Il manoscritto anonimo: Trattato di Agricoltura[1], della fine del XVIII e inizio XIX secolo, riporta, fra le piante che si adattano alla loro coltivazione negli orti, l’uva aliaticho[2], in italiano aleatico. L’aleatico, era presente nel 1841 nel catalogo del vivaio di Luigi Musiari a Ponte d’Enza[3].
In precedenza, nel Supplimento del catalogo dello Stabilimento orticola di Pietro Maserati di Piacenza 1838-39[4] comparve fra le “viti da uve le più pregiate“[5]: l’aleatico di Toscana. L’aleatico non figurava in alcun dipartimento della rilevazione del 1771[6] e nemmeno nell’articolo del Bramieri [7] di Piacenza e nelle due edizioni dei dizionari del Peschieri[8].
Lo ritroviamo nel 1859, sotto forma di aliàtegh nel Malaspina[9]. La descrizione dell’aleàtegh si trova I vitigni della provincia parmense – Lunario per l’anno bisestile 1872, riportato in Tintinnar di bicchieri, vini e vignaiuoli a Parma[10]: “Foglia mediocre subquinqueloba, dentata ai margini, con denti alternatamente grandi e piccoli. La pagina superiore è d’un verde erbaceo, glabro mentre quella inferiore è d’un verde più chiaro e glaberrima. Il picciolo è mediocre e verdognolo. Il grappolo appare conico, prolungato, subcompatto, della lunghezza di circa 15 cm.ed è composto di bacche globose, neropurpuree, opache. I semi sono in numero di uno o due. Il sapore è di un dolce fragrante e dà un vino eccellente“[11].
Filippo Re[12], nel 1812, fra le viti di uva nera coltivate nel bolognese, rilevò la vite leatico; Vitis v. tarantina?[13] All’inizio degli anni ’40 del XIX secolo, il dottor Vincenzo Bertozzi[14], fra le uve colorate coltivate negli orti e nelle vigne, raramente nei campi, citava l’aleatico di Firenze (55).
Nel 1841, Savani[15], fra le uve da vino nere, menzionò l’aleatico nero[16]. Carlo Roncaglia nel 1847[17], riportava, l’aleatico, fra le uve fini colorate (ed anche fra le bianche) dei territori transpennini[18].
La descrizione dell’aleatica, utile anche per gli aspetti relativi all’utilizzazione produttiva dell’Aleatica (Leatica, Moscata nera impropriamente detta) per vini da dessert, fu riportata dal modenese Agazzotti nel 1867 sul suo Catalogo descrittivo delle principali varierà di uva coltivate presso il Cav. Avv. Francesco Agazzotti del Colombaro[19], descrizione che di seguito riportiamo: “Grappolo di lunghezza media sottile, con picciuolo grosso, ma non molto resistente, eccetto che all’estremità inferiore nella quale spesso è quasi ligneo. I graspetti sono piccolissimi e quasi nulli, trovandosi spesso molti grani inseriti nel picciuolo maestro. Acino sferico, ordinariamente rado, di giusta grossezza. Buccia esile, di colore violaceo granato chiaro, sempre coperta di polvere cerea. Sugo piuttosto abbondante, vischioso, molto zuccheroso, e di ben profumato aroma, comune ai moscati, siano bianchi o neri. Segna d’ordinario 11 gradi al glaucometro. Uva d’insigne merito pei cosiddetti vini da dessert, che siano abboccati, dolci, aromatici, ed è base del rinomato aleatico di Firenze. Coltivata in vigna nelle colline modenesi non si mostra di minor valore, conservando sempre nello stesso grado il suo squisito aromatico profumo: se non che di buccia tenue e primaticcia, è soggetta a molto consumo per le vespe, i calabroni, e gli uccelli. Teme pure assai, la crittogama, come tutte le uve gentili e aromatiche. Il vin schietto, o dove essa predomina, ne’ primi anni abbisogna di discreto accesso all’aria atmosferica, sotto pena di cerconire, o come dicesi comunemente di filare: ma coll’invecchiare oltre il decennio, e specialmente se la materia colorante, per cause non ancora ben definite e precisate, venga fissata a guisa di velo alle pareti della bottiglia, lasciando il liquido o incolore, o rossigno, o color paglia sbiadato, allora ritrovasi un vino di un dolce delicato, profumato gentile, inarrivabile, affatto naturale, che supera, alle papille di un fine gustatore, tutta sorta di vini aiutati dall’arte con solforazioni, ingessamenti, aggiunte d’alcol, zucchero ecc. ecc. (..) La vite ama il terreno ferruginoso, calcare, asciutto, in dolce pendio ed esposto a levante – mezzodì. In terreno smosso a grande profondità mette vigorosi tralci, con foglie lucenti, nodi distanti, occhi molto pronunziati, rami con corteccia color nocciola chiaro[20].
