Nella rilevazione sull’agricoltura nei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla del 1771[1], l’uva terbiano risultò la varietà di uva bianca presente nel maggior numero di distretti e, insieme alla fortana, l’uva maggiormente diffusa nel Ducato.
Nella “Zona non specificata fra l’Enza, il Termina e la Parma (1)[2]“, trattasi di località di montagna e collina e pochissima pianura: “Delle qualità delle bianche primariamente il Terbiano fa il grano rotondo grosso e grappo aperto[3].
Nella zone di collina e montagna di: “Fornovo, Ozzano Taro, Piantonia, Sivizzano, Bardone, Terenzo, Goiano e Lesignano (2)“[4] furono censite le uve “terbiane col grappo serrato che fa il grano rotondo “[5]. Il terzo distretto nel quale era presente l’uva terbiana era quello di “Busseto (5)”[6]: “Le uve bianche nel mio distretto la maggior parte sono terbiane di grana rotonda e grapolo serrato“[7].
Nel distretto di “Cella Costamezzana e altre terre non specificate (6)”[8] il rilevatore così si espresse relativamente alle uve bianche: “Terbiano che fa grappo serrato e granello rotondo“[9].
Nel distretto di “Tabiano (8)”[10], erano presenti “terbiani a granello rotondo e grappo aperto, maturavano a settembre“[11].
In una “zona non specificata (9)”[12], caratterizzata da terreno argilloso rosso “poco di sassoso e molto chiamato forte”[13], fu rilevata la presenza di cinque varietà di uva bianca[14], fra esse il terbiano.
Il rilevatore a tal proposito scriveva: “queste sono poche, maturano tutte insieme. Vino bianco robusto o forte“[15]. Il terbiano risultava avere grano longo e grappo serrato[16].
Nel distretto di “Borgo San Donnino, Costamezzana, Fontaneto e Siccomonte (10)”[17] fra le uve bianche era presente: “l’uva terbiano a granello longo e grappolo aperto, maturava a San Michele“[18].
Il distretto di “Sorbolo e Casalora (11)”[19], presentava l’uva terbiano, la quale insieme a fortana e lambrusca “è tarda a maturare“[20].
Il distretto di “Enzano, Coenzo, Mezzani (12)”[21], presentava fra le uve bianche l’uva trebiano a granello rotondo[22].
Nel distretto di “Colorno, Torrile, Coltaro, Copermio, Sacca, Sanguigna, Mezzano, Rondani (13)”[23], era presente l’uva bianca trebiano, una delle “più tarde a maturarsi”[24]. “Nel distretto di mio figlio che contiene Giarola, Colechio, Vicofertile, Vigolante, Limignano, Vighefio con piccola parte di Antognano di Gaiano al di qua del Baganza (14)“[25]. Fra le uve bianche era presente: “trebiano grano rotondo e grapo serrato“[26].
In una “zona non specificata (16)”[27] del Ducato fu censita l’uva terbiano[28], senza alcuna altra indicazione. Nella zona di “Colorno e Vedole (17)”[29] si evidenziavano le uve bianche trebiano di grappo serrato, mature a settembre.
Nella zona di “Poviglio, S. Sisto, Casalpò (18)”[30], fu rilevata la presenza dell’uva bianca trebiano, per la quale non sono riportate le caratteristiche precise della varietà, ma generiche indicazioni generali[31].
Nel distretto di “Trecasali, Torricella, Gramignazzo, Palasone Sant’Andrea (21)”[32], si censì l’uva bianca “Terbiano grano rotondo grappo serrato”[33].
Nel distretto “Territorio piacentino non specificato (22)”[34], nel quale si coltivava l’uva: “Trebbiana ha il grano rotondo di grappo serrato il vino di questa è gagliardissimo e matura contemporaneamente all’altre“[35]. Infine nel “Dipartimento del Feudo di Soragna (23)”[36], fra le uve bianche si censirono le “trebbiane“[37]. Le caratteristiche prevalenti che emergono relativamente all’uva terbiana, presente nei vari distretti del Ducato, sono: acino rotondo ed il grappolo serrato.
