Artimino

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L’artemino era presente nel catalogo del 1841, del vivaio del signor Luigi Musiari, in località Ponte d’Enza nel territorio parmense[1], fra le: “Viti di qualità scelte per far vini squisiti“[2].

Nell’anno precedente, il reggiano, dottor Vincenzo Bertozzi, nel compilare un elenco di vitigni reggiani, incluse l’artemino fra le ” Viti di uva di colore coltivati negli orti e nelle vigne e raramente nei campi.”[3] Nel 1877, Rovasenda [4] riferiva di un artemino nero o artimino a Modena e Parma, descritto da Agazzotti [5] e di un artimino bianco, vitigno valtarese in La vite e il vino[6].

Nel 1909, Viala[7] riferiva quanto segue: “Artemino nero. Varieté italienne signalée comme spéciale à la règion de Modane et de Parme“[8].

La successiva descrizione dell’artemino nero, o meglio, artmèn, è tratta da: I vitigni della provincia parmense Lunario per l’anno bisestile 1872[9]: “La sua foglia quinqueloba ha grandi denti irregolari con la pagina superiore d’un verde carico ed opaca, quella inferiore d’un verde più chiaro subpubescente con il picciolo mediocre e di colore leggermente rossigno. Il grappolo ha forma conica ed è compatto con una lunghezza media di cm.10, composto di bacche globose, nere, pruinose, opache piuttosto grosse. I semi sono presenti in numero di 2/3 ed ha un sapore dolce, grato, piccante e dà un vino eccellente. Risulta abbondante nel Valtarese“[10].

Per completezza e per un confronto con la precedente descrizione dell’artemino, riportiamo anche la descrizione dello stesso vitigno, da parte del modenese Agazzotti, risalente al 1866, anch’essa, al di fuori dei confini temporali della presente ricerca [11]: “Grappolo voluminoso, a piramide, di base allargata pe’ grandi graspoletti, un solo de’ quali spesso spunta dall’internodio a guisa di secondo grappolo. Peduncolo regolare tinto in rossigno con picciuoletti degli acini sottili e deboli, verde gialli e sanguigni, all’inserzione nel grano. Acini quasi rotondi, ma non di perfetta eguaglianza in grossezza: essendovene taluni di 14, altri di 12 ed altri ancora di 9 millimetri, e tra essi si frammette qualche granello che non abbonisce mai, ma, rimanendo verde, e osseo, sfugge anche all’azione de’ piedi nella pigiatura. I vinacciuoli sono spesso geminati. Buccia nero – bleu, sottile, polverosa con abbastanza materia colorante, di facile dissoluzione nel processo della fermentazione vinosa. Sugo più che ordinario, dolce, delicato, ma alquanto stiptico. Uva di merito, pel vino che se ne ricava, e prestasi a maraviglia tanto pei vini detti mercantili, perché dà sapore, colore e molto corpo, come pure a far vini delicati. Basta sottrarre parte dei graspi e dei fiocini, ed anche a vini di liquore mediante l’artifizio dell’appassimento e saccarizzazione. La vite si adatta benissimo là dove prosperano le amaraguscie e le corvine, colle quali ultime ha molta somiglianza pel frutto, però se ne distingue abbastanza per un più sapido gusto, alquanto tannico, ed anche nelle foglie lisce sopra e sotto, ma più frastagliate, del resto le si attaglia pienamente quanto si disse delle suddette due varietà di uve: corvina ed amaraguscia”[12].

Note

  1.  “Il Facchino” redatto da Carlo Malaspina, 27 febbraio 1841, a. III, n. 9, Parma, Tipografia Rossetti.
  2. Id.
  3.  Biblioteca Municipale “Panizzi” di Reggio Emilia, Manoscritto di Vincenzo Bertozzi, Viti della provincia di Reggio, MSS. REGG. D 88/23. La riproduzione dell’elenco di Bertozzi è presente in: Bellocchi Ugo, Reggio Emilia la provincia “lambrusca”, Reggio Emilia, 1982, Tecnostampa, pp. 58- 59. Bellocchi ha corretto gli accenti presenti sui nomi delle varietà riportate da Bertozzi e successivamente da: Casali Carlo, I nomi delle piante nel dialetto reggiano addenda et emendanda, Reggio Emilia, 1926, Officine Grafiche Reggiane p-15-16. Casali aggiunse alcune interessanti notizie sull’elenco del Bertozzi e sullo stesso Bertozzi: “L’elenco è inedito ed è di mano del dottor Vincenzo Bertozzi, membro della Società Agraria del Dipartimento del Crostolo e appassionato e valente frutticoltore. Della sua rinomata collezione di varietà e di alberi fruttiferi non rimangono più che pochissime tracce nella villa di sua proprietà alla Baragalla. L’elenco venne trasmesso dal Bertozzi al prof. Galliani, che lo aveva richiesto: non porta alcuna data ma è stato certamente compilato verso il 1840“. Casali trasmise l’inedito elenco alla Biblioteca reggiana. 
  4. Rovasenda Giuseppe, Saggio di una ampelografia universale, Torino, 1877, Tipografia Subalpina di Stefano Marino p.25.
  5. Agazzotti Francesco, Catalogo descrittivo delle principali varietà di uve coltivate presso il Cav. Avv. Francesco Agazzotti del Colombaro, Tipografia di Carlo Vincenzi, Modena, 1866. cfr. Montanari, Gian Carlo, Malavasi Pignati Morano, Luigi, Uve modenesi tra XVIII e XIX secolo, Modena, 2018, Edizioni Il Fiorino.
  6. Id. p. 25.
  7. Viala P. – Vermorel V., Ampélographie, tome VII, Paris, 1909, Masson et C.
  8. Id. p. 31.
  9.  I vitigni della provincia parmense – Lunario per l’anno bisestile 1872, Parma, Tipografia G. Ferrari e figli, in: Tintinnar di bicchieri. Vini e vignaiuoli a Parma, a cura dell’Accademia Italiana della Cucina, Parma, 2006, “Gazzetta di Parma” Editrice p. 116.
  10. Id. p. 116.
  11. Agazzotti Francesco, Catalogo descrittivo delle principali varietà di uve coltivate presso il Cav. Avv. Francesco Agazzotti del Colombaro, Tipografia di Carlo Vincenzi, Modena, 1866. Cfr. Montanari Gian Carlo – Malavasi Pignati Morano Luigi, Uve modenesi tra XVIII e XIX secolo, Modena, 2018, Edizioni Il Fiorino.
  12. Id. pp.144-145.