Uva Grassa

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La varietà denominata uva grassa non è menzionata all’interno dei testi consultati riguardanti il periodo preso in considerazione dalla presente ricerca.

O meglio, il termine grassa, riferito all’uva, è presente nel Vocabolario Parmigiano-Italiano di Carlo Malaspina del 1857[1], ma non designa una varietà di uva, bensì un termine riferito all’uva: “Grassa, uva pigiata dalla quale non sia stato spremuto il mosto”[2].

Se il termine temporale finale della presente ricerca, fosse stato il 1885 invece del 1859, consultando il Vocabolario Parmigiano-Italiano di Carlo Pariset [3], sarebbe stato possibile ricavare un riferimento alla varietà denominata: uva grassa.

L’autore, oltre a riportare il significato di uva grassa: “E uva grassa chiamano i contadini l’uva poco pigiata, da cui non è ancora spremuto tutto il mosto”[4], riportava anche alcuni cenni della varietà denominata: “uva grassa “. “Sorta di uva che anche si chiama: Uva Zuccaia”[5].

I riferimenti all’uva grassa terminano con questa succinta definizione da parte di Carlo Pariset.

Di seguito si riportano le notizie riguardanti la stessa varietà, normalmente desunte da testi pubblicati entro il 1859, riferentesi dapprima ai territori estensi e successivamente, ad altri stati italiani.

Nel confinante Stato estense, l’unica testimonianza reperita, riguardante l’uva grassa, risale alla rilevazione statistica compilata da Carlo Roncaglia[6], pubblicata nel 1850 con dati riferentesi al 1847. [6]

Nel presente lavoro, nella parte dedicata all’enologia, Roncaglia pubblicò una tabella con i nomi delle varietà di uva presenti nei territori estensi, questi ultimi divisi in: territori cispennini e transpennini, mentre le varietà di uva erano divise in: colorate e bianche, e in base alla qualità: fine e comune.

Nei territori transpennini erano presenti le province di Garfagnana, di Lunigiana, di Massa.

L’uva grassa è citata da Roncaglia, fra le uve bianche, di qualità comune presente nei territori transpennini; una varietà, come vedremo, diffusa nella vicina Toscana.

Nel 1809, Ottaviano Targioni Tozzetti professore onorario dell’Università di Pisa, pubblicava il Dizionario botanico italiano[7], comprendente i nomi volgari italiani, specialmente toscani e vernacoli, raccolti dai diversi autori e dalla gente di campagna e resi in latino linneano; un riferimento all’uva grassa era il seguente: “Vitis vinifera, africana duracina? – Uva da affettare, Uva duracina, Uva grassa da fendere, Uva grossaria da fendere, Vite da affettare o da fendere di Caglieri”[8].

Sempre Targioni Tozzetti, professore dell’Università di Pisa e lettore di botanica presso quella di Firenze, nel 1825 pubblicava la seconda edizione del Dizionario Botanico Italiano[9].

Nel dizionario figurava la descrizione dell’uva grassa che riportiamo integralmente: “Vitis vinifera parvo rariore aclaxiore botro, acinis subrotundis alba fulvis moschati tenuiorique saporis. – Uva grassa, Uva grassa del Pucci, Uva Greco grossa moscadella”[10]; trattasi di un’uva da vino dal piccolo grappolo, con acini non perfettamente rotondi di color bianco o giallo e dal sapore di moscato.

Come riportato precedentemente, Pariset, tradusse il termine dialettale uva grassa con quello di uva zuccaia.

Nell’anno 1600, l’uva zuccaia veniva citata fra le uve coltivate in Toscana nell’importante opera di Giovanvettorio Soderini (Firenze 1526-Volterra 1596) Trattato della coltivazione delle viti, e del frutto che se ne può cavare[11]: “Queste sono ottime per far vino, e abbondanti, siccome il marzimino, e l’uva mostaia, che ne fa assaissimo, e la zuccaia, e a mangiare non è punto aggradevole, ma aspra, e piena di acquosità insuave”[12].

Le notizie fornite da Soderini sono tuttavia insufficienti per consentire un confronto con le altre notizie finora reperite su tale varietà, utili a definire i caratteri dell’uva zuccaia nel corso dei secoli.

Il Dizionario delle scienze naturali[13], prima traduzione italiana dell’opera compilata dai vari professori dei giardini del re e delle principali scuole di Parigi, riporta un’interessante distinzione fra diversi biotipi all’interno della medesima varietà denominata zuccaia (sinonimi: zuccaio, zuccaccio): “Zuccaia, Zuccaio, Zuccaccio [uva](Bot.). Sono diverse varietà coltivate della vite vinifera, Linn. che producono uva bianca: e vi ha la zuccaia bianca, la zuccaia moscatella maggiore e la zuccaia moscatella minore (…)”[14].

A quale di queste tre zuccaie si riferiva Pariset nel suo Vocabolario Parmigiano – Italiano, non è possibile stabilirlo, ammesso che non si trattasse di una ulteriore varietà rispetto alle tre zuccaie citate. Riportiamo per ultime le citazioni relative all’uva grassa presenti in alcune ampelografie generali risalenti alla fine del XIX ed inizio XX secolo.

Nel caso specifico fa riferimento all’uva grassa il Saggio di una Ampelografia Universale[15] di Giuseppe Rovasenda: “Grassa. Lucca M.B. Grassa bianca. Bobbio”[15].

Dove M.B. significano rispettivamente: Mendola Barone Antonio, catalogo della sua collezione di viti; Bicocca (Saluzzo) collezione dell’autore.

Note

  1. Malaspina, Carlo, Vocabolario Parmigiano – Italiano, volume secondo,Parma,1857,Tipografia Carmignani.
  2. Id.p.116
  3. Pariset, Carlo, Vocabolario Parmigiano-Italiano, volume primo, Parma, 1885, Ferrari e Pellegrini.
  4. Id. p. 811
  5. Id.
  6. Roncaglia, Carlo, Statistica degli Stati Estensi, volume secondo, Modena, 1850,Carlo Vincenzi, p. 421
  7. Targioni Tozzetti, Ottaviano, Dizionario botanico italiano, parte seconda,Firenze,1809,Guglielmo Piatti.
  8. Id.p.105
  9. Targioni Tozzetti, Ottaviano, Dizionario botanico italiano,Firenze,1825,Guglielmo Piatti.
  10. Id. p. 243
  11. Soderini, Gioanvettorio, Trattato della coltivazione delle viti, e del frutto che se ne può cavare, Firenze, 1600, Giunti. insieme all’opera di Soderini era presente anche quella di Bernardo Davanzati Bostichi, E la coltivazione toscana delle viti e d’alcuni arbori. La 2° edizione è del 1610, Firenze, Giunti . La ristampa presenta solo l’opera di Giovanvettorio Soderini, Trattato della coltivazione delle viti (e del frutto che se ne può cavare), è del 1734,Firenze, Manni.
  12. Soderini, Giovanvettorio,Trattato della coltivazione delle viti,Firenze,1734,Manni,p.119
  13. Dizionario delle scienze naturali, volume XXII, Firenze, 1851, Batelli e Comp.
  14. Id.pp.535-536
  15. Rovasenda, Giuseppe, Saggio di una ampelografia universale, Torino, 1877, Loescher.
  16. Id.p.80