Il trebbiano risultava presente in 17 distretti su 24 censiti, se tutti i gli incaricati del censimento, avessero indicato i nomi delle varietà, come purtroppo non accadde, probabilmente il terbiano sarebbe stato rilevato su tutto il territorio ducale. Nel manoscritto anonimo Trattato di agricoltura [38] databile alla fine del Settecento – inizi Ottocento, erano citate fra le varietà di uva bianca: trebianello chiaro di grani[39], trebiano di Modena[40], trebiano nostrano[41] (si vedano le relative schede).
Bramieri[42] nel 1788 così descrisse l’uva “Trebbiano. Forse originaria piacentina, e da per sé più estesa in questo ducato, che tutte le altre bianche insieme. Per la varietà, solo però nel frutto, distinguesi in due specie. Maschio che produce il grappolo maggiore e il più serrato, cogli acini più grossi, e femmina minore d’acino e di grappolo. Quest’uva ove sia ben dominata dal Sole acquista un leggier colore di ruggine da un lato dell’acino, e propende al giallo dall’altro. Lo spirito singolarissimo del suo vino è allora accompagnato dalla grazia, e da un rodente sapore; ma, quando è ombreggiata, rimane verdiccia, ed il vino ne è aspro e disaggradevole. Dell’una e dell’altra maniera però è sempre fumoso, e possente ad ubbriacare. Di raro si spreme solo quest’uva, ma o si unisce ad altre bianche men fumose, o si tinge colle rosse più capaci di ben colorare. Allora sovente i Tavernieri non sanno distinguerlo dagli altri vini. L’uno e l’altro vitigno è propriamente da filare per la sua mediocrità, l’uno e l’altro molto fecondo. Adattansi a tutte le terre, ma le asciutte lor tornan meglio che le umide. Il difetto di quest’uva consiste nella sua proclività a marcire, se in sul maturare sopravvengano delle frequenti piove. Convien quindi sfrondare passata la metà di settembre a precauzione la vite, e sollecitarne, se la stagione si faccia piovosa, la vendemmia. Ma a tempo asciutto sia buon consiglio il lasciarla perfettamente maturare”[43].
In una corrispondenza dell’ingegner Cani[44] da Guastalla, risalente al periodo 1808-09, nell’elencare le varietà d’uva presenti sul territorio guastallese, citò il Trebbiano bianco: “il suo vino è assai spiritoso, se diviene brusco lo diviene di modo che fa girare il capo a chi ne beve, per lo più si marita con altre uve bianche”[45].
Nel 1813 in una relazione sull’agricoltura del circondario di Piacenza, pubblicata in una rivista curata da Filippo Re[46], l’anonimo autore indicava, fra le uve bianche: “la tribbiana, che fa vin duro”[47].
Peschieri[48] riportò nel suo dizionario, fra le uve bianche, l’uva terbiàn, tradotto con trebbiana e l’uva terbiàn d’ Modna[49], tradotto con trebbiana di Modena nell’edizione del dizionario del 1828 e del 1841[50].
Foresti[51] nel 1836, riportò il termine piacentino tarbian[52], traducendolo con trebbiano, trebbiana.
Nel 1839, a Piacenza nello Stabilimento Orticolo di Pietro Maserati[53] erano acquistabili le piantine di uva trebbiano bianco e trebbiano di Modena. Presso il vivaio di Luigi Musiari[54] in località Ponte d’Enza, nel 1841, era possibile reperire fra le “viti di qualità per far vini squisiti“[55], l’uva terbiano di Modena[56].
Per quanto riguarda il Ducato di Parma Piacenza e Guastalla, terminiamo l’elencazione con il Vocabolario Parmigiano-Italiano, di Carlo Malaspina[57], nel quale erano presenti: l’uva terbiàn e l’uva terbiàn d’Modna[58], rispettivamente tradotti con trebbiana e trebbiana di Modena. Riportiamo una breve descrizione del trebbiano e del trebbiano di Modena risalente al 1872[59], periodo successivo alla data finale della presente ricerca: “Terbìan. La sua foglia è grande e quinqueloba con lobi acuti e dal bordo irregolare fatto di denti grandi, acuti. La parte superiore, ha color verde cupo ed è liscia, quella inferiore è verde chiara, villosa con picciuolo verde rossiccio”[60]. “Terbiàn d’ Mòdna. La foglia è grande e quinquefida, con le due lacinie inferiori più piccole, quella di mezzo triloba e le altre sub trilobe. Il bordo è a denti acuti non uguali tra loro. La parte superiore è liscia ed opaca, quella inferiore è di un verde bianchiccio con peli corti e tomentosi. Il grappolo ha forma cilindrica e risulta composto di bacche sferiche di color verde chiaro con riflessi giallicci e sono traslucide. I semi sono 2/3 ed il suo sapore è dolce e gradevole. Il vino che si ottiene è gagliardo, migliore di quello che si ottiene dal comune vitigno di Trebbiano”[61].
