Bermesta bianca

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Nel Trattato di Agricoltura[1], risalente fra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, nel capitolo dal titolo Trattato delle viti, fra le uve bianche, era citata l’uva bermesta[2].

Sacconi[3] nel 1697, citava la brumesta bianca[4].

Margaroli[5], nel suo Manuale dell’abitatore di campagna e della buona castalda, la cui prima edizione fu pubblicata nel 1831 e la seconda, ampliata e corretta nel 1840, indicava fra le uve bianche coltivate nei territori lombardi, la bermesta[6].

Rovasenda[7], nel 1877, citava l’uva aspesorgia bianca[8], diffusa in Sardegna, detta pure regina, e nella flora sarda: laxissima.

Rovasenda credeva fosse la bermestia bianca.

Note

  1. Archivio di Stato di Parma, Raccolta Manoscritti ms. 138; Il manoscritto è riportato anche in: Spaggiari Pier Luigi, Insegnamenti di agricoltura parmigiana del XVIII secolo, Parma, 1964, Artegrafica Silva; Medioli Masotti Paola, Lessico di un trattato parmigiano di agricoltura (fine XVIII inizio XIX sec.) in: “Archivio Storico per le province parmensi”, quarta serie, volume XXXI, 1979, Deputazione di Storia Patria per le province parmensi, Parma, 1980; Giorgini Paolo, Le varietà di uva presenti bei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, 2021, p. n. i.
  2.  Id. f. 691.
  3.  Sacconi Francesco, Persio Sacconi, Il Ristretto delle piante, Vienna, Antonio Heyinger, 1697.
  4.  Id. p. 121.
  5.  Margaroli, Giovanni Battista, Manuale dell’abitatore di campagna e della buona castalda, Milano, Ernesto Oliva, 1857, 4° Edizione.
  6.  Id. p. 185.
  7.  Rovasenda Giuseppe, Saggio di una ampelografia universale, Torino, Tipografia Subalpina di Stefano Marino,1877.
  8.  Id. p. 24.