Gradesana – Gradsana

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“E così la Gradesana

Che per vin non vuolsi prendere

E perciò si è fatta appendere”[1].

Nella rilevazione del 1771[2] l’uva bianca gradesana compare in due Dipartimenti nei quali era suddiviso il Ducato, il primo comprendeva: “Colorno, Torrile; Coltaro; Copermio; Sacca, Sanguigna, Mezzano Rondani (15)”[3], “La gradesana fa il grano lungo e serrato il grappo“[4]. Matura presto, non come Il trebiano e il greco che maturano più tardi. L’altro Dipartimento nel quale censirono la gradesana, o meglio, la gradsana, era quello, attualmente in provincia di Reggio Emilia, di: “Poviglio, San Sisto, Casalpò (18)”[5].

L’uva bianca “gradsana a grappo lungo aperto“[6]; se ben interpreto quanto scrisse il rilevatore di questo dipartimento, tutte le varietà ivi presenti avrebbero “il grano rotondo“[7], quindi anche la gradsana. In una corrispondenza riferibile al periodo 1808-09, di Giulio Cesare Cani[8], che descrisse brevemente le principali varietà di uva presenti nel guastallese, fra esse l’uva rediga, sinonimo di gradesana: “ve ne sono di due sorte, la più grossa è assai bona da mangiare, fornisce molto mosto ed un vino bono“[9].

Si tratta di una varietà di uva citata maggiormente, fra quelle appartenenti ai territori estensi confinanti, piuttosto che a quelli del Ducato di Parma Piacenza e Guastalla.

Infatti nel 1752, Niccolò Caula scriveva: “La Gradesana è uva cattiva per far vino, perché non ha buon gusto, ed è facile a guastarsi, benché poi faccia vino forte. Ha grappolo grande, né denso né raro, grane lunghe, e grosse, come la Dalloro: non è molto dolce al gusto, né tanto saporita. Il colore è giallo, ma tira al bianco, e nello staccare il grano lascia attorno il picciuolo un certo duro coperto di polpa dell’uva, che vi resta attaccata. Sarebbe uva piuttosto forte che tenera, ma per non esser buona, si pregia solamente da uva da serbare per l’inverno“[10]. Non era della stessa opinione, Paltrinieri, il quale oppose all’annotatore del Baccanale, Niccolò Caula, le seguenti osservazioni: “Poco, è vero, era apprezzata ( la Gradesana ) prima che il signor Giuseppe Zuccoli Modenese di felice memoria avesse insegnato il modo di usarla; ed è, mettere due mastelli in una navazza d’uva nera forte: questa lo tinge, e riesce un vino spiritoso e buono, e da un sapore acquavitino, che in se ritiene: ed è uva che rende assai nella bollitura, e non teme così facilmente l’aspro freddo“[11].

Il reggiano Bertozzi[12], nel 1840 nell’elencare le uve della provincia reggiana, fra le uve bianche coltivate nei campi, citava la rèdga e la rèdga grossa, entrambe si conservano per le mense nella stagione invernale.

Pertanto Bertozzi rilevava il termine rèdga, sinonimo di gradesana. A tal proposito, Francesco Lanzoni[13] citava Virgilio il quale sosteneva che: “l’uva Rhetica, la quale per bontà e fama cede solo al Falerno. Qualcuno ha voluto identificarla con la odierna Redga, del reggiano. Ma si tratta sempre di una pura ipotesi“[14].

Attilio Zuccagni-Orlandini[15] nell’elencare le uve bianche del modenese citava la gradsana[16].

Nel 1847, Carlo Roncaglia[17], nel riportare le uve bianche comuni dei territori Cispennini, citò la gradesana[18].

Una breve informazione di tipo filologico, riguardo al nome dell’uva gradesana, fu riportata da una Strenna pel nuovo anno [19], pubblicata a Modena nel 1851: “La Gradesana sarà ben scritta Gradigiana, o forse meglio Graticciana, dal Graticcio nel quale si stende conservandola per la mensa”[20]. Nel Vineto di Carlo Stefano[21], nel 1545, poteva leggersi: “La vite Rhetica da gl’antichi celebrata, la quale hoggi è da tutti honorata, è cosi detta dalla Germania di sopra ò da popoli Rhetÿ, ò dalla vicinità del Rheno fiume de Germani. La vite Rhetica dice Plinio nasce ne luoghi temperati“[22].