Nei confinanti territori estensi, Caula[62] nel 1752 così si espresse: “Trebbiana o Terbiana. È la regina delle uve, ne v’è uva bianca o nera che la superi nel dar vino d’ogni bontà, e che, per moltissima che sia l’acqua, resti sempre vigoroso. Nella Trebbiana di monte, o colle, o delle ville di sopra, che sono le migliori, si può passare i due terzi d’acqua e resta il vino anche gagliardo per bersi dalla famiglia. L’unico difetto di esso è l’essere un po’ difficile da passare: tuttavia quand’è mescolato con molt’acqua passa facilmente. Le Trebbiane delle ville da basso sono bensì buonissime, ma non arrivano alla bontà di quelle delle ville di sopra. Bel colore e giallo ha la Trebbiana, ma non lucido anzi torbidetto, per cui è detta Terbiana, quasi Torbiana. Il grano è rotondo, di mediocre grandezza, di guscio sodo e non saporito al gusto, per avere nella scorza certo amaro ed aspro, che disgusta il palato: ha poco sugo, e spezzando in bocca il grano esce il midollo tutto intero, o sia la polpa, che rassembra un grano d’uva svestito e solo da rompersi. Questa è l’uva più forte che vi sia, né per lungo starsi ammontata patisce, anzi più si perfeziona; e però vorrebbe sempre molto tempo essere stata ammassata”[63].
Claudio Dalla Fossa[64] consigliava, fra i vini bianchi da coltivarsi nella pianura reggiana “per i vini liquori la malvasia ed il trebbiano“[65]. I trebbiani, secondo Dalla Fossa, erano da preferirsi anche per le coltivazioni sui colli.
Nel 1840, fra le uve bianche coltivate nei campi della provincia di Reggio Emilia, Vincenzo Bertozzi[66], citava al n.18 del suo elenco l’uva terbiàn, tradotto con terbiana, ai successivi numeri, la terbianèlla, la terbiàn moscatlè, e terbiàn ed Mòdna.
Nel 1841, Luigi Savani[67], elencava le varietà di uva da vino squisito della provincia modenese, fra le quali citava “le varie qualità di trebbiano, o tribbiano“.
Attilio Zuccagni-Orlandini[68] nel 1845 indicava l’uva bianca trebbiana fra le più comuni uve coltivate nel modenese[69].
Nel 1847, Carlo Roncaglia[70], fra le uve bianche di qualità fine coltivate negli Stati Estensi, territori cispennini, menzionava: trebbiana, trebbianina, trebbianella[71].
Nel 1867, il modenese Agazzotti[72], così descriveva nel suo catalogo la trebbiana, (erano peresenti anche le descrizioni della trebbiana di Spagna e la trebbianina). “Trebbiana (Tribbiano, Terbiano bianco comune): Grappolo voluminoso a sufficienza;: tra conico e il cilindrico: picciuolo ben robusto, più spesso rossigno: tutto il graspo poi ben pronunziato. Acino sferico, medio, ma piuttosto piccolo. Buccia di un bel giallo d’oro, se in collina: ma spesso anche di un giallo annuvolato, specialmente se in pianura: e quasi sempre non traslucida. Sugo consistente, agretto, dolce, piccante, quasi inaromatico, abbondante di principii albuminoidi. Uva comunissima nelle colline modenesi e molto riputata: perloché trova sempre esito molto elevato a pari delle uve più fine. Figura pure fra le prime nella confezione dell’alcol: ma ben di rado si adopra da brucio, perché è riservata a molteplici usi più proficui. Delle varietà più tardive destinasi il sugo a conciare i vin così detti da famiglia (specialità modenese): i quali, in tal modo rinforzati, affrontano incolumi l’estiva stagione: persino il quartarolo (vino che vale lavatura di graspi) se colla stessa conciata riesce un buon vino. Sola, coll’aggiunta del triplo d’acqua, dà vino eccellente, molto atto a dissetare nella estiva stagione, durevole anche per più anni. Unita ad alcune lambrusche di collina, per solito tanto abbondanti in materia colorante, ed aggiungendo al mosto un terzo d’acqua di fiume, può aversi un buonissimo vino da mercanzia. Infine è impareggiabile per la confezione dell’aceto balsamico modenese (…) La vite si adatta alla massima parte de’ terreni vitiferi, ma teme molto i sortumosi, e male allega in quelli dominati dalle nebbie, perciò ama i colli aprichi, ed infatti ivi siede regina. Se ne conoscono più varietà cioè: trebbiana romana, trebbiana fiorentina, trebbiana di Spagna, trebbiana rossa, trebbianina, trebianella, ecc.”[73].
