Nel periodo compreso fra il 1770 e il 1810, nelle carte di Moreau de Saint- Mèry[1], in una relazione non datata, era descritto il metodo per produrre il vino santo nello Stato Parmigiano: “Vino Santo. Questo si usa nel Piacentino, pure se ne fabbrica anche nel Parmiggiano, egli è una cert’uva chiamata moscatella ed altra malvasia, queste raccolgonsi ben mature e poi si mettono nella camera a tassello ben pulita e riparate dall’umidità dell’aria, verso il Natale poi si follano e poi si mette a bulire per un mese circa, indi si cava e si passa nei sacchetti fatti a tal uso, e poi si mette nelle piccole botti munite di buoni cerchi, e ben turato si lasciacosì per due o tre anni continui passati i quali si comincia a farne uso”[2]. Nel 1836, Lorenzo Foresti, nel suo Vocabolario Piacentino – Italiano [3] riportava il termine dialettale (uga) moscatélla tradotto in italiano con (uva) moscadella, moscatella[4].
Nel 1800, Filippo Re[5], citava l’uva bianca moscatella[6], fra quelle coltivate nella montagna reggiana.
Nel 1813, in una altra pubblicazione compilata da Filippo Re[7], era riportata un’anonima relazione sull’agricoltura del circondario di Piacenza e fra le uve bianche più note, era indicata la moscatella[8].
Anche per le uve coltivate nella montagna piacentina era indicata, fra le migliori, la moscatella.[9]
Il modenese Luigi Savani[10], nel 1841, citava fra le uve bianche da tavola, coltivate nel modenese, le Moscatelle[11].
Margaroli[12], nel suo Manuale dell’abitatore di campagna e della buona castalda, la cui prima edizione risale al 1831 e la seconda, ampliata e corretta al 1840, riguardo alle varietà di uva bianca coltivate nei territori lombardi, citava la moscatella[13].
Carlo Stefano[14], nel 1545, in merito alla moscatella scriveva: “Uva apiana è detta dai greci Stica, alcuni la dicano moscatella dalle api, le quali volgarmente son dette mosche, conciosia che le api se ne dilettan sommamente”[15].
Nel 1632, monsignor Barpo[16], bellunese, a proposito dell’uva moscatella, così si esprimeva: “L’Vua moscatella vuole luoghi asciutti, e caldi,ò che il gambo, e pampani stiino al coperto, e le radiche alla pioggia, come attaccate alle case, ma se pur d’Agosto t’avvedessi che mostri seccarsi, dagli acqua al piede ogni otto giorni“[17].
Note
- ASPR, Carte Moreau de Saint – Méry, b.16-17 “Agricoltura” (b.17, fasc.10 ), s. d.
- Id. p. 4.
- Foresti Lorenzo, Vocabolario Piacentino-Italiano, Piacenza, Fratelli Del Majno Tipografi, 1836.
- Id. p. 401.
- Casali Pietro, I nomi delle piante nel dialetto reggiano addenda et emendanda, Reggio Emilia, Officine Grafiche Reggiane, 1926. A p.11 e ss. si cita un manoscritto conservato presso la Biblioteca Municipale di Reggio Emilia, dal titolo Viaggio agronomico per la montagna reggiana.
- Id. p. 14.
- Anonimo, Dell’Agricoltura del circondario di Piacenza, Dipartimento del Taro, Impero Francese. pp. 3-34 in: “Annali dell’Agricoltura del Regno d’Italia”, compilati dal Cav. Filippo Re, tomo XVIII, Aprile, Maggio e Giugno, Milano, Giovanni Silvestri, 1813.
- Id. p. 22.
- Id. p. 33.
- Savani Luigi, Istruzione pratica per la coltivazione della vite, in: Memorie varie risguardanti la migliore agricoltura, Modena, Tip. Vincenzi e Rossi, 1841, pp. 63-114
- Id. p. 69.
- Margaroli Giovanni Battista, Manuale dell’abitatore di campagna e della buona castalda, Milano, Ernesto Oliva Editore, 1857, 4° Edizione.
- Id. p. 185.
- Carlo Stefano, Vineto, Venetia, Vincenzo Vaugris, 1545.
- Id. 36.
- Barpo Gio. Battista, Le Delitie & i Frutti dell’Agricoltura e della Villa, libri tre, Venetia, Sarzina, 1644.
- Id. p. 112.