A proposito di Rhetica, interessante è il contributo di Giacomo Filiasi[23], risalente al 1796: “L’Agro veronese più grande ancora a’ tempi Romani di quello, che oggidì lo sia, era celebre anche per varj prodotti. Uno de’ più stimati fu l’uva Retica (1) da Catone posta subito dopo quella, dalla quale spremevasi il celebre vino Falerno. Lodaronla anche Strabone, Virgilio e Plinio, e basti dire che trasportavasi fino a Roma, dove sulle mense de’ ricchi collocavasi prima di ogni altra (2). E pure avean que’ voluttuosi vicine l’uve zuccherine, e carnose dell’Italia meridionale. Io credo fosse quella, che ora noi diciamo uva d’oro per l’aureo colore, di cui è tinta, e che squisita danno i colli Euganei, e più scelta ancora de’ Veronesi. Osservai che essendovene pure sulle colline Reggiane la chiamano colà uva Redega, nome corrotto, io credo, di Retica, durava in riputazione fino sotto de’ Goti, ordinandone Cassiodoro a’ Veronesi per la tavola del Re Teodorico, prima forse avendo servito per quella de’ Sovrani di Roma (3). A seguire le note del presente testo: (1) In Veronesi Rhaetica tantum a Catone posthabita. Plin. l. 16. (2) In radicibus montium Rhetica, quod laudationibus Italia non videtur cedere. Strabo l.5 … Et quo te carmine dicam Rethica?… Virgil. Georgic. (3) Casiod. in variar. epist.

In una volgarizzazione dal latino in endecasillabi sdruccioli, de Le Georgiche di Virgilio, risalente al 1757, dovuta all’accademico ducale di Modena, Francesco Cantuti Castelvetri[24], così apparivano i versi riguardanti l’uva rethica:

Le purpuree vi son le precie:

E con quali versi loderotti, o retica?

Nè co i falerni perciò contendere[25].

 Nel 1818, il reggiano Filippo Re[26], in quel tempo, professore di botanica, presso l’Università di Modena, rispose alle supposizioni di Filiasi, precedentemente riportate, riguardanti l’uva rethica: “Ma ciò che è più nè meno si può assolutamente stabilire quale fosse l’uva Rhetica di cui Virgilio assicura la bontà e celebrità ponendola sopra tutte le altre, toltane quella che dava il Falerno, quest’uva rese assai celebre le campagne veronesi, da cui si avevano uve che sino ai tempi di Tiberio furono pregiatissime. Non mi spiacerebbe, il dover convenire col sig. Filiasi che tal uva quella pur fosse che nel reggiano oggidì coltivasi, e chiamano Redga con nome, egli dice, corrotto da Retica. Certo è che l’uva coltivata in quel di Reggio che ha tal denominazione non è aurea, nè tanto minuta come quella che il dotto autore vuole fosse l’antica Retica, e che il veronese chiama oggi Uva d’oro. A me sembra doverci contentare di sapere che due uve furouvi le quali resero celebri le nostre campagne poste nella parte settentrionale dell’Italia, cioè l’Agro veronese e la Valtellina, ambe col nome di uva retiche, l’una ottima da mangiarsi e l’altra che apprestava uno squisito vino, che formo la delizia di Augusto“[27]. Già nei secoli precedenti, l’uva rhetica, o più precisamente il significato che Virgilio volle attribuire al verso tratto dalle sue Georgiche “Et quo te carmine dicam Rethica?”, fu oggetto di varie interpretazioni, anche opposte; nella opera del 1572, Della difesa della Comedia di Dante, del cesenate Iacopo Mazzoni[28], nel capitolo quarantesimo del primo libro: “Si ragiona delle parole composte dubbiose colla sposizione d’alcuni bellissimi luoghi de scrittori Greci, Latini, e Toscani“[29].

Mazzoni scrisse che le parole dubbiose in composizione possono essere tali in tre modi; a noi interessa il terzo: “Il terzo è quando senza parole Equivoce, senza varie costruttioni si possono esplicare le parole in differenti sentimenti, il che suole allhora avvenire, quando lo scrittore non ha pienamente scoperto il suo concetto“[30].

Il primo esempio riportato da Mazzoni di uno scrittore che non ha esplicata pienamente la sua intenzione son le parole di Virgilio – Es quo te carmine dicam Rhetica? Mazzoni rileva a questo punto come, due grandissimi scrittori quali Plinio e Seneca interpretarono diversamente le parole di Virgilio. “Plinio stima che fossero dette da Virgilio per lodare i vini Rhetici, ch’erano come ha scritto Svetonio gratissimi ad Augusto, e che per questo gli preponesse solamente al vin Falerno (..) Ma Seneca crede, che Virgilio dicesse quelle parole del vin Rhetico, più tosto come dubbioso & irresoluto che altrimenti“[31].

Inoltre, un altro scrittore, Servio, aggiunse un giudizio negativo, sulla bontà dei vini Rhetici, come riportava Mazzoni.

