Agraguscia rossa (nera)

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“Tralasciato definitivamente d’esercitare l’arte del barbiere, Campanini ha aperto ora una bottiglieria, che egli dirige in Via Giosuè Carducci, e che apre e chiude a seconda del suo capriccio. Mentre gli avventori gustano la sua rinomata e spumeggiante Scorza Amara, vino veramente tonico e buono, il Campanini intreccia delle reti da pesca, oppure delle fasce a maglia a vivacissimi colori, delle quali amano adornarsi i carrettieri. Non di rado il Campanini, dopo aver versato la Scorza Amara, con una cura quasi religiosa, ricorda i bei tempi antichi narrando storie e storielle, con gran diletto di quanti l’ascoltano”[1].

Il termine gussa, nel Glossario Latino Emiliano[2], così come gusus, è tradotto con la parola: guscio. L’agraguscia rossa non compare nella rilevazione voluta dal Du Tillot del 1771 [3], mentre è presente l’agragussa bianca[4]. Nell’elenco dell’anonimo/i autore/i del manoscritto Trattato di agricoltura [5], databile fra fine ‘700 e primi ‘800, è rilevabile l’agraguscia rossa[6].

Nell’agosto-settembre 1800 Filippo Re[7] indicò in una corrispondenza, le uve coltivate nella montagna reggiana, fra le uve nere era presente la scorza amara[8]. Per i territori della pianura reggiana, nel 1811 il botanico Claudio Dalla Fossa[9] consigliava, fra le uve nere coltivabili con profitto, la scorza amara[10]. Nel 1840 il dottor Vincenzo Bertozzi, elencando le varietà di uva coltivate nella provincia di Reggio Emilia, quindi i confinanti territori estensi, citò la scorza amèra (scorza amara) (82), fra le uve di colore coltivate nei campi dei territori estensi reggiani[11]. Nel 1841, nel vivaio di Ponte d’Enza, condotto da Luigi Musiari, era possibile acquistare l’agregusia (non era specificato il colore degli acini)[12] Una breve descrizione del vitigno in questione, più o meno coeva alla rilevazione del Du Tillot, ma relativa ai territori estensi, è quella di Niccolò Caula, il quale nel 1752, fu autore di note esplicative relative alle varietà di uva presenti nell’opera poetica di Francesco Pincetti: I vini modanesi baccanale[1]. Le note del Caula nel 1852 furono nuovamente pubblicate, a puntate, da Luigi Maini, su LIndicatore Modenese[2] e nel Catalogo Alfabetico di quasi tutte le uve o viti conosciute o coltivate nelle provincie di Modena e Reggio secondo i loro nomi volgari[3]: “L’amaraguscia nera, detta anche Scorzanera fa grappoli rari di grana, ma con guscio amaricante, nerissimo, e sodo: Per questa amarezza del guscio si può essa conoscere senz’altro contrassegno. Ella è delle ottime, e ricercate per vini spiritosi, piccanti e di lunga durata, i quali portano assai acqua.”[4]. Nel 1841, Savani[5], menzionava l’amara guscia[6]. fra le uve nere da vino, censite nei territori modenesi. Nel 1845 nella Corografia di Zuccagni – Orlandini[7], fra le viti coltivate nel modenese, era presente, la nera amanguscia[8]. Nella Statistica Generale degli Stati Estensi, compilata da Carlo Roncaglia[9] nel 1847 erano presenti, fra le uve colorate dei territori cispennini: fra quelle di qualità fine: l’amaraguscia e fra le uve, sempre colorate, di qualità comune: la gusciamara o scorzanera[10]; da notare questa interessante differenza di qualità fra l’amaraguscia e la gusciamara o scorzanera, che evidentemente non sono sinonimi della stessa varietà d’uva. Il vocabolario parmigiano – italiano che riportò il termine agragùssa, traducendolo con affricognola, fu il Malaspina nel 1859[11]. L’agragùssa che abbonda verso il Po, dove porta anche i nomi di Scorzamara e di Sorbara” è ottimamente descritta su: I vitigni della provincia parmense. Lunario per l’anno bisestile 1872, riportato in Tintinnar di bicchieri. Vini e vignaiuoli a Parma[12]: “La foglia è ampia quinqueloba con i due inferiori più brevi, il margine della foglia è dentato, a denti acuti submucronati tendenti verso l’apice della foglia, di grandezza ineguale. La pagina superiore risulta di un verde carico, glabra, opaca,, la pagina inferiore è d’un bel verde erbaceo, appena pubescente con picciolo lungo e verde. Il grappolo è compatto di forma obconica, della lunghezza media di cm. 15, composto di bacche nere pruinose, sferiche, opache. I semi sono presenti in numero di 2/3, il sapore è dolciastro, amarognolo nella buccia “[13]. Gòssa amèra è tradotta dal reggiano Casali[14]con amaraguscia, guscia amara, scorzamara, si veda anche il sinonimo dialettale: scorzaméra[15].