Casali[74] nel 1915 citava tre distinte varietà di trebbiano: Terbian corrispondente al trebbiano bianco, Terbian ed Mòdna (v. tèrbianch) al trebbiano piccolo, infine tèrbianch (v. terbian) al trebbiano comune bianco.
Fra le viti bianche più coltivate nel bolognese, nel 1812, Filippo Re[75], indicava la vite torbiano[76].
Nel 1845 comparve sul periodico “Il Felsineo”[77], la traduzione nel dialetto bolognese della vite torbiano: turbìan.
Nel 1809, Ottaviano Targioni Tozzetti[78] raccolse i nomi volgari italiani, specialmente toscani e vernacoli delle piante cercando il corrispondente nome in latino linneiano e così la Vitis vinifera trebulana corrispondeva a: “Trebbiana.Trebbiano. Tribbiano. Uva o Vite Trebbiano, o Tribbiano bianco. Uva e Vite Trebbiano, o Tribbiano dolce. Uva, e Vite Trebbiano, e Tribbiano nostrale“[79].
Nel 1819, Fabroni[80], nell’elencare le principali varietà d’uva coltivate nei territori della Lombardia austriaca, citava il: “Tribiano bianco. Vite che ama andare in alto e produce ottimo vino“[81].
Nel 1825, Gio. Sonsis, vide pubblicata da Acerbi[82], la sua monografia sulle uve coltivate in provincia di Cremona.
Fra le uve bianche coltivate nel cremonese la Torbiana “Fusto: lungo, ramoso, con poco midollo. Sarmenti lunghi, tenaci, rossicci. Viticci molti, lunghi, tenaci, trifidi. Foglie 5-lobe, irregolarmente dentate, superiormente lisce, inferiormente villose, con peziolo rosso. Frutto di media grossezza, rotondo, giallo -verdastro, pruinoso. Grappolo raro, Semi 3-4. Tardiva a maturare, primaticcia a fiorire. Uso. Per vino spiritoso, ed anche mangereccia. Può conservarsi per l’inverno.”[83] Sempre Acerbi [84], pubblicò la monografia sulle uve dell’Oltrepò pavese, del professore Giuseppe Moretti, fra le uve bianche era presente: “6° Trebbiano. Foglie leggermente tri-quinquelobate, con denti quasi eguali; superficie superiore liscia, di color verde giallliccio; inferiore leggermente vellutato-cotonosa; picciuolo lungo da 7 a 8 centimetri, alquanto grosso, striato e rugoso. Grappolo grosso, alquanto fitto. Acino rotondo, che prende il color rugginoso quand’è esposta al meriggio. Dà vino fortissimo, fumoso, e che dà facilmente al capo”[85].
Nel 1828, a Casalmaggiore, secondo l’abate Romani[86], “Le uve che danno quì [a Casalmaggiore ndr.] i migliori vini sono, per il bianco la malvasia ed il trebbiano (…)“[87].
Nei secoli precedenti al XVIII, l’uva tribiana era citata a fine ‘Trecento da Pier Crescenzi “spes uve que tribiana vocat que est alba cum grano rotundo, parvos et multos botriones faciens“[88].
Sempre Piero De’ Crescenzi in una edizione settecentesca del Trattato della Agricoltura[89] del 1304 la traduzione in “favella fiorentina” così lo descrive: “Ed è un’altra maniera d’uve, la quale trebbiana è detta, ed è bianca, col granello ritondo, piccolo, e molti grappoli avente: nella gioventù è sterile, e, procedendo, in tempo diventa feconda, faccente nobile vino, e ben serbatojo: e questa maniera per tutta la Marca spezialmente si commenda“[90].