Rovasenda[32], nel 1877, citava l’uva grabigiana bianca come gradigiana; gradigiano bianco, nero, la gradzana sinonimo di gradigiana tutte descritte da Agazzotti; graticciana bianca (Sassuolo, Modena). Riportiamo la descizione dell’uva gradigiana da parte di Agazzotti[33]: “Gradigiana (Gradsana, Uva retica, Redgha). Grappolo grande, voluminoso a piramide tronca allungata, graspetti ben pronunziati con decrescenza regolare all’estremità del grappolo, peduncolo abbastanza sodo di color verde paglia. Acino grande, sferico, trasparente. Buccia grossotta, di color giallo dorato, e qualche volta rossiccia, traslucida. Sugo abbondante, fluido, dolce, zuccherato inaromatico. Serve bene ad allungare i vini densi aromatici, purché sia ben appassita, ed anche meglio se conservata a lungo in ambienti chiusi e riparati. Uva d’insigne merito come mangereccia, che conservasi fino a primavera avanzata: di bellissimo aspetto, e di un grato dolce zuccherato: tanto migliore quanto più lungo il tempo di sua prolungata conservazione: rendendosi companatico salubre e appetitoso per colazione, sia ai fanciulli, che ne sono sempre ghiotti, che agli adulti, dai quali pure viene gustata per poco che siano uvifagi. Alcuni tentarono di fare con quest’uva un succedaneo al notissimo vino di Champagne, ma quantunque non difettassero in sapore, pure non poterono mai sostenere quella inalterabile limpidezza specialità di quell’estraneo vino, che ben spesso è quasi anche estraneo all’uva. Il vino di Gradigiana pure non cessa di avere un certo merito assoluto: ne assaggiai del buonissimo, ottenuto dagli avanzi mezzo guasti di quella che fu guardata fino alla quaresima sulle stuoje per uso mangereccio. La vite è di facilissima ed ordinaria coltivazione, molto estesa nella provincia, specialmente nelle ville della bassa pianura, ov’è meno stimata che nel piè di colle, ma quivi dà frutto anche più sapido“[34]. Il reggiano Casali[35] nel 1915 citava l’uva bianca gradsàna quale sinonimo di redga[36] traducendole in italiano con uva retica o gradesca[37], Viala[38] riportava: Gradzana e Gradigiano, quale sinonimi di Grabagina, la quale era descritta come: “Grabagina bianca – Cèpage italien à grappe longue, conique, à grains blanc clair, moyens“[39]. Mentre per quanto riguarda l’uva retica, Viala[40] fornisce quale sinonimo l’uva lignan blanc, cioè la lugliatica e rinvia al terzo volume della sua Ampelographie[41] alla scheda di P. Mouillefert sulla Lignan blanc[42].

