Nel manoscritto anonimo Trattato di agricoltura[1], scritto fra la fine del XVIII e l’XIX secolo, erano presenti l’uva bianca termarina[2], la tremarina rossa[3], inoltre indicavano le “tremarine d’ogni sorta”[4] adatte alla coltivazione negli orti.
L’ingegner Cani[5], nell’elencare le varietà d’uva guastallesi indicò l’uva tremarina: “uva nera; il graspo è raro con grani piccoli e grossi, è saporita da mangiare e fornisce del vino delicato“[6].
Nel 1812 Filippo Re[7], citava fra le viti d’uva nera coltivate nel bolognese la vite tremarina rossa: Vitis v. apyrena[8]; è presente anche la varietà bianca.
Filippo Re[9], nel 1814, ipotizzava che l’uva citata dalla Bibbia, considerata la migliore, denominata Sorec, rassomigliasse alla termarina. Nel 1840, Bertozzi[10], fra le “Viti di uva di colore coltivate negli orti e nelle vigne e raramente nei campi della provincia di Reggio“[11], citava il termine dialettale termarèina, traducendola con passerina.
Nel 1847, Roncaglia[12] fra le uve colorate comuni presente nei territori cispennini degli Stati estensi, rilevò la termarina[13].
Nel 1851[14], su una Strenna modenese, in una serie di note filologiche, relativamente all’uva termarina, era riportato quanto segue: “E la Temarina, con lieve trasposizione o scambio di lettera, diverrà Tremarina ovvero Tramarina (troncamento d’Oltremarina, Oltramarina ); e non parrà strano che sia una medesima specie coll’Uva di Corinto, seconda che la trovo posta dal cel. Antonio[Filippo] Re[15]”.
Nel 1859 Malaspina[16] riportò il termine dialettale termarèn’na, traducendola con passerina[17].
Relativamente ai territori parmigiani riportiamo una descrizione della termarina risalente al 1872[18]: “Termaren’na. Ha foglia piccola subquinqueloba con denti acuti irregolari rivolti verso l’alto: La parte superiore è liscia, di color verde cupo, sublucida, quella inferiore è verde chiara, pubescente co picciuolo lungo, sottile.Il grappolo è lasso, di forma piramidale, lungo circa 10 cm., fatto di bacche piccolissime di un rosso dilavato e rotonde. Non ha semi ed il suo sapore è di un delicato dolce. Produce un vino eccellente con una fragranza davvero speciale. Esiste anche una seconda varietà di questo vitigno con grappoli anche di 15 cm. Con bacche piccole intervallate da bacche più grandi alcune delle quali contengono uno o due semi. molti la chiamano con lo stesso nome, altri la chiamano Madrevite. In alcuni luoghi il vitigno è chiamato uva Passerina”[19].
Il modenese Agazzotti[20], nel 1867 nel suo catalogo sulle varietà di uva, così descriveva l’uva termarina rossa: “Termarina rossa (Termarina, Uva Passerina, Uva di Candia rossa, Passeretta): “Grappolo piccolo conico, graspetti ben distinti, con picciuolo sottile ed esile: peduncolo esile, verde, piuttosto corto. Acini grossi ovoidei, pochissimi, che quasi non entrano nella composizione del grappolo, il quale veramente componesi di tanti piccolissimi granelli sferici, abortiti senza seme, con picciuoletto lungo ed esile, e traslucidi. Buccia rosso piombo fosco, sottile trasparente, Sugo abbondante, dolce, agretto, con un tenue aroma sui generis, indefinibile. Specialità d’uva vinifera, mangereccia, particolarmente ad uso di condimento culinario. Disseccata al forno od al sole serve di base alla nota Passaretta di Piemonte, ma qui da noi, è calunniata madre di vino proditore. Ma il fatto sta nel difetto di colore, che perciò, non essendo ritenuto ricco di schietta lagrima, lo si beve inconsideratamente come vino da famiglia, mentre che in sostanza, proveniente da uva assai ricca di glucosa, ha la conseguente proprietà di inebriare chi ne beve smodatamente. Appassita e trattata col metodo dei vini bianchi liquorosi, dà vino limpidissimo di un bel giallo dorato, e di squisitissimo sapore, con aroma speciale ed esclusivo. La vite non esige veruna cura speciale ed adattasi a tutte sorta di terreni vitiferi, possedendo ad abbondanza forza di vegetazione che le fa gittare lunghi e vigorosi tralci e sufficiente copia di frutti; teme però molto la crittogama”[21].
A cura di Agazzotti esiste una seconda descrizione dell’uva Termarina rossa, abbastanza simile alla descrizione sopra riportata e che tralasciamo[22].
Negli Statutorum Brixilli[23], gli Statuti di Brescello, del 1572, vi era un riferimento all’uva tremarina[24].
A Londra, nel 1614 fu pubblicata un originale testo del modenese Giacomo Castelvetro[25]: Breve racconto di tutte le radici, di tutte l’erbe e di tutti i frutti che crudi o cotti in Italia si mangiano, a proposito della tremarina così si esprimeva: “Della Tremarina. Alle predette [luiatica e muscatella] séguita la termareina, la quale dal tremare che fa ad ogni venticello che niente spiri mentr’ella dall’amata madre vite sua pende, credo io che così venga nominata. Ella produce i suoi granelli minuti quanto son què della veccia, e alcuni tra quelli assai grossi, ma questi rari sono, perché ci sarà tal grappo che sol due o tre ne averà. Ed è senza dubbio la medesima uva qual secca viene in queste parti dal Zante portate, la quale communemente “Corinti” chiamano, e di questa così secca va per tutto il mondo quantità grande, ma in niuna parte se ne consyuma tanta quanto in questo reame si fa, ove in farne diversi mangiari, ma spezialmente in farne i christmas pye, se ne consuma quantità incredibile a chiunque ciò non vede, oltre che ne’ medicamenti ancora se ne adoperi gran quantità”[26].