Il parmigiano Francesco Maria Grapaldo[91], alla fine del Quattrocento, nella sua opera De Partibus Aedium, citava brevemente l’uva trebiana ed il vino trebianum.
Nel 1569, il nobile bresciano, Agostino Gallo[92], fra le: “uve bianche che producono del frutto assai ed il vino buono. (…) Io lodo piantare le viti trebbiane, che fanno i graspi grandi ed i grani grossi, percicché abbondano di vino, ma potente e con fumo, e specialmente dove si adacqua, nondimeno è perfetto per mescolarlo coi deboli, e che sono carichi. È vero che se queste viti sono delle migliori, e poste nei colli che non siano morbidi di terreno, producono tanto più vino delicato, quanto più sono percosse dal Sole, come la pratica ce lo mostra in più paesi.”[93] Nel 1592, il pavese Petro Paulo Simoneta [94], citava l’uva trebiano[95].
Nel 1829, Andrea Alverà[96], riportando i nomi delle principali varietà di uva coltivate nel vicentino, indicava il nome di: Pedevènda corrispondente a: “Trebbiano, Tribbiano bianco, o Fiorentino dei Toscani e Romani“[97]. Viala riporta circa una quarantina diverse varietà o sub-varietà di trebbiano (dolce, abruzzese, bianco, dall’occhio, di Lucca, di Macerata ecc.; da notare un trebbiano di Piacenza ed anche un trebbiano di Solignano): viene indicato come sinonimo di trebbiano il termine francese di ugni blanc[98]. Si rinvia alla monografia di L. Reich e V. Vannuccini: “Ugni blanc ou Trebbiano“[99] nel II° volume Ampélographie di Pierre Viala.
Note
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro Du Tillot a 41-50 b. a 42
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.; Bargelli Claudio, La Città dei Lumi, Parma, MUP, 2020, p.173 e p. 177; Bargelli Claudio, “Teatro d’Agricoltura” Le campagne parmensi nelle inchieste agrarie del secolo dei Lumi, in: “Rivista di Storia dell’Agricoltura” a. LJ, n.2, dicembre 2011 pp. 101-130.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.: Giorgini Paolo, Le varietà di uva presenti nei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, 2021, p. n. i.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.; Bargelli Claudio, La Città… cit. p. 173 e p.177.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.: Giorgini Paolo, Le varietà… cit.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.; Bargelli Claudio, La Città… cit. p. 173 e p.177.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.: Giorgini Paolo, Le varietà… cit.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.; Bargelli Claudio, La Città… cit. p. 173 e p.177.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.: Giorgini Paolo, Le varietà… cit.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.; Bargelli Claudio, La Città… cit. p. 174 e p.178.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.: Giorgini Paolo, Le varietà… cit.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.; Bargelli Claudio, La Città… cit. p. 174 e p.178.
- Id.
- Le altre quattro varietà erano: Greco, Cova di Volpe, Moscatello, Malvagia.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.: Giorgini Paolo, Le varietà… cit.
- Id.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.; Bargelli Claudio, La Città… cit. p. 174 e p.178.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.: Giorgini Paolo, Le varietà… cit.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.; Bargelli Claudio, La Città… cit. p. 174 e p.178.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.: Giorgini Paolo, Le varietà… cit.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.; Bargelli Claudio, La Città… cit. p. 174 e p.178.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.: Giorgini Paolo, Le varietà… cit.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.; Bargelli Claudio, La Città… cit. p. 174 e p.178.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.: Giorgini Paolo, Le varietà… cit.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.; Bargelli Claudio, La Città… cit. p. 175 e p.179.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.: Giorgini Paolo, Le varietà… cit.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.; Bargelli Claudio, La Città… cit. p. 175 e p.179.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.: Giorgini Paolo, Le varietà… cit.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.; Bargelli Claudio, La Città… cit. p. 175 e p.179.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.; Bargelli Claudio, La Città… cit. p. 175 e p.179.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.: Giorgini Paolo, Le varietà…cit.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.; Bargelli Claudio, La Città… cit. p. 176 e p.180.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.: Giorgini Paolo, Le varietà… cit.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.; Bargelli Claudio, La Città… cit. p. 176 e p.180.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.: Giorgini Paolo, Le varietà… cit.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.; Bargelli Claudio, La Città… cit. p. 176 e p.180.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.: Giorgini Paolo, Le varietà… cit.
