L’uva schiava bianca nel corso della rilevazione del 1771[1] fu censita in un solo distretto: “Territorio piacentino non specificato (22)”[2], nel quale fra le uve bianche presentava: “[un’ uva detta la schiava ha il grano pressoché rotondo e i grappoli sono mezzani grossi e da un vino chiaro sottile e buono e viene prima delle altre a maturità“[3].
Con la rilevazione del 1771 terminano le notizie sulla uva schiava bianca nel Ducato di Parma Piacenza Guastalla fino al 1859, mentre maggiori sono quelle inerenti all’uva schiava rossa.
Nei territori estensi, Caula[4] nel 1752, riferiva della: “Schiavona, o sia Uva Schiava, non è molto buona a far vino, ma da mangiarsi. Ha grappolo grande ordinariamente, grana grosse, rotonde e sode; color bianco che sembra velato di turchino, ond’è più bella da vedersi d’ogni altra uva: non fa vino di troppa bontà, ma può tollerarsi“[5].
Si può notare la diversa valutazione della bontà del vino da parte del rilevatore del 1771 e quella di Caula.
Nel 1847 Roncaglia[6], citava fra le uve bianche comuni dei territori Cispennini, l’uva schiavona[7].
L’uva bianca schiava non ha molte citazioni, fino al 1859, nemmeno nei territori estensi.
Grande estimatore dell’uva sclava bianca, sembrava essere il bolognese Pier Crescenzi alla fine del XIII secolo, “speties uve que vocatur sclava que satis tarde pululat et est uva alba“[8].
Riportiamo di seguito la descrizione di Pier Crescenzi dell’uva schiava, ovviamente non possiamo dire che si tratta della stessa varietà censita cinquecento anni dopo. “Dico dunque imprima, ch’egli è una maniera d’uva, che si chiama schiava, che assai tardi pullula: ed è una uva bianca avente il granello quasi rotondo, e fa mezzanamente grandi, e spessi grappoli, e la foglia mezzanamente intercisa, ed in ciascun sermento, anche nel vecchio nati, due, o ver tre, o ver quattro, e talora cinque racimoli produce: e tanta è la durezza del legno suo, che i sermenti non agevolmente si piegano in quelle in giù, per lo peso dell’uve: onde oltre modo i rami empie, e l’uva sua è molto vinosa, e lucida, e tosto maturezza riceve. Il vino suo è molto sottile, e chiaro, e convenevolmente potente, e da serbare, e maturo, e magra, o mezzolana terra desidera, e montuosa, ed in quella meglio, che in alcuna altra terra fruttifica, se strettamente si poti, imperocché lunghi tralci con l’uve nutrir non può: e questo appo Brescia, e nelle parti montane di Mantova, massimamente s’usa: ed in ispezialità, oltre a tutte l’altre, in più degnità la tengono.” [9]
Curiosamente il giudizio sul vino ottenuto dall’uva bianca schiava “chiaro sottile e buono” della rilevazione del 1771 è molto simile a quello di Pier Crescenzi del 1288: “Il suo vino è molto sottile, e chiaro, e convenevolmente potente, e da serbare, e maturo (…)”, mentre Caula, giudica l’uva schiava non molto buon a far vino e la considera un’uva da tavola.
Anche sui tempi di maturazione della schiava, Pier Crescenzi e il rilevatore del 1771 pare concordino, così come Agostino Gallo, la cui prima edizione dell’opera Le venti giornate dell’agricoltura e dei piaceri della villa, risale al 1569[10], egli scriveva: “Ancora sono buone le schiave bianche da piantare, le quali maturano innanzi le altre, e fanno frutto assai ed il vino gentile“[11].
Nel ricettario di Giuseppe Lemma, cuoco bolognese del Seicento[12], oltre all’uva passa, l’unica uva presente è l’uva schiava, senza indicazione del colore dell’acino, “Varietà di uva un tempo presente nel Mantovano, nel Bresciano, nell’ Emilia e anche nel Bolognese“[13].
Rovasenda riportava i termini Schiava o Sciava bianca, menzionando Acerbi, che la riportava fra le varietà di Como e di Conegliano[14].
Viala citava la Schiava blanche[15], e rinviava alla monografia di D. Tamaro sull’uva schiava presente sul terzo volume dell’Ampélographie dello stesso Viala[16].
Note
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro Du Tillot a 41-50 b. a 42.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio… cit., Bargelli Claudio, La Città dei Lumi, Parma, MUP, 2020, p.175 e p.180; Bargelli Claudio, “Teatro d’Agricoltura” Le campagne parmensi nelle inchieste agrarie del secolo dei Lumi, in: “Rivista di Storia dell’Agricoltura” a. LJ, n.2, dicembre 2011, pp. 101-130.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio… cit., Giorgini Paolo, Le varietà di uva presenti nei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, p. n. i.
- “L’Indicatore Modenese”, 4/10/1854, a.1, n.14.
- Id. p. 111.
- Roncaglia Carlo, Statistica Generale degli Stati Estensi, volume II, Modena, Tipografia di Carlo Vincenzi, 1850.
- Id. p. 121.
- Sella Pietro, Glossario Latino – Emiliano, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1937, p.377.
- Pietro Dè Crescenzi, Trattato della agricoltura, Bologna, Istituto delle Scienze, 1784, p.192. Trattasi di una delle numerose traduzioni dal latino, in italiano dell’importante opera dello scrittore ed agronomo bolognese Pietro de’ Crescenzi (Pier Crescenzio, 1233-1320), Ruralium Commodorum libri XII (Trattato dell’Agricoltura) del 1304.
- Gallo Agostino, Le venti giornate dell’agricoltura e dei piaceri della villa, Brescia, Stamperia di Gianbattista Bossini, 1775, p. XIII.
- Id. p. 93.
- Roversi Giancarlo, La tavola imbandita, Casalecchio di Reno (Bologna), Grafis Edizioni, 1988.
- Id. p.366
- Rovasenda Giuseppe, Saggio di una ampelografia universale, Torino, Tipografia Subalpina di Stefano Marino, 1877, p. 169.
- Viala P., Vermorel V., Ampélographie, tome VII, Paris, Masson et C., 1909, p. 299.
- Viala P., Vermorel V., Ampélographie, tome iii, Paris, Masson et C., 1902, pp. 337-338.