1752, per merito di Niccolò Caula, riproposta nel 1851 da Luigi Maini su LIndicatore Modenese, riguardante i territori estensi e l’uva ivi presente, dal nome amaraguscia nera o scorzanera. Va notato che nel 1847, Roncaglia distinse l’amaraguscia, di qualità fine, dalla gusciamara o scorzanera, di qualità comune. Nel 1877, Giuseppe Rovasenda[1] menzionava: “Agraguscia o Scorzamara citata fra i vitigni parmensi“[2]; “Agroguscia. Lombardia (M.[endola barone Antonio in Favara (Sicilia), Catalogo della sua collezione di viti). Vedi anche Agraguscia“.[3]

Rovanseda menzionava anche l’Amaroguscia [4], descritta da Agazzotti [5]; tale varietà era inoltre censita fra le uve fini di Sassuolo. A proposito di Agazzotti, originario di Colombaro di Formigine [6] (Modena), dal suo catalogo, edito nel 1867, quindi oltre il limite temporale del quale si occupa la presente ricerca, si riporta l’ottima descrizione della Gusciamara (Amaraguscia rotonda) [7]: “Grappolo voluminoso, appariscente. a piramide di larga base (28 centim. lungo, colla circonferenza alla base di 35 centimetri) peduncolo in proporzione esile e sottile, ma abbastanza resistente: grappoletti molti, padri di altri più piccoli, che si estendono fino a due terzi dell’intero grappolo. Acini sferici di mediocre grossezza (13 mill.) intramezzati da alcuni più piccoli, con altri abortiti, che si conservano verdi anche quando tutti gli altri sono già maturati. Buccia color nero morato: appena velata di polvere bianca, resistente e fornita a dovizia di materia colorante. Sugo abbondante dolce-amaro, melato, incolore, inaromatico. Uva di estesa coltivazione nella provincia modenese, perché adattissima alla produzione de’ così detti vini da mercanzia, ai quali dà molto corpo, mentre, in proporzione della massa dell’uva, ottienesi molto liquido (il che suol dirsi svinare), a confronto delle lambrusche, dalle quali ottienesi di raro il 75 per cento, e senza snervarsi come fanno le corvine. alle quali molto somiglia, e ne ha comuni le proprietà e gli usi. Del resto è a ritenersi una varietà delle suddette corvine, dalle quali unicamente differisce per gusto alquanto amarognolo e austero, e pel maggior colorito che ha il vino dopo la fermentazione in tino colle graspe, come è di costume in questa provincia.[8]

Nel 1909 Pierre Viala[9] riportava il termine Agroguscia (Agraguscia).