- Archivio di Stato di Parma, Raccolta Manoscritti, ms.138; Il manoscritto è riportato anche in: Spaggiari. Pier Luigi, Insegnamenti di agricoltura parmigiana del XVIII secolo, Parma, 1964, Artegrafica Silva; Medioli Masotti, Paola, Lessico di un trattato parmigiano di agricoltura (fine XVIII inizio XIX sec.) in: Archivio Storico per le province parmensi, quarta serie, volume XXXI, 1979, Deputazione di Storia Patria per le province parmensi, Parma, 1980; Giorgini Paolo, Le varietà di uva presenti bei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, 2021, p. n. i.
- Id. 691.
- Id.
- Id.
- Atti della Società Patriotica di Milano, volume III, Milano, 1793.
- Id. p.139.
- Biblioteca Maldotti di Guastalla, G.C. Cani, Lettere agrarie alla Colonia d’agricoltura del Crostolo, fondo Cani, busta 96, lettera XII, “Della coltivazione delle viti“, destinatario avv. Giovanni Carandini, data presunta 1808-1809. Si ringrazia, per la competenza e cortesia la dott.ssa Alice Setti della Biblioteca Maldotti di Guastalla. Si veda: Sulla condizione agraria del reggiano nell’Ottocento. Società Agraria di Reggio Emilia, prefazione di Rolando Valli, Reggio Emilia, Antiche Porte Editrice, 2013, pp. 13-27
- Id.
- Anonimo, Dell’Agricoltura del circondario di Piacenza, dipartimento del Taro, Impero Francese, pp.3-34, in: “Annali dell’Agricoltura del Regno d’Italia, compilati dal Cav. Filippo Re”, Tomo XVIII, aprile, maggio, giugno. 1813, Milano, Giovanni Silvestri, 1813
- Id. p, 22.
- Peschieri Ilario, Dizionario Parmigiano – Italiano, vol. II, R-Z, Parma, 1828, Stamperia Blanchon, 1828.
- Id. p. 647.
- Peschieri Ilario, Dizionario Parmigiano – italiano, vol. II, Parma, Stamperia Carmignani, 1841.
- Foresti, Lorenzo, Vocabolario Piacentino – Italiano, Piacenza, Fratelli Del Majno Tipografi, 1836.
- Id. p. 401.
- Stabilimento Orticolo di Pietro Maserati a Piacenza, Autunno 1838 – primavera 1839, Piacenza, Antonio Del Majno, 1838.
- “Il Facchino”, 27/2/1841, a. III, n. 9.
- Id.
- Id.
- Malaspina Carlo, Vocabolario Parmigiano – Italiano, vol. IV, Parma, Tipografia Carmignani, 1859.
- Id. p. 357.
- Tintinnar di bicchieri: vini e vignaiuoli a Parma, a cura di Accademia italiana della Cucina, delegazione della provincia di Parma, Parma, Gazzetta di Parma, 2006, a p. 114 riproduzione del Lunario per l’anno 1872 ed elenco dei vitigni della provincia parmense, Parma, Tipografia G. Ferrari e figli; da p.115-128: I vitigni della provincia parmense nell’anno 1872.
- Id. p.126.
- Id.
- “L’Indicatore Modenese”, 1.11.1851, a.1, n.18.
- Id.p.143.
- Dalla Fossa Claudio, Opuscoli Agrari, Reggio [Emilia], Tipi della Società, s.d. [1811].
- Id.
- Biblioteca Municipale “Panizzi” di Reggio Emilia, Manoscritto di Vincenzo Bertozzi, Viti della provincia di Reggio, MSS. REGG. D 88/23. La riproduzione dell’elenco di Bertozzi è presente in: Bellocchi Ugo, Reggio Emilia la provincia “Lambrusca”, Reggio Emilia, Tecnostampa, 1982, pp. 58-59. Bellocchi ha corretto gli accenti presenti sui nomi delle varietà riportate da Bertozzi e successivamente da: Casali Carlo, I nomi delle piante nel dialetto reggiano addenda et emendanda, Reggio Emilia, Officine Grafiche Reggiane1926, pp. 15-16. Casali aggiunse alcune interessanti notizie sull’elenco del Bertozzi e sullo stesso Bertozzi: “L’elenco è inedito ed è di mano del dottor Vincenzo Bertozzi, membro della Società Agraria del Dipartimento del Crostolo e appassionato e valente frutticoltore. Della sua rinomata collezione di varietà e di alberi fruttiferi non rimangono più che pochissime tracce nella villa di sua proprietà alla Baragalla. L’elenco venne trasmesso dal Bertozzi al prof. Galliani, che lo aveva richiesto: non porta alcuna data ma è stato certamente compilato verso il 1840“. Casali trasmise l’inedito elenco alla Biblioteca reggiana.