Note

  1. I vini modenesi baccanale di un accad. Dissonante colle annotazioni [Caula Nicolò], Modena, Francesco Torri, 1752. Il baccanale era attribuito a Vicini Giovanni Battista, ma recentemente è stato attribuito a Francesco Pincetti. L’attribuzione del baccanale a Francesco Pincetti in: Trenti Giuseppe, Al paisan da Modna, Modena, Aedes Muratoriana, 1975 (tratto da nota 36 p. 25 di: Montanari Gian Carlo, Malavasi Pignatti Morano Luigi, Uve modenesi tra XVIII e XIX secolo, Modena, Edizioni Il Fiorino, 2018).
  2.  Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro Du Tillot a 41-50 b. a 42
  3. Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro…cit., Bargelli Claudio, La Città dei Lumi, Parma, MUP, 2020, p.174 e p. 178; Bargelli Claudio, “Teatro d’Agricoltura” Le campagne parmensi nelle inchieste agrarie del secolo dei Lumi, in: “Rivista di Storia dell’Agricoltura” a. LJ, n.2, dicembre 2011 pp. 101-130.
  4.  Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.: Giorgini Paolo, Le varietà di uva presenti nei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla dal 1771 al 1859, ricerca inedita, 2021, p. n. i.
  5.  Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro…cit., Bargelli Claudio, La Città…cit. p.175 e p. 179
  6.  Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro … cit.: Giorgini Paolo, Le varietà di uva… cit.
  7.  Id.
  8.  Biblioteca Maldotti di Guastalla, G.C. Cani, Lettere agrarie alla Colonia d’agricoltura del Crostolo, fondo Cani, busta 96, lettera XII, “Della coltivazione delle viti“, destinatario avv. Giovanni Carandini, data presunta 1808-1809. Si ringrazia, per la competenza e cortesia la dott.ssa Alice Setti della Biblioteca Maldotti di Guastalla. Si veda: Sulla condizione agraria del reggiano nell’Ottocento. Società Agraria di Reggio Emilia, prefazione di Rolando Valli, Reggio Emilia, Antiche Porte Editrice, 2013, pp. 13-27.
  9.  Id.
  10.  “L’Indicatore Modenese”, 13/09/1851, a.1, n. 11, p. 87.
  11.  Id.
  12.  Biblioteca Municipale “Panizzi” di Reggio Emilia, Manoscritto di Vincenzo Bertozzi, Viti della provincia di Reggio, MSS. REGG. D 88/23. La riproduzione dell’elenco di Bertozzi è presente in: Bellocchi Ugo, Reggio Emilia la provincia “lambrusca”, Reggio Emilia, Tecnostampa, 1982, pp. 58- 59. Bellocchi ha corretto gli accenti presenti sui nomi delle varietà riportate da Bertozzi e successivamente da: Casali Carlo, I nomi delle piante nel dialetto reggiano addenda et emendanda, Reggio Emilia, Officine Grafiche Reggiane, 1926, p-15-16. Casali aggiunse alcune interessanti notizie sull’elenco del Bertozzi e sullo stesso Bertozzi: “L’elenco è inedito ed è di mano del dottor Vincenzo Bertozzi, membro della Società Agraria del Dipartimento del Crostolo e appassionato e valente frutticoltore. Della sua rinomata collezione di varietà e di alberi fruttiferi non rimangono più che pochissime tracce nella villa di sua proprietà alla Baragalla. L’elenco venne trasmesso dal Bertozzi al prof. Galliani, che lo aveva richiesto: non porta alcuna data ma è stato certamente compilato verso il 1840“. Casali trasmise l’inedito elenco alla Biblioteca reggiana.
  13.  Lanzoni Francesco, La vite del parmense nella preistoria e nella storia (Spunti e appunti), Parma, Tipografia già Cooperativa, 1938 (pubblicato nel marzo del 1938 ne “La Giovane Montagna”, rivista di studi montanari, Parma).
  14.  Id. p. 7.
  15.  Zuccagni-Orlandini Attilio, Corografia dell’Italia e delle sue isole, volume VIII, parte seconda, Firenze, 1845.
  16.  Id. p. 587.
  17.  Roncaglia Carlo, Statistica Generale degli Stati Estensi, volume II, Modena, Tipografia di Carlo Vincenzi, 1850.
  18.  Id. p. 420.
  19.  Strenna pel nuovo anno, Modena, R.D.Camera, 1851.
  20.  Id. p. 19.
  21.  Carlo Stefano, Vineto, Venetia, Vincenzo Vaugris, 1545.
  22.  Id. pp. 17-18.
  23.  Filiasi Giacomo, Memorie storiche de’ veneti primi e secondi. Tomo I. Venezia, Modesto Fenzo, 1796.
  24.  Cantuti Castelvetri Francesco, Le Georgiche di Virgilio volgarizzate in versi endecasillabi sdruccioli, Modena, Bartolomeo Soliani Stampatori Ducali, 1757.
  25.  Id. p. 33.
  26.  Re Filippo, Saggio storico sulla storia e sulle vicende dell’agricoltura antica dei paesi posti fra l’Adriatico, l’Alpe e l’Appennino sino al Tronto, Milano, Giovanni Silvestri, 1814.
  27.  Id. pp.225-226.
  28.  Mazzoni Iacopo, Della difesa della Comedia di Dante, parte prima, Cesena, Raueri, 1587.
  29.  Id. p. 129.
  30.  Id.
  31.  Id. p. 131.
  32.  Rovasenda Giuseppe, Saggio di ampelografia universale, Torino, Tipografia Subalpina di Stefano Marino, 1877, p. Id. p. 79.
  33.  Agazzotti Francesco, Catalogo descrittivo delle principali varietà di uve coltivate presso il Cav. Avv. Francesco Agazzotti del Colombaro, Modena, Tipografia di Carlo Vincenzi, 1866. cfr. Montanari Gian Carlo, Malavasi Pignati Morano Luigi, Uve modenesi tra XVIII e XIX secolo, Modena, Edizioni Il Fiorino, 2018.
  34.  Id. pp. 166-167.
  35.  Casali, Carlo, I nomi delle piante nel dialetto reggiano, Reggio Emilia, Tipografia Bondavalli, 1915.
  36.  Id. p. 53.
  37.  Id. p. 57.
  38.  Viala, P., Vermorel. V., Ampélographie, tome 7, Paris, Masson et C., 1909.
  39.  Id. p. 140.
  40.  Id. p. 280.
  41.  Viala, P., Vermorel. V., Ampélographie, tome 3, Paris, Masson et C., 1902.
  42.  Id. p. 69-74.