Note

  1. Emanuelli Aldo, Le Osterie Parmigiane, ristampa anastatica della II edizione del 1931, Parma, 1990, Tecnografica s.n.c. p. 131.
  2. Sella Pietro, Glossario Latino Emiliano, Città Del Vaticano, 1937, Biblioteca Apostolica Vaticana, p. 176.
  3. Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro Du Tillot a 41-50 b. a 42.
  4. Bargelli Claudio, La città dei Lumi, Parma, 2020, MUP, pp.173 – 181; Bargelli Claudio, Teatro d’Agricoltura. Le campagne parmensi nelle inchieste agrarie del secolo dei Lumi, in: “Rivista di Storia dell’Agricoltura” a.LI, n.2, dicembre 2011 pp. 101-130.
  5. Archivio di Stato di Parma, Raccolta Manoscritti, ms.138; Il manoscritto è riportato anche in: Spaggiari Pier Luigi, Insegnamenti di agricoltura parmigiana del XVIII secolo, Parma, 1964, Artegrafica Silva; Medioli Masotti Paola, Lessico di un trattato parmigiano di agricoltura (fine XVIII inizio XIX sec.) in: “Archivio Storico per le province parmensi”, quarta serie, volume XXXI, 1979, Deputazione di Storia Patria per le province parmensi, Parma, 1980.
  6. Id. f. 692.
  7. Casali Carlo, I nomi delle piante nel dialetto reggiano addenda et emendanda, Reggio Emilia, 1926, Officine Grafiche Reggiane, p.11 si parla di un manoscritto inedito di Filippo Re conservato presso la Biblioteca Municipale di Reggio Emilia: Viaggio agronomico per la montagna reggiana.
  8. Id. p. 14.
  9. Dalla Fossa Claudio, Opuscoli agrarii, Reggio [Emilia], [1811].
  10. Id. p. 25.
  11. Biblioteca Municipale “Panizzi” di Reggio Emilia, Manoscritto di Vincenzo Bertozzi, Viti della provincia di Reggio, MSS. REGG. D 88/23. La riproduzione dell’elenco di Bertozzi è presente in: Bellocchi Ugo, Reggio Emilia la provincia “lambrusca”, Reggio Emilia, 1982, Tecnostampa, pp. 58- 59. Bellocchi ha corretto gli accenti presenti sui nomi delle varietà riportate da Bertozzi e successivamente da: Casali Carlo, I nomi delle piante nel dialetto reggiano addenda et emendanda, Reggio Emilia, 1926, Officine Grafiche Reggiane p-15-16. Casali aggiunse alcune interessanti notizie sull’elenco del Bertozzi e sullo stesso Bertozzi: “L’elenco è inedito ed è di mano del dottor Vincenzo Bertozzi, membro della Società Agraria del Dipartimento del Crostolo e appassionato e valente frutticoltore. Della sua rinomata collezione di varietà e di alberi fruttiferi non rimangono più che pochissime tracce nella villa di sua proprietà alla Baragalla. L’elenco venne trasmesso dal Bertozzi al prof. Galliani, che lo aveva richiesto: non porta alcuna data ma è stato certamente compilato verso il 1840“. Casali trasmise l’inedito elenco alla Biblioteca reggiana.
  12.  “Il Facchino”, 27/2/1841, a. III, n.9, p.71.
  13. L’attribuzione del baccanale a Francesco Pincetti in: Trenti Giuseppe, Al paisan da Modna, Modena, 1975, Aedes Muratoriana (tratto da nota 36, p.25 di: Montanari Gian Carlo, Malavasi PIgnatti Morano Luigi, Uve modenesi tra XVIII e XIX secolo, Modena, 2018, Edizioni Il Fiorino).
  14.  “L’Indicatore Modenese” n. 10,11,12, 14, 18,25,26 rispettivamente del 6, 13, 20 /09; 4/10; 4/11; 20, 27 / 12 1851
  15.  Catalogo Alfabetico di quasi tutte le uve o viti conosciute e coltivate nelle provincie di Modena e Reggio, Modena, 1851, Moneti e Pelloni (Estratto da “L’indicatore Modenese”, anno I, n. 10,11,12, 14, 18, 25 e 26).
  16.  “L’Indicatore Modenese” cit. 6/09/1851, n.10, a.1.
  17. Savani Luigi, Istruzione pratica per la coltivazione della vite, in: Memorie varie risguardanti (sic) la migliore agricoltura, Modena, 1841, Tip. Vincenzi e Rossi, pp. 63-114.
  18. Id. p. 70.
  19. Zuccagni-Orlandini Attilio, Corografia fisica, storica e statistica dell’Italia e delle sue Isole, Volume ottavo parte seconda, Firenze, 1845.
  20. Id.p.587.
  21. Roncaglia Carlo, Statistica Generale degli Stati Estensi, volume secondo, Modena, 1850, Tipografia di Carlo Vincenzi.
  22. Id. p. 420.
  23. Malaspina Carlo, Vocabolario Parmigiano – italiano volume quarto, Parma, 1859, Tipografia Carmignani, p.357.
  24.  I vitigni della provincia parmense – Lunario per l’anno bisestile 1872, Parma, Tipografia G. Ferrari e figli, in: Tintinnar di bicchieri. Vini e vignaiuoli a Parma, a cura dell’Accademia Italiana della Cucina, Parma, 2006, 2Gazzetta di Parma” Editrice p. 115.
  25. Id.
  26. Casali Carlo, I nomi delle piante nel dialetto reggiano, Atti del Consorzio Agricolo di Reggio Emilia, num. 1, Reggio Emilia, 1915, Tipografia Bondavalli, p.53.
  27. Id. p. 58.
  28. Rovasenda Giuseppe, Saggio di una ampelografia universale, Torino, Tipografia Subalpina di Stefano Marino, 1877.
  29. Id. p. 20.
  30. Id.
  31. Id. p. 23.
  32. Agazzotti Francesco, Catalogo descrittivo delle principali varietà di uva coltivate presso il Cav. Avv. Francesco Agazzotti del Colombaro, Modena, 1867, Tipografia di Carlo Vincenzi, in: Montanari Gian Carlo – Malavasi Pignatti Morano Luigi, Uve modenesi tra XVIII e XIX secolo, Modena, 2018, Edizioni Il Fiorino.
  33. Montanari Gian Carlo – Malavasi Pignatti Morano Luigi, Uve… cit. p. 46.
  34. Id. p. 169 – 170.
  35. Id.
  36. Viala P. -Vermorel V., Ampelographje, Tome VII, Paris, 1909, Masson et C.