- Savani Luigi, Istruzione pratica per la coltivazione della vite, in: Memorie varie risguardanti la migliore agricoltura, Modena, Tip. Vincenzi e Rossi, 1841, pp. 63-114.
- Zuccagni-Orlandini Attilio, Corografia fisica, storica e statistica dell’Italia e delle sue Isole, volume VIII, parte seconda, Firenze, 1845.
- Id. p. 587.
- Roncaglia Carlo, Statistica Generale degli Stati Estensi, Modena, Tipografia di Carlo Vincenzi, 1850.
- Id. p. 420.
- Agazzotti Francesco, Catalogo descrittivo delle principali varietà di uva coltivate presso il Cav. Avv. Francesco Agazzotti del Colombaro, Modena, Tipografia di Carlo Vincenzi, 1867, in: Montanari Gian Carlo, Malavasi Pignatti Morano, Uve modenesi tra XVIII e XIX secolo, Modena, Edizioni Il Fiorino, 2018.
- Id. pp. 206-207.
- Atti del Consorzio Agrario di Reggio Emilia, n. 1, Carlo Casali, I nomi delle piante nel dialetto reggiano, Reggio Emilia, Tipografia Bondavalli, 1915, p. 58.
- Rapporto a sua eccellenza il Sig, Ministro dell’Interno sullo stato dell’Orto Agrario della R. Università di Bologna, Milano, Giovanni Silvestri, 1812.
- Id. p. 46.
- “Il Felsineo”, 4.3.1845, a.5, n.40.
- Targioni Tozzetti Ottaviano, Dizionario Botanico, parte II, Firenze, Guglielmo Piatti, 1809.
- Id. p. 105.
- Fabroni Adamo, Dell’arte di fare il vino per la Lombardia e metodi pratici per fare i migliori vini toscani, Milano, Giovanni Silvestri, 1819.
- Id. p. 20.
- Acerbi Giuseppe, Delle viti italiane, Milano, Giovanni Silvestri, 1825.
- Id. p. 35-36.
- Id. p. 53-62.
- Id. p. 55.
- Romani Giovanni, Storia di Casalmaggiore, volume I, Casalmaggiore, Fratelli Bizzarri, 1828.
- Id. p. 147.
- Sella. Pietro, Glossario Latino Emiliano, Città Del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1937, p. 377.
- De’ Crescenzi Pietro, Trattato della Agricoltura, Bologna, 1784, Istituto delle Scienze. Trattasi di una delle traduzioni dal latino all’italiano dell’opera Ruralium Commodorum Libri XII, risalente al 1304.
- Id. p. 193.
- Vignali Luigi, Il lessico “neoterico” del de partibus aedium di Francesco Maria Grapaldo, Parma, Deputazione di Storia patria per le province parmensi, 2005, p. 111.
- Gallo Agostino, Le venti giornate dell’agricoltura e de’ piaceri della villa, Brescia, Stamperia di Giambattista Bossini, 1775, p. XIII.
- Id. p. 92.
- Simoneta Petro Paulo, Breve compendium totius medicinae, Ticini, Ex Officina Heredim Hieronymi Bartoli, 1592.
- Id. p. 392.
- Alverà Andrea, “Annali Universali di Agricoltura”, fasc. luglio 1829, Milano, Paolo Lampato, in: Lanzani Estor, Saggio di una pantografia vicentina, Venezia, per Giuseppe Giuliani, 1834.
- Id. p. 61.
- Viala P., Vermorel V., Ampélographie, tome VII, Paris, Masson et C. 1909, pp.322-323.
- Viala P., Vermorel V., Ampélographie, tome II, Paris, Masson et C. 1901, pp. 255-264.