli.
  54.  Id. p. 226.
  55.  Id. pp. 227-228.
  56.  Poldi Pietro, Metodo per fare il vino detto Diavoletto col Berzemino, Parma, 1825, Stamperia Bodoniana. I dati di riferimento della stampa del suddetto foglio sono indirettamente ricavati dal Catalogo della Quarta parte della Biblioteca appartenuta al Sig. March. Costabili di Ferrara, Bologna, 1859, Tip. Gio della Volpe e dei Sassi, il foglio di Poldi è presente nel catalogo fra le Edizioni eseguite nella Stamperia Bodoniana dal 1817 al 1834. Si ringrazia Giancarlo Gonizzi, Coordinatore del Musei del Cibo, per aver reperito la pubblicazione di Pietro Poldi, riprodotta nella presente ricerca.
  57.  Id. p. 240.
  58.  Id. p. 241-242.
  59.  Gallesio, Giorgio, I giornali dei viaggi op. cit. p. 323-350.
  60.  Id. p. 330.
  61.  Id. p. 332.
  62.  Id. p. 337.
  63.  Id. p. 339-340.
  64.  Id. p. 415.
  65.  Id. p. 408.
  66.  Id. p. 409.
  67.  Id. p. 410.
  68.  Id. p. 411-412.
  69.  Id. p. 412.
  70.  Id. p. 414.
  71.  Roncaglia Carlo, Statistica generale degli Stati Estensi, volume secondo, Modena, 1850, Tipografia di Carlo Vincenzi.
  72.  Casali Carlo, I nomi delle piante nel dialetto reggiano addenda et emendanda, Reggio Emilia, 1926, Officine Grafiche Reggiane.
  73.  Il dott. Bertozzi aveva incontrato anni prima Giorgio Gallesio, come si può rilevare a p.278 de I giornali dei viaggi op.cit. “Partito da Parma il 24 luglio 1824 insieme al marchese Corradi, Gallesio giunse a Reggio Emilia dove incontrò il sig. Vincenzo Bertozzi (maritato con una Caimi di Pontremoli) che si impegnò a fornirgli un quadro dei frutti del Reggiano e gli fece visitare il proprio giardino (…)”.
  74.  Id. p. 15.
  75.  Id. p. 17-18.
  76.  Id.
  77.  “Atti del Consorzio Agrario di Reggio Emilia”, n. 1, Casali Carlo, I nomi delle piante nel dialetto reggiano, Reggio Emilia, 1915, Tipografia Bondavalli.
  78.  Malaspina Carlo, Vocabolario Parmigiano – italiano, volume primo, Parma, 1856, Tipografia Carmignani
  79.  Id. p. 195.
  80.  Malaspina Carlo, Vocabolario Parmigiano – Italiano, volume quarto, Parma, 1859, Tipografia Carmignani
  81.  Id. p. 357.
  82.  Gio. Sonsis, Descrizione di alcune varietà di viti che si coltivano nella provincia di Cremona, in: Acerbi Giuseppe. Delle viti italiane, Milano, 1825, Giovanni Silvestri, pp. 35-52, anche in: Gera Francesco, Nuovo Dizionario Universale di Agricoltura e di veterinaria, tomo 24, Venezia, 1845, Ed. Giuseppe Antonelli, p. 756.
  83.  Preti Luigi, Notizie statistiche della città e provincia mantovana, Mantova, 1842, Tipografia di F. Elmucci.
  84.  Id. p.p. 39-40.
  85.  Tintinnar di bicchieri: vini e vignaiuoli a Parma / a cura di Accademia italiana della Cucina. delegazione della provincia di Parma, Parma, [2006], Gazzetta di Parma, a p. 114 riproduzione del Lunario per l’anno 1872 ed elenco dei vitigni della provincia parmense, Parma, Tipografia G. Ferrari e figli; da p.115-128: I vitigni della provincia parmense nell’anno 1872.
  86.  Id.
  87.  Gio. Sonsis, Descrizione… cit. pp. 43-44.
  88.  E. Baldini – A. Tosi, Scienza e Arte nella Pomona Italiana di Giorgio Gallesio, 1994, Firenze, Accademia dei Georgofili, p. 129; trattasi di una riproduzione di una tempera di cm. 43×30.
  89.  Id. p. 30.
  90.  Id. p. 129; La riproduzione è la n. 30 a p. 109.
  91.  Agazzotti Francesco, Catalogo descrittivo delle principali varietà di uve coltivate presso il Cav. Avv. Francesco Agazzotti del Colombaro, Tipografia di Carlo Vincenzi, Modena, 1866. cfr. Montanari Gian Carlo, Malavasi Pignati Morano Luigi, Uve modenesi tra XVIII e XIX secolo, Modena, 2018, Edizioni Il Fiorino.
  92.  Id. pp. 146-147.
  93.  Gambini Carlo, Vocabolario Pavese – Italiano ed Italiano – Pavese, Pavia, 1850, Fusi e Comp.
  94.  Id. p. 272.
  95.  Croniche (Diario ferrarese) di Ugo Caleffini (frammento cc. 31-32. 1473, Archivio di Stato di Modena, citato in: Trenti Giuseppe, Voci di terre estensi, (Ferrara – Modena), Vignola, 2008, Fondazione di Vignola, p. 68.
  96.  Id.
  97.  Viala P. Vermorel V., Ampélographie, tome III, Paris, 1909. Masson et C; Viala P. Vermorel V., Ampélographie, tome VII, Paris, 1909. Masson et C.
  98.  Viala P. Vermorel V., Ampelographie, tome VII, p. 40.
  99.  Id. p. 46.
  100.  D. Tamaro, Berzamino, in Viala, P., Vermorel V., Ampelographie… cit., tome III, pp. 339-341.