Sacconi[27], nel 1697 citava la Tramarina nera[28] (ed anche la bianca).
Note
- Archivio di Stato di Parma, Raccolta Manoscritti, ms.138; Il manoscritto è riportato anche in: Spaggiari. Pier Luigi, Insegnamenti di agricoltura parmigiana del XVIII secolo, Parma, Artegrafica Silva, 1964; Medioli Masotti, Paola, Lessico di un trattato parmigiano di agricoltura (fine XVIII inizio XIX sec.) in: “Archivio Storico per le province parmensi”, quarta serie, volume XXXI, 1979, Deputazione di Storia Patria per le province parmensi, Parma, 1980; Giorgini Paolo, Le varietà di uva presenti bei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, 2021, p. n. i.
- Id. f. 691.
- Id. f. 692.
- Id. f. 437.
- Biblioteca Maldotti di Guastalla, G.C. Cani, Lettere agrarie alla Colonia d’agricoltura del Crostolo, fondo Cani, busta 96, lettera XII, “Della coltivazione delle viti”, destinatario avv. Giovanni Carandini, data presunta 1808-1809. Si ringrazia, per la competenza e cortesia la dott.ssa Alice Setti della Biblioteca Maldotti di Guastalla. Si veda: Sulla condizione agraria del reggiano nell’Ottocento. Società Agraria di Reggio Emilia, prefazione di Rolando Valli, Reggio Emilia, Antiche Porte Editrice, 2013, pp. 13-27.
- Id.
- Rapporto a sua eccellenza il Sig. Ministro dell’Interno sullo stato dell’Orto Agrario della R. Università di Bologna, Milano, 1812, Giovanni Silvestri, 1812.
- Id. p. 48.
- Re Filippo, Avvertenze principali per ben porre e coltivare una vigna, ricavate dalla Sacra Bibbia, Lettera al sig. D.G.D.F., arciprete di Muzziatella, in: “Annali dell’Agricoltura Italiana”, Tomo XXII, Aprile, Maggio, Giugno 1814, Milano, Giovanni Silvestri, 1814, pp. 251-269.
- Biblioteca Municipale “Panizzi”di Reggio Emilia, Manoscritto di Vincenzo Bertozzi, Viti della provincia di Reggio, MSS. REGG. D 88/23. La riproduzione dell’elenco di Bertozzi è presente in: Bellocchi Ugo, Reggio Emilia la provincia “lambrusca”, Reggio Emilia, Tecnostampa,, 1982, pp. 58- 59. Bellocchi ha corretto gli accenti presenti sui nomi delle varietà riportate da Bertozzi e successivamente da: Casali Carlo, I nomi delle piante nel dialetto reggiano addenda et emendanda, Reggio Emilia, Officine Grafiche Reggiane, 1926, pp. 15-16. Casali aggiunse alcune interessanti notizie sull’elenco del Bertozzi e sullo stesso Bertozzi: “L’elenco è inedito ed è di mano del dottor Vincenzo Bertozzi, membro della Società Agraria del Dipartimento del Crostolo e appassionato e valente frutticoltore. Della sua rinomata collezione di varietà e di alberi fruttiferi non rimangono più che pochissime tracce nella villa di sua proprietà alla Baragalla. L’elenco venne trasmesso dal Bertozzi al prof. Galliani, che lo aveva richiesto: non porta alcuna data ma è stato certamente compilato verso il 1840” Casali trasmise l’inedito elenco alla Biblioteca reggiana.
- Id.
- Roncaglia Carlo, Statistica Generale degli Stati Estensi, volume II, Modena, Tipografia di Carlo Vincenzi, 1850.
- Id. p. 421.
- Strenna pel nuovo anno, Modena, R.D. Camera, 1851.
- Id. p. 19.
- Malaspina Carlo, Vocabolario Parmigiano-Italiano, vol. IV, Parma, 1859, Tipografia Carmignani, 1859.
- Id. p. 357.
- Tintinnar di bicchieri: vini e vignaiuoli a Parma, a cura di Accademia italiana della Cucina. delegazione della provincia di Parma, Parma, Gazzetta di Parma, 2006, a p. 114 riproduzione del Lunario per l’anno 1872 ed elenco dei vitigni della provincia parmense, Parma, Tipografia G. Ferrari e figli; da p.115-128: I vitigni della provincia parmense nell’anno 1872.
- Id. pp. 126-127.
- Agazzotti, Francesco, Catalogo descrittivo delle principali varietà di uve coltivate presso il Cav. Avv. Francesco Agazzotti del Colombaro, Tipografia di Carlo Vincenzi, Modena, 1866. cfr. Montanari Gian Carlo, Malavasi Pignati Morano Luigi, Uve modenesi tra XVIII e XIX secolo, Modena, Edizioni Il Fiorino, 2018.
- pp. 200-201.
- pp. 201-202.
- Sella Pietro, Glossario Latino Emiliano, Città del Vaticano, Stamperia Apostolica Vaticana, 1937, p. XIV.
- Id. p. 377.
- Castelvetro Giacomo, Breve racconto di tutte le radici, di tutte l’erbe e di tutti i frutti che crudi o cotti in Italia si mangiano, Londra, 1614.
- Id. p. 7.
- Sacconi Francesco Persio, Ristretto delle piante, Vienna, Andrea Heyinger, 1697.
- Id. p. 122.