Nello stesso fondamentale catalogo, per le varietà di uva modenesi del periodo immediatamente successivo all’unità d’Italia, è descritta anche l’Aleatichina (Uva dei Gesuiti)[21], la quale possiede tutte le proprietà dell’aleatico di Firenze, rispetto alla quale è più rustica. Una certa curiosità, potrebbe destare la coltivazione della varietà di uva bianca detta Alleatica, nei monti del bolognese, presso le Terme di Porretta[22], nel 1867: “[si parla delle varietà di uva che nel territorio di Porretta, resistono meglio al freddo] (..) l’Alleatica bianca così impropriamente appellata dai Porrettani, e che corrisponde all’Alleonza bolognese, la quale però ne’ campi di Porretta si coltiva in poca quantità”[23].
In alcune località porrettane, meno esposte al freddo e meno elevate, si coltiva l’Alleatico nero[24]. Giorgio Gallesio [25], nel corso dei suoi viaggi agronomici, si trovò ad ottobre del 1813, a Massa, a Carrara e nella Lunigiana; nel Sarzanese riconobbe l’aleatico, detto in loco aleatico, egli scrisse: “questo si trova in tutti i paesi della Lunigiana e vi si trova in più varietà: il migliore che abbia gustato l’ho trovato a Caniparola, in una collinetta vicino al podere del marchese Malaspina dove vi è una delle collezioni più preziose delle uve di questi paesi “[26].
Nel settembre 1830, Gallesio nel enumerare le varietà del Ponente Ligure[27], così descrisse l’aleatico tra le uve toscane: “Aleatico, uva conosciuta da tutti, fa dei grappoli piccioli, rari, a grani di maturità ineguale, quasi rossicci e di un gusto di moscato particolare. La picciolezza dei suoi grapoli e la loro sensibilità al marino la rende di poco prodotto“[28].
Sulla rivista bolognese “Il Felsineo”[29], nel 1845, la vite leatico fu tradotta con leatic, vitis tarantina?
Nell’Ottocento, i viticoltori potevano rifornirsi di un buon numero di varietà di viti, presso alcuni stabilimenti orticoli presenti nei singoli stati, ad esempio Maserati di Piacenza e Musiari di Ponte d’Enza, citati precedentemente. Nel 1847, nel Regno Lombardo-Veneto, l’aleatico di Firenze era presente nel catalogo dello Stabilimento orticolo agrario della casa Carlo Maupoil e Figlio in Dolo [30].
Nel catalogo, scritto in italiano e in francese, erano presenti, oltre a un buon numero di varietà di piante da frutta, ben 110 varietà di vite. Carlo Gambini[31], nel 1850, riportava il termine (uga) aliadaegh[32] come traduzione in dialetto pavese di aleatico.
Nel 1771 il fiorentino Ignazio Ronconi[33], così descriveva il “Leatico. Sorte di vitigno, che ha i capi piccoli, sottili, vellutati di sotto, molto intagliati, con punte acute, gambi, e costole sottili di un colore scuro pendente al rosso: fa poca uva, a piccoli grappoli, sparti, con granella piccole, tonde, di guscio gentile e d’un color di rosa rugginoso. Richiede clima caldo, suolo sano, asciutto, di buon fondo, composto di terreno grosso, e forte, che nell’estate faccia non eccessive crepature: Il vino non è molto colorito, ma spiritoso di gratissimo odore, è buono a beversi solo, e fa ottima lega con altre uve.”[34].
Due anni dopo Ignazio Ronconi, Gio. Cosimo Villifranchi, pubblicava Oenologia toscana[35], fra le viti conosciute in Toscana secondo i loro nomi volgari, la n. 21 dell’elenco era il leatico: “Leatico, altrimenti Aleatico. Vitigno per quanto si crede venuto di Grecia, che fa sempre poca Uva, la quale maturata che sia prende il color di rosa un poco spruzzata di color più chiaro, e quasi di ruggine, in grappoli piccoli, e di granella rade, piccole, tonde, e di buccia sottile. Vuole esposizione calda, e suolo forte di buon fondo, e asciutto in maniera che in Estate faccia delle crepature. Fa il vino più gustoso del Moscadello assai noto in Toscana. Oggigiorno questa specie di Vite è da molti coltivata, ed il suo Vino porta lo stesso nome di Leatico, o Aleatico. Di questa Vite o Uva si trova anche la qualità bianca, la quale crederei che fosse la Lacrima bianca di Napoli. o del Vesuvio. perché anche colà tali Viti sono state portate dalla Grecia[36].
