Le interviste impossibili – A cura di Giovanni Ballarini – Sante Lancerio bottigliere e i vini di Parma

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Sante Lancerio (XVI sec.), storico e geografo e soprattutto bottigliere, cantiniere o sommelier che dir si voglia di Papa Paolo III Farnese (1468-1549), pontefice dal 1534 e già a lungo vescovo di Parma, è considerato il primo sommelier della storia moderna.
Sante Lancerio in quanto cantiniere o bottigliere ha la responsabilità dell’approvvigionamento e del servizio del vino di Sua Santità, in sede e in viaggio, e esegue il suo compito con capacità e passione, assaggiando, sorseggiando, osservando e consigliando i vari tipi di bevanda, e trasferendo poi tutte queste esperienze in un manoscritto indirizzato al cardinale Guido Ascanio Sforza e che non si sa dove sia conservato e del quale sono state ricavate diverse riproposte piene anche di errori nella trascrizione delle località, come segnala Marzio Dall’Acqua (Il vino vigoroso come il pane in Tintinnare di bicchieri. Vini e vignaiuoli a Parma, Gazzetta di Parma, 2006, pp. 23-58).

Lo scritto di Sante Lancerio è considerato la prima testimonianza nella letteratura enologica italiana, quando il vino è una componente fondamentale dei banchetti e Lancerio, che segue il Papa anche nei suoi viaggi, procura di preparargli una tavola imbandita, scegliendo i vini locali e quelli che si porta appresso, curando che non soffrano durante il trasporto, e avendo l’occasione di conoscere e analizzare oltre cinquanta vini italiani che descrive in un manoscritto, unico nel suo genere tra le opere in materia gastronomica, e che diviene anche uno spaccato di storia del periodo rinascimentale.

Di passaggio da Parma con il Papa diretto in Francia con la sua Corte, intervistiamo a Busseto nel 1538 Sante Lancerio sui vini di questo territorio.

Messer Lancerio, il Papa, in questo suo viaggio che da Roma lo sta portando in Francia, con il suo corteo sta lasciando i territori parmensi a lui ben noti perché qui è stato vescovo dal 1509 al 1534. Accompagnando il Papa nei suoi viaggi e durante gli incontri pubblici Lei seleziona di volta in volta i vini migliori, controllando e valutando i molti vini che il Papa riceve in dono?

Ben Lei dice, perché i vini sono tra i più importanti elementi di una buona tavola che si conviene alle mense di nobili signori, il Papa sovra tutti. Tra i miei compiti vi è quello di garantire la sicurezza e la qualità dei vini, per quanto possibile iniziando dalle operazioni di vinificazione da me, anche con un canovaro (o cantiniere), sorvegliate con l’obbligo di verificare le uve quindici o venti giorni prima della vendemmia, scegliere le migliori, possibilmente nei luoghi abituali, comperarle e al momento della vendemmia condurle alla cantina, dove usare ogni diligenza in far li vini che riescano buoni, come recitano apposite istruzioni. Inoltre io come bottigliere faccio parte di una struttura articolata e complessa affidata al Maestro di Casa che si avvale di uno scalco che sovrintende al rito del banchetto e io sono a mia volta coadiuvato dai coppieri. Mio compito principale, in questi tempi, è anche quello di cercare i migliori abbinamenti tra vini e cibi. Nei menù bisogna creare una progressione che va dai vini bianchi leggeri per gli inizi del pasto, ai vini forti o inebrianti per i dessert, passando attraverso i rossi degli arrosti e, come nei secoli passati, chiudere la mensa con l’ippocrasso, vino aromatizzato alle spezie, digestivo e anche ricostituente per malati e puerpere. Per questo un giudizio sui vini non può essere mai assoluto, ma sempre relativo al loro uso, al tipo di cibo e quindi al territorio e un vino valutato ottimo associato ad un cibo di una regione, non lo è più per un cibo d’altra regione o luogo. Senza dimenticare l’importanza della qualità del signore che debbo servire.

Messer Lancerio, poco chiara mi è quest’ultima affermazione che mi fa pensare che il Papa o un alto prelato devono avere vini diversi, fino a pensare che Paolo III Farnese abbia avuto qualità di vini differenti quando per lunghi anni è stato Vescovo di Parma da ora che è Papa di tutto il mondo.

