L’Ebbrezza di Noè: Il vino e i suoi strumenti negli affreschi di Michelangelo

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Le Storie della Genesi

Sulla volta della Cappella Sistina sono dipinti alcuni degli affreschi più preziosi della storia dell’arte occidentale, frutto del genio immortale di Michelangelo Buonarroti (1475-1564). La produzione dell’artista, originario di Caprese (AR), include significativi contributi alla pittura, alla scultura e alla poetica italiana e il ciclo delle nove “Storie della Genesi”, dipinte tra il 1508 e il 1512, è uno dei più celebri a livello mondiale. Il progetto fu commissionato da Giulio II, il “Papa guerriero”, la cui fama di condottiero severo e intransigente si rese evidente nell’ingente mole di lavoro affidata a Michelangelo. Quest’ultimo descrisse col pennello le storie dell’umanità ante legem, ovvero la serie di eventi biblici che precedono, secondo le Scritture, l’avvento di Mosè. L’Ebbrezza di Noè è l’ultima di queste narrazioni, in cui la vite ed il vino trovano spazio come simboli di incarnazione e prosperità, ma anche come prodotto del lavoro e della fatica degli uomini.

Il vino nell’opera

In una veste piuttosto dissacrante, Noè è ritratto accasciato a terra, nudo e scomposto. Il figlio, Cam, avvisa i fratelli dell’ebbrezza del padre, ubriaco dei frutti della vite tanto da essersi assopito. Sem e Iafet, gli altri due figli, sono raffigurati alla destra del patriarca, mentre accorrono per coprirlo con un velo. I rimandi al vino sono numerosi: Noè è sdraiato di fianco ad una ciotola e una brocca, strumenti tipici della quotidianità dell’epoca, e si trova all’interno di una capanna di legno, appoggiato ad un grosso tino, grande vaso vinario utilizzato per la fermentazione del mosto. Ancor più interessante è la scena che si svolge in secondo piano (sulla sinistra), che ritrae lo stesso Noè impegnato, in un momento precedente alla “sbornia”, nel dissodare la terra per potervi poi piantare la vite. La scena rappresenta un “salto temporale” tipico dell’arte rinascimentale, ma è anche un chiaro rimando all’operosità e alla forza costruttiva dell’uomo, l’unico animale in grado di trasformare le risorse naturali in cibo, manipolando gli elementi a proprio piacimento. Un altro aspetto dell’opera, forse il più particolare, è riconducibile al fatto che Noè, “uomo giusto” per eccellenza, venga raffigurato in un momento imbarazzante, ebbro e indifeso in una capanna qualsiasi.

L’interpretazione

Tra i temi che la critica dell’arte ha associato all’affresco spiccano quello della famiglia, rappresentata dalla preoccupazione dei tre figli, ma anche dallo scherno di Cam, il figlio maggiore, che causerà le ire del padre, indicandolo con fare canzonatorio. Il tema del vino rimane comunque centrale ed è sintomo di una conoscenza approfondita del prodotto, stabilmente inserito nello stile di vita dell’epoca e coltivato, seppur con metodi rudimentali, in molte aree della Penisola. Si pensa che gli effetti alteranti della bevanda fossero invece allora ancora poco conosciuti e che abbiano, almeno secondo la trasposizione artistica, colto impreparato il celebre eroe biblico.