Nel Calendario Georgico [37], compilato e pubblicato dalla Società Agraria di Torino ad uso degli agronomi del Piemonte, nell’anno 1800, fra le uve nere di prima qualità, era menzionata l’uva: “1, Aleatico, vite introdotta fra noi, non è gran tempo dalla Toscana, fa gli grappoli corti, acini neri, il vino è di sapore dolce, di bel colore di rubino: quando è mescolato colla Barbera, Nebbiolo, Bonarda, Crova, che le danno spirito e forza riesce migliore. Ama l’esposizione di levante, e mezzo giorno. ed una terra mista“[38].
Rovasenda[39], nel 1877, oltre all’aleatico bianco[40], riporta diversi aleatici di colore:
1) aleatico ciliegino o ceragino, è un bellissimo moscato rosso proveniente da Lucca, dalla stessa città fu spedita a Rovasenda un uguale pianta, però chiamata occhio di pernice. la quale non è uguale all’occhio di pernice fiorentino[41].
2) aleatico comune [42]. Toscana. Vedi pure aleatico nero. In Piemonte in generale col nome di Aleatico si coltiva il vero aleatico di Toscana. Per questo aleatico comune, tra i vari autori citati da Rovasenda, si cita il modenese Agazzotti.
3) aleatico di Corsica[43]. A Rovasenda sembra identico a quello toscano, citato fra le uve del veronese.
4) aleatico di Spagna[44], citato da Acerbi, ma che Rovasenda fa seguire da un punto interrogativo.
6) aleatico Facinelli[45], l’autore non aggiunge altro.
7) aleatico gentile[46], Rovasenda lo crede uguale al comune
8) lungo[47], presso l’Orto Botanico di Napoli.
9) aleatico o moscatele livatiche[48], è il nome dato da De Crescenzi
10) aleatico nero[49] descritto da Acerbi. È tra le uve di Roma.
11) aleatico nero[50] di Fermo nelle Marche, descritto da Acerbi.
12) aleatico rosso[51] di Rimini, Rovasenda, è forse l‘aleatico ciliegino? si domandava l’autore.
13) aleatico sciolto[52], seguito da un punto interrogativo.
14) aleatico tondo[53], presso l’Orto Botanico di Napoli.
15) aleatico vellutato[54], Rovasenda non aggiunse altro e non menzionò altri aleatici, evidenziò, a suo parere, un errore quando citando l’allianico[55] degli Abruzzi (V. Aglianico), alcuni testi ampelografici lo indicavano quale sinonimo dell’aleatico toscano.
Nella breve descrizione delle varietà di viti coltivate nella collezione francese di M. V. Pulliat [56], l’aleatico viene così delineato: “Feuille un peu au-dessus de la moyenne, grap.[pe] moy.[en] régul., gr.[ain] ronds, noy, noir, mosqué“[57]. Pierre Viala[58], nel 1909, riportava alcune caratteristiche dell’aleatico bianco, dell’aleatico rosso e dell’aleatico nero, quest’ultimo in particolare: “Disséminé dans toute l’Italie, surtout en Toscane, les Romagnes, et meme en Sicile: il rappelle par le gout musqué de ses fruits le Muscat noir, dont il diffère peu d’ailleurs, s’il ne lui est pas identique“[59].
Note
- Archivio di Stato di Parma, Raccolta Manoscritti ms.138; Il manoscritto è riportato anche in: Spaggiari Pier Luigi, Insegnamenti di agricoltura parmigiana del XVIII secolo, Parma, 1964, Artegrafica Silva; Medioli Masotti Paola, Lessico di un trattato parmigiano di agricoltura (fine XVIII inizio XIX sec.) in: “Archivio Storico per le province parmensi”, quarta serie, volume XXXI, 1979, Deputazione di Storia Patria per le province parmensi, Parma, 1980.
- Id. f. 437.
- “Il Facchino”, 27/02/1841, a. III, n. 9.
- Stabilimento Orticolo di Pietro Maserati a Piacenza, Supplemento, Piacenza, 1838, Antonio Del Majno.
- Id. p. 3.
- Archivio di Stato di Parma, Archivio del Ministro Du Tillot a 41-50 b. a 42, Bargelli, Claudio, La Città dei Lumi, Parma, 2020, MUP.
- Atti della Società Patriotica (sic) di Milano, volume III, Milano, 1793.
- Peschieri Ilario, Dizionario Parmigiano – Italiano, vol. II, R-Z, Parma, 1828, Stamperia Blanchon.
- Malaspina Carlo, Vocabolario Parmigiano – Italiano, vol. quarto, 1859, Tipografia Carmignani, p. 357.
- I vitigni della provincia parmense – Lunario per l’anno bisestile 1872, Parma, Tipografia G. Ferrari e figli, in: Tintinnar di bicchieri, a cura della Accademia Italiana della Cucina, Parma, 2006, “Gazzetta di Parma” Editore.