In un certo senso Lei ha colto il mio pensiero e ritengo il vino spagnolo troppo forte, mentre i vini francesi, seppur ottimi, risentivano del terreno di provenienza. Per quanto riguarda la conformità tra il rango o la professione del signore che devo servire e il tipo di vino a lui confacente voglio darle alcuni esempi di quanto ho maturato con la mia lunga esperienza sui vini italiani. Il Moscatello è ideale per osti e imbriaconi, il Greco della Torre, che diventa subito scuro, è buono per la servitù ma non per gli alti prelati, il Rosso di Terracina è ottimo per notai e copisti, il Mangiaguerra di Napoli è pericoloso per il clero ma ideale per incitare la lussuria delle cortigiane. Non conosco di preciso i vini di Paolo III Farnese Vescovo di Parma, ma in quanto Papa ritengo che i vini a Lui più confacenti sono la Malvasia, il Greco d’Ischia, la Vernaccia di San Gemignano e il Nobile di Montepulciano.

Si dice anche che Lei raccoglie notizie sui vini delle terre che visita. Probabilmente è la prima volta che Lei è a Parma e nelle sue terre e come giudica i vini che ha potuto assaggiare?

Ripercorrendo con la mente la strada percorsa nelle ultime tappe di questo viaggio, dai miei appunti ricordo che siamo entrati nelle terre parmigiane facendo tappa nel castello di Berice (Berceto) dove ho assaggiato buoni vinetti, ma – seguendo i criteri che già ho detto – quando in questo luogo il conte Pier Maria III de’ Rossi (1504-1547) di San Secondo fa un bellissimo preparamento con trotte et carpione io le associo a una buona Vernaccia. Quando giungiamo a Parma non trovo buoni vini per la mensa del Papa, che invece vi sono a Borgo San Donnino (antica Fidenza romana) offerti dal Signor Gianfrancesco Gonzaga, detto Cagnino (1502-1539). Invece a Firenzola (Fiorenzuola) vi sono buoni vinetti, come vi sono a Soragna. So invece che in Bussè (Busseto) si fanno vini grossi e grassi (vini di forte colore e di buona gradazione) e che Casteloarquato (Castellarquato) ha vini perfettissimi e è un gran peccato che tutta quella collina non sia coperta di vigne, che qui sono di così delicati vini quanto sia in tutta la Lombardia, tanto rossi quanto bianchi. E qui sua Beatitudine si fornisce per il viaggio e ne manda a prendere anche a Ferrara o a Bologna.

Comprendo bene il particolare criterio con il quale Lei giudica i vini da destinare all’alta Beatitudine papale, ma più volte Lei cita, nel territorio parmigiano, la presenza di buoni vinetti. Cosa intende con questa denominazione?

Sono certamente buoni vini, ma di non alta gradazione e pertanto di difficile conservazione e trasporto, che non ritengo adatti alla mensa papale, ma a quella di ogni giorno anche del clero, notai, uomini di lettere, copisti, medici e altre attività che devono mantenere sveglio l’intelletto. Buoni vinetti che credo presenti sulla tavola di Paolo III Farnese quando è Vescovo di Parma e quando nel 1534, decano del Sacro Collegio e alla età di sessantasei anni, entra in Conclave e quasi subito è eletto Papa, facendosi credere anziano e di salute malferma, quindi un Papa di breve periodo, ingannando i Cardinali con il suo lungo papato durato ben quindici anni. Buoni vinetti inoltre diversi sono nelle Terre Alte e Terre Basse parmigiane adatti anche ai cibi dei luoghi da ventosi a nebbiosi.

(Nota dell’Intervistatore – Sante Lancerio non sa che per i “buoni vinetti” dell’appennino parmigiano dove vi è Berceto, nel Catasto Farnesiano compilato nella seconda metà del Cinquecento si dice “perfettissimi i vini di Vianino, Calestano e Sala.” Inoltre i “buoni vinetti” della Bassa Parmigiana come quelli di Soragna comprendono gli eccellenti vini Lambrusco, Fortana e Fortanina, senza dimenticare che anche nella città di Parma si produce Berzemino).