Barbera

Home/Barbera

Nonostante la notorietà raggiunta dalla barbera di Langhirano dalla fine del XIX secolo[1], il primo riferimento all’uva barbera è del 1859, dovuto alla penna di Carlo Malaspina con il suo Vocabolario Parmigiano – Italiano, nel quale compare l’uva barbèra (in italiano uva barbera)[2]. Alla fine di ottobre del 1831, da Asti, così descriveva la barbera, Giorgio Gallesio[3]: “La Barbera è l’uva più abondante nell’Astiggiano dopo il Grignolino è un’uva a grapolo picciolo, longo, sottile, spargolo, ad acini oblonghi, grossetti, col pedicello longo, colorito di rosso, di buccia e di polpa porporina. Il suo vino è robusto, con il corpo, e migliora invecchiando, contenendo molta materia estrattiva colorante e molto tartaro. È un vino da bersi con moderazione mentre agisce sul sistema nervoso ed è indigesto“[4].

Nel 1800, sul Calendario Georgico[5], compilato e pubblicato dalla Società Agraria di Torino, ad uso degli agronomi piemontesi, fra le uve nere di prima qualità era menzionata l’uva: “2° – Barbera di due qualità, una produce grappoli, ed acini grossi, oblunghi, l’altra più piccoli, ma abbonda più della prima, e fa vino migliore, di gusto piccante, e spiritoso, color nero, matura bene, e produce ancor meglio, se è coltivata in terreno non molto pingue: quest’uva nel vercellese e nel Canavese è chiamata Ughetta, dai Novaresi Vespolina, e sotto la denominazione di Barbera è molto coltivata nella Frascheja d’Alessandria, e nell’Astigiana“[6].

Rovasenda[7] nel 1877, riportava diverse tipologia di barbera: 1) barbera amara. Piemonte”. Eccellentissima uva per vinificazione, in terreni argillosi specialmente. Vino di corpo e di colore“[8]. 2) barbera bianca, conte Odart, a Rovasenda parve fresa. 4) barbera grossa. 5) barbera nera a peduncolo rosso (descritta da Acerbi). 6) barbera nera a peduncolo verde (Rovasenda riteneva il colore del peduncolo soltanto, un incidente di coltivazione). 7) barbera piccola, seguita da un punto interrogativo e da una considerazione di Rovasenda: ” Tutte queste distinzioni le crederei di abbandonarsi. Io conosco una sola barbera“[9]; proseguiva Rovasenda con galetto[10] si chiedeva se era sinonimo di barbera grossa? (dintorni di Bra, Piemonte).

Note

  1. Si veda l’importante opera su vini e vignaiuoli a Parma: Tintinnar di bicchieri. Parma, Gazzetta di Parma Editore, 2006, pp.246-247.
  2. Malaspina Carlo, Vocabolario Parmigiano – Italiano, vol. quarto, Parma, 1859, Tipografia Carmignani, p. 387.
  3.  Gallesio Giorgio; I giornali dei viaggi, Firenze, 1995, Accademia di Georgofili.
  4. Id. p. 347. Si veda anche p.349. 
  5.  Calendario Georgico, Torino, 1800, Società Agraria di Torino, per i tipi di Pane e Barberia.
  6. Id. 99.
  7. Rovasenda Giuseppe, Saggio di una ampelografia universale, Torino, 1877, Tipografia Subalpina di Stefano Marino. Le barbere sono a p. 29.
  8. Id. p. 29.
  9. Id.
  10. Id. p. 73.