- Id. p.115.
- Rapporto a sua eccellenza il sig. Ministro dell’Interno dello stato dell’Orto Agrario della R. Università di Bologna, Milano, 1812, Giovanni Silvestri.
- Id. p, 48.
- Biblioteca Municipale “Panizzi” di Reggio Emilia, Manoscritto di Vincenzo Bertozzi, Viti della provincia di Reggio, MSS. REGG. D 88/23. La riproduzione dell’elenco di Bertozzi è presente in: Bellocchi, Ugo, Reggio Emilia la provincia “lambrusca”, Reggio Emilia, Tecnostampa, 1982, pp. 58- 59. Bellocchi ha corretto gli accenti presenti sui nomi delle varietà riportate da Bertozzi e successivamente da: Casali Carlo, I nomi delle piante nel dialetto reggiano addenda et emendanda, Reggio Emilia, Officine Grafiche Reggiane, 1926, pp. 15-16. Casali aggiunse alcune interessanti notizie sull’elenco del Bertozzi e sullo stesso Bertozzi: “L’elenco è inedito ed è di mano del dottor Vincenzo Bertozzi, membro della Società Agraria del Dipartimento del Crostolo e appassionato e valente frutticoltore. Della sua rinomata collezione di varietà e di alberi fruttiferi non rimangono più che pochissime tracce nella villa di sua proprietà alla Baragalla. L’elenco venne trasmesso dal Bertozzi al prof. Galliani, che lo aveva richiesto: non porta alcuna data ma è stato certamente compilato verso il 1840 “Casali trasmise l’inedito elenco alla Biblioteca reggiana.
- Savani Luigi, Istruzione pratica per la coltivazione della vite, in: Memorie varie risguardanti la migliore agricoltura, Modena, Tip. Vincenzi e Rossi, 1841, pp. 63-114.
- Id. p. 71.
- Roncaglia Carlo. Statistica Generale degli Stati Estensi, Modena, !850 Tipografria di Carlo Vincenzi.
- Id. p, 421.
- Agazzotti Francesco, Catalogo descrittivo delle principali varietà di uva coltivate presso il Cav. Avv. Francesco Agazzotti del Colombaro, Modena, 1867, Tipografia di Carlo Vincenzi in: Montanari Gian Carlo – Malavasi Pignatti Morano, Uve modenesi tra XVIII e XIX secolo, Modena, 2018, Edizioni Il Fiorino.
- Id. pp. 142 -143.
- Id, pp..143-144.
- Illustrazione delle Terme di Porretta e del suo territorio, Bologna, 1867, Regia Tipografia.
- Id. p.209.
- Id.
- Gallesio Giorgio, I giornali dei viaggi, Firenze, 1995, Accademia dei Georgofili.
- Gallesio, p. 54.
- Id. p. 322.
- Id.
- “Il Felsineo”, 4/3/1845, a.5, n. 40.
- Catalogo generale delle piante e prezzi correnti per l’autunno 1847 e primavera 1848 coltivate nello stabilimento orticolo agrario della casa Carlo Maupoil e figlio in Dolo Regno Lombardo – Veneto, Venezia, 1647, Tipografia di G. b: Merlo, p.15.
- Gambini Carlo, Vocabolario Pavese – Italiano ed Italiano – Pavese, Pavia, 1850, Tipografia Fusi e Comp.
- Id. p.272.
- Ronconi Ignazio La coltivazione Italiana, o sia Dizionario D’Agricoltura, Tomo II, Venezia, 1771, Francesco Sansoni.
- Id. p. 29.
- Villifranchi Giovanni Cosimo, Oenologia toscana, volume primo, Firenze, 1773, Gaetano Cambagi Stampatore.
- Id. pp. 97-98.
- Calendario Georgico, Torino, 1800, Società Agraria di Torino, coi Tipi di Pane e Barberis.
- Id. p. 99.
- Rovasenda Giuseppe, Saggio di una ampelografia universale, Torino, 1877, Tipografia Subalpina di Stefano Marino.
- Id. p. 21.
- Id.
- Id. p. 22.
- Rovasenda, Op. cit. p. 22.
- Id.
- Id.
- Id.
- Id.
- Id.
- Id.
- Id.
- Id.
- Id.
- Id.
- Id.
- Id.
- Descriptions & Synonymies des varietés de vignes cultivées dans la collection de M.V. Pulliat a Chiroubles. Lyon, 1868, Imprimerie du Salut Public.
- Id. p. 11.
- Viala P. – Vermorel V., Ampelographje, Tome VII, Paris, 1909, Masson et C.
